Morgana Giovannetti: “Al Bagaglino grazie a Pingitore. Fu lui a dire ‘stop’. Col Pulcino Pio tanti soldi, ma non a me”

Ci sono volti che restano impressi per sempre e che non sfumano nella memoria, anche a distanza di tanto tempo. E quello di Morgana Giovannetti è uno di questi. Bambina prodigio del Bagaglino all’inizio degli anni novanta, i capelli ricci e i grandi occhiali dell’attrice romana sono rimasti impressi nell’immaginario collettivo, così come le sue imitazioni, proposte dinanzi a decine di milioni di italiani.
“All’epoca non avevo la percezione di quanta gente fosse sintonizzata davanti al televisore – racconta la Giovannetti a Fanpage.it – per me era come andare a casa di un amico. Non mi rendevo conto di quanto fosse incredibile il posto in cui mi trovavo. Solo crescendo ho compreso che immenso gioiello fosse il Salone Margherita”.
Classe 1984, Morgana è nata nella Capitale, da cui non si è mai spostata. “Ho origini abruzzesi e tutti i ferragosto li trascorro a Cabbia, una frazione di Montereale in provincia de L’Aquila, ma la mia vita e i miei amici sono a Roma”.
Il primissimo approccio al mondo dello spettacolo avvenne allo Zecchino d’Oro: “A 5 anni feci le selezioni. Le mie cugine volevano partecipare e mia zia mi chiese di accompagnarle. Accettai e alla fine passai solo io. Andai avanti fino all’ultimo step precedente all’apparizione in tv. A quel punto mi bloccai. C’era una signora che ci faceva le boccacce e i ‘marameo’ per valutare le reazioni che i piccoli avrebbero avuto col pubblico. La mia fu quella di non cantare, rimasi paralizzata”.
La nuova occasione giunse comunque a breve distanza e stavolta Morgana si fece trovare pronta: “Nell’estate del 1991 eravamo in vacanza a Rimini, da dove andava in onda lo spettacolo di Pingitore ‘Stasera mi butto’. Esisteva una sezione per i bambini e volli iscrivermi. I casting si tennero al Grand Hotel e fu lì che incontrai per la prima volta il maestro, col suo grande cappello che gli copriva la faccia”.
Ti classificasti al primo posto nella categoria junior.
Esatto. L’edizione ufficiale fu vinta da Giorgio Panariello e Max Giusti arrivò terzo. Un super podio, se consideriamo la carriera che avrebbero avuto negli anni a venire.
Senza quella vacanza il destino avrebbe preso un’altra strada.
Penso di sì. Ma anni dopo scoprii che i miei genitori si erano conosciuti in uno spettacolo di Pingitore. Si intitolava ‘C’era una volta Roma’. Mio padre faceva il ballerino e mia madre la figurante. Passarono giornate intere a stretto contatto e si conobbero. Quindi posso affermare che Ninni è stato ed è ancora una parte fondamentale della mia vita.
Poco dopo si aprirono le porte del Bagaglino.
Cominciai nell’ottobre seguente. Era riniziata da qualche settimana la scuola quando ricevetti la telefonata di Pingitore. L’impegno fu solo televisivo, aggiungerci anche quello teatrale sarebbe stato gravoso.

Com’erano organizzate le tue giornate?
Andavo a scuola dal lunedì al venerdì e durante la ricreazione studiavo il copione. La domenica invece visionavo i vhs per osservare nuovi personaggi da imitare. Feci un conto: in quattro anni, al Bagaglino le imitazioni furono circa 130.
Fu complicato gestire l’impatto con la popolarità?
Uscivo con mia madre il pomeriggio, prendevamo la metropolitana e scendevamo a Piazza di Spagna, dove era sempre pieno di gente. Era scontato che mi fermassero e puntualmente succedeva. Non c’erano i cellulari e non mi chiedevano i selfie, ma venivano in massa ad abbracciarmi. A quell’età non percepisci l’anomalia, vivi quella situazione e basta. Tuttavia, se ci fossero stati i social, per me sarebbe stato tutto più difficile.
