
Michele Morrone unchained. La citazione a Tarantino, siamo sicuri, piacerebbe anche a lui che sente di appartenere più al circuito di Hollywood che a quello italiano. Anzi, ma che circuito, chiamiamolo pure "circolino". L'attore, dopo l'intervista a Belve nella quale ha apertamente attaccato gli "artisti sinistroidi con le boiserie anche sul culo", è intervenuto su Instagram per rincarare la dose con tanto di riferimenti diretti anche a Luca Marinelli, reo di aver "sofferto" per aver interpretato il Duce, riprendendosi molto bene "dopo aver incassato 1.5 milioni di euro".
L'attacco corsaro di Michele Morrone
Sui social, tantissimi tra gli addetti ai lavori imputano a Michele Morrone un attacco strategicamente maldestro, da matita rossa per gli uffici stampa. Ma sarebbe forse il caso di andare oltre tutto questo e rilevare piuttosto che la sfuriata dell'attore arriva con timing perfetto, inserendosi giusto un attimo dopo la polemica che ancora divampa nel settore del cinema italiano, dopo i botta e risposta tra Elio Germano e il ministro della Cultura, Alessandro Giuli. A quel botta e risposta hanno partecipato Valerio Aprea (dando insospettabilmente torto a Elio Germano), Pierfrancesco Favino (trovando una posizione mediana e incontrando il favore del ministro), Pupi Avati (in prima linea per la richiesta di finanziamenti e politiche salvifiche per il cinema) e i 93 firmatari della lettera, novantaquattro con Germano, che chiedono al ministro aiuti immediati. E ora c'è anche Michele Morrone, ma con un punto di vista tutto suo. Quasi corsaro.
"Non mi sento parte di un cinema, quello italiano, che se la canta e se la suona da solo, pieno zeppo di pregiudizi nei confronti dei ‘diversi', che se non hai studiato alla Silvio D'Amico o al Centro Sperimentale non sei nessuno, se non usi le scarpe Clark e non dai l'idea di essere trasandato, non sei un vero attore," ha scritto Morrone sui social dopo la sua partecipazione a "Belve". Insomma, è la vecchia storia attualizzata. Da un lato abbiamo un cinema d'autore, spesso finanziato con fondi pubblici, incarnato da attori formati nelle scuole "ufficiali" del settore – la Silvio D'Amico, il Centro Sperimentale – dall'altro un cinema più commerciale e internazionale, rappresentato da figure come Morrone, che ha trovato successo globale grazie a piattaforme come Netflix.

Cinema italiano e ipocrisia: cosa ci rivela lo sfogo di Morrone
Magari a qualcuno farà storcere il naso, però nello sfogo di Morrone c'è una critica non solo estetica, ma sociale. L'obiettivo è un ambiente che si percepisce come autoreferenziale e classista, dove l'appartenenza a determinati circuiti formali determina la legittimità artistica. La critica più feroce di Morrone riguarda quella che lui percepisce come un'ipocrisia di fondo: "Artisti sinistroidi con le boiserie pure nel cu*o", "tristi e finti poeti maledetti ubriachi di Rimbaud e Baudelaire, ma con lussuosi appartamenti e villini al mare". La frecciata a Luca Marinelli sul compenso ricevuto per interpretare Mussolini nella serie "M" ("Gente che ‘si sente male e ha sofferto' per aver interpretato il ruolo del Duce, ma che, come per magia, si riprende molto bene da questo tumulto dopo aver incassato 1.5 milioni di euro") sembra un remake delle accuse che i giornali di destra gli lanciarono in tempo reale, al momento del lancio della serie.
Al di là della provocazione, le parole di Morrone sollevano interrogativi legittimi sul concetto stesso di valore culturale nel cinema contemporaneo. Chi decide cosa è arte e cosa è mero intrattenimento? È davvero la formazione accademica a determinare il valore di un attore? O è il pubblico, con il suo supporto, a decretare il successo di un'opera? Il fenomeno non è nuovo, ma ora che il contesto sta cambiando, sta rinverdendo. La tensione tra cultura "alta" e cultura "popolare" attraversa la storia dell'arte in ogni sua forma, ma nel contesto del cinema italiano contemporaneo assume caratteristiche particolari e in passato ci sono state "prove tecniche" di dialogo pubblico.
Le parole di Morrone amplificano il pensiero del ministro Giuli sul cinema "di sinistra"
Michele Morrone, con una manovra senza alcun dubbio scaltra, sembra quasi amplificare ed estendere quelle istituzionali del ministro Alessandro Giuli: "C'è una minoranza rumorosa che si impadronisce dei più alti luoghi delle istituzioni culturali". Una minoranza che si presume parli solo a se stessa pretendendo di rappresentare tutti. Michele Morrone non sarà Mastroianni, ma l'ha detta forte puntando il dito contro l'incongruenza che sempre c'è tra i valori dichiarati – inclusività, impegno sociale, sensibilità politica – e gli stili di vita privilegiati di chi occupa posizioni di prestigio nel cinema italiano. Dopo questa, è candidato ufficialmente come riferimento "anti-Germano".