Perché?
Avrei subito un’onda maggiore e sarei stata poco serena. E forse sarei durata meno.
A scuola come accolsero l’immensa notorietà?
Si andava a letto presto e i miei compagni non guardavano il Bagaglino. Non c’erano i commenti del giorno dopo. Al limite, se mi accadeva qualcosa di particolare, ero io stessa a raccontarlo.
“Creme caramel”, “Saluti e baci”, “Bucce di banana” e “Champagne”. Poi, compiuti 10 anni, arrivò lo stop per volere dello stesso Pingitore.
Quando approdai alle medie gli impegni si interruppero. Venni chiamata ogni tanto per qualche ospitata, ma niente più. Pingitore mi disse che era arrivato il momento di fermarmi, spiegandomi che non ero più una bambina, né un’adulta.

Come reagisti?
Ti confesso che pure io mi stavo divertendo meno. Mi stava salendo un’ansia da prestazione che da piccola, comprensibilmente, non avevo mai avvertito. Capimmo entrambi che era il momento giusto per mollare.
Il grosso limite dei bambini che diventano star è che la loro utilità termina con l’ingresso nell’età dello sviluppo.
Non ho vissuto quella fase perché Pingitore mi stoppò prima. È normale che una bambina una volta cresciuta non serva più. È un iter naturale. Nel mio caso il distacco fu tenue e non traumatico. Sai, andavo in video una volta a settimana, per dodici settimane l’anno. Non ho patito quell’astinenza che, al contrario, provano oggi i ragazzini che diventano famosi sui social. In questo caso l’esposizione è quotidiana, continuativa. È più complicato accettare l’uscita di scena.
Eri una bambina immersa in un mondo di adulti. Che clima si respirava dietro le quinte?
Vedevo tanta concentrazione che compresi solo da grande. Una bimba in un contesto di adulti, se non sta al suo posto, tende a disturbare. Durai per quattro anni, questo significa che ero educata e disciplinata. Dovevi fare i conti con la tipica fretta e con l’agitazione del dietro le quinte. Crescendo e rivivendola con la maturità mi sono accorta che quella velocità era la parte più bella di quel lavoro.
Guadagnasti bene?
Un bambino non guadagna come un adulto e non possiamo fare il raffronto con gli Stati Uniti, dove un baby-prodigio prende molto di più. Io ero sicuramente ben pagata e quei soldi aiutarono la mia famiglia. Il denaro fu utilizzato per finanziare progetti che servivano a tutti. Ad esempio, ristrutturammo la cameretta in cui dormivo con le mie sorelle.
Abbandonati i riflettori ti concentrasti sugli studi.
Sono sempre andata molto bene a scuola, ma senza la tv non avevo più quelle distrazioni che mi prendevano molto tempo. Però a 15 anni, frequentando il Liceo, sentii il desiderio di avvicinarmi al teatro e ricominciai a recitare.
E Pingitore riapparve nella tua vita.
Lo ricontattai verso i vent’anni, al secondo anno di università. In realtà non ci eravamo mai persi di vista, ci mandavamo gli auguri di Natale e di compleanno. Un giorno, a sorpresa, oltre a ricambiare gli auguri mi fece la proposta: ‘Hai da fare il prossimo mese? Mi servirebbe un aiuto regista’. E così lo affiancai in ‘Gabbia di matti’, ‘Vieni avanti cretino’ e ‘Bellissima’. Parallelamente mi laureai in Economia Aziendale, con specializzazione nel marketing televisivo, a cui ho aggiunto pochi anni fa un Master di primo livello di scrittura per cinema e tv.
Un’ulteriore svolta si materializzò con l’approdo a Radio Globo.
Già nel 2011 con il tormentone ‘Ostia Beach’ mi sentii Beyoncé. Mai avrei immaginato che l’anno seguente ci sarebbe stata un’esplosione ancora più fragorosa col ‘Pulcino Pio’. Il brano venne tradotto in quattordici lingue, un successo così non puoi pianificarlo. Mi richiamarono addirittura dall’Università per tenere una lezione agli studenti. Spiegai che studiare serve, ma che ogni tanto una bomba di marketing del genere ti può esplodere tra le mani. Quella canzone fece scuola sul fronte della viralità.
Come nacque l’idea?
I proprietari di Radio Globo sono italo-brasiliani e un giorno ci fecero ascoltare questa filastrocca invitandoci a inventare qualcosa su quella melodia. Scrivemmo questa canzone adattata all’italiano, nella quale cambiammo gli animali e ci inventammo il finale del trattore. Sembrava una cretinata, ma ti assicuro che cantarla non era semplice.
Non posso non ritirare fuori il fattore economico e chiederti quanto ti ha fruttato.
Non mi ci sono comprata casa, se è questo che vuoi sapere (ride, ndr). C’è poca conoscenza su come funzionano i diritti d’autore e di edizione dei brani. Io e gli autori abbiamo avuto le nostre soddisfazioni, però il vero boom si concretizzò su Youtube con oltre 6 milioni di iscritti e 368 milioni di visualizzazioni. Se il canale non è il tuo, non sei tu ad incassare. Ci sono mille dinamiche che non coinvolgono i semplici autori. Pertanto, la sintetizzerei in questo modo: sono sicuramente entrati tanti soldi, ma non a me!
Ricordo un servizio de “Le Iene” non proprio tenerissimo.
Andrea Agresti mi inseguì per ore, portandomi allo sfinimento. Mi resi conto del lavoro complicato che fanno. Allora vivevo ancora con mia madre e passarono tutta la notte sotto casa mia. Inizialmente mi divertii, ma quando alle 4 svegliarono l’intero palazzo chiesi loro di smetterla. Quando esausta dissi che mi avevano scocciato, Agresti poté finalmente rispondermi ‘figurati tu quanto ci hai rotto con il Pulcino Pio’. Alla fine furono carini. Feci salire Andrea e la troupe e feci un caffè a tutti.
La Morgana dei grandi successi televisivi oggi potrebbe essere tua figlia. Cosa provi nel riguardarti?
Mi apprezzo. Provo ammirazione e al contempo, essendo precisissima e una perfezionista, noto quelle cose che avrei potuto fare meglio. Per il resto, amo soffermarmi sui dettagli. Rispolverando alcune imitazioni tendo a ricordare come arrivai a produrre certi gesti e certe mosse.
Ogni tanto ritrasmettono “Gole ruggenti”, tua prima e unica esperienza cinematografica.
Il film lo passano ogni anno in concomitanza del Festival. Me ne accorgo perché mi arrivano puntualmente 30-35 euro di diritti dal Nuovo Imaie, che è l’istituto mutualistico che tutela gli interpreti! Fu un’esperienza divertente. Gli esterni furono davvero girati a Sanremo, mentre l’Ariston venne riprodotto al Sistina.
Nel 1993 alla serata dei Telegatti ti ritrovasti in mezzo a Dustin Hoffman, Gene Hackman, Michael Douglas, Sharon Stone e Ben Gazzara. Da non crederci.
Premiai la miglior trasmissione per bambini e ritirammo il Telegatto per ‘Saluti e baci’. Se non circolasse il filmato in rete e mi mettessi a raccontarlo sembrerei una mitomane. Infatti non ne parlo mai. Un conto è se lo fanno gli altri, un altro è auto-celebrarsi. In ogni caso, mi fa strano rivedere quel video, mi sembra un’altra vita, un’altra Morgana. Fu un privilegio incredibile e sono contenta di aver potuto vivere quell’esperienza, anche se quella sera tornai a casa un po’ delusa.
Come mai?
Ero fan di ‘Beverly Hills 90210’ e speravo di poter conoscere qualche protagonista, che partecipò dodici mesi dopo. Motivo per cui sognai fino all’ultimo secondo che ci assegnassero un Telegatto pure per il 1994. Solo per poter incrociare i miei idoli.
Gli ultimi anni del Bagaglino sono stati tutt’altro che brillanti. Un appannamento che tu hai vissuto dall’interno.
Il Bagaglino è rimasto sempre coerente e uguale a se stesso, senza avere il bisogno di adeguarsi alla nuova comicità. Finché è durato, il Bagaglino ha avuto un determinato linguaggio e tante persone lo hanno seguito fino all’ultimo cercando quello stile. Al Margherita non venivano i quindicenni, questo è chiaro. Io stessa fuori da quel contesto avevo una vita teatrale totalmente differente. Era un mondo a parte e puoi capirlo solo se lo hai vissuto. Il Bagaglino ha sempre rispecchiato la visione di Pingitore ed è rimasto fedele ai suoi principi. Nessuno ha mai avuto la voglia di cambiarlo.
Citavi il Salone Margherita, su cui è calato il sipario nel 2020.
L’immobile è di proprietà della Banca d’Italia e dopo il covid non l’ha più dato in gestione. È in vendita e si spera che qualcuno lo compri. Per quel che mi riguarda, ci sono rientrata mesi fa proprio per una serata in onore di Pingitore e ci siamo resi conto di quanto il teatro sia curato e ben custodito. Sono stati effettuati molti lavori e per tutti noi è stato un sollievo. Il Margherita è splendido, ha una storia pazzesca che non può non essere valorizzata. Sulla struttura c’è un vincolo di destinazione, ma per ora viene utilizzata solo per singole serate o per ciak teatrali.
Lo abbiamo nominato mille volte. Cosa rappresenta per te Pier Francesco Pingitore?
È una figura fondamentale, ha un ruolo che non ha una definizione precisa. È un appoggio, una colonna, un consigliere. Ha 91 anni, esattamente mezzo secolo più di me. Ce lo ricordiamo sempre. Vado a casa sua una volta a settimana e coltiviamo i nostri riti, come andare al bar, passeggiare. È un pezzo di cuore e di vita.
Cosa fa oggi Morgana?
Sono una speaker della Rai ormai da tre anni. In azienda siamo ancora definite annunciatrici. Sono una voce fuori campo nei promo, curo le schede e i servizi di ‘Domenica In’, ‘Porta a porta’ e molte altre trasmissioni, oltre a dare spesso la voce nei telegiornali a star straniere durante le interviste. Inoltre, mi occupo delle audiodescrizioni per gli ipovedenti. L’ultimo lavoro svolto è stato per lo Zecchino d’Oro e per il film della Cortellesi ‘C’è ancora domani’ su RaiPlay. È un lavoro bellissimo, seppur faticoso e particolare. Purtroppo sta lentamente sfumando. Amazon Prime e Netflix si affidano già all’intelligenza artificiale.

Temi che l’intelligenza artificiale possa scipparti il lavoro?
Potrebbe accadere, ma ci sono compiti che l’AI non può assolvere. Gli annunci fatti con l’intelligenza artificiale non suonano, così come il doppiaggio. Magari tra cinque anni la storia sarà diversa e verremo superati, ma attualmente la voce umana rimane determinante. Un’audiodescrizione affidata all’intelligenza artificiale è mono-vocale, senz’anima. Non sono spaventata.
Sei voce e non più volto. Un sollievo o provi un po’ di nostalgia per i riflettori?
Non ho mai pensato di essere un volto, mentre la mia voce mi dà fierezza. Questo lavoro non ti fa apparire, che è quello a cui tutti ambiscono in questa era. Conta esserci, farsi vedere. La mia professione autoannulla questo fattore. Ci sei, ma in maniera professionale.
In compenso, a livello fisico sei rimasta molto simile a quella Morgana.
Beh, gli occhiali non li posso togliere e i capelli sono ricci per natura. Diciamo che sono marchiata a vita!