Luca Dirisio: “Spremuto nel pieno del successo, a Sanremo fui snaturato. Oggi voglio rialzarmi con nuova musica”

“In genere la gente crede che sei non vai in tv e non passi in radio sei morto. Si sbagliano di grosso”. Pensieri e parole di Luca Dirisio, che il 19 dicembre ha pubblicato “È tutto fragile”, brano che segna il suo ritorno dopo un lungo periodo di silenzio. “A 30 anni hai determinate aspettative, a 35 altre, mentre a 47 il mio obiettivo è unicamente quello di proseguire il più a lungo possibile – confessa in questa intervista a Fanpage.it – non ho in testa altri traguardi. Con più o meno visibilità, la mia musica l’ho sempre fatta. Chi mi segue lo sa”.
Originario di Vasto, Dirisio, classe 1978, si avvicinò alla musica già da giovanissimo: “Al Liceo ero tra i ragazzi più vivaci e durante le recite mi ritrovavo a non fare niente. Tutti gli altri provavano delle performance, io no. Quindi chiesi informazioni ad un amico e scoprii che l’unica possibilità rimasta era quella di unirmi ad una band di nerd che non aveva il frontman. Mi feci avanti e mettemmo su dei pezzi. La sera dell’esibizione facemmo commuovere tutti i professori, che evidentemente non si aspettavano da me questa dote”.
A quel punto Luca ci prese gusto: “Decisi di riprovarci e mi iscrissi al festival estivo della Parrocchia. Da lì mi misi in moto, piano piano. Iniziai a parlare col tizio che suonava la chitarra, me la feci prestare, mi esercitai. Mi resi conto che l’idea di poter cantare testi scritti da me mi stimolava”.
La prima vera band prese forma all’Università, a Roma: “In una primissima fase realizzavo canzoni di otto minuti, senza ritornello e struttura. La grande città mi fece maturare e incrementare la qualità. Cominciai a scrivere con coscienza ed entrai nel giro. Mi misi a mandare le demo alle varie case discografiche, abbinando il tutto alla classica gavetta. Mi muovevo col motorino e andavo a cercare i locali che fossero interessati alla mia musica”.
La svolta arrivò nel 2004 con “Calma e sangue freddo”.
Avevo chiesto a Roberto Angelini, che conoscevo, chi fosse il suo produttore. Mi mise in contatto con Giuliano Boursier e gli inviai una decina di canzoni. Le ascoltò e mi confidò che aveva individuato ben 4-5 potenziali hit che portò alla Sony. Partì tutto così, con un contratto con la stessa Sony e il premio di rivelazione dell’anno al Festivalbar con ‘Calma e sangue freddo’, per l’appunto.
Un vero e proprio sogno.
L’anno prima ci iscrivemmo al Summer Festival di Mtv. Ci spostavamo con l’auto del batterista che il papà aveva vinto attraverso il concorso del panettone Melegatti. Arrivammo in finale, ma la macchina ebbe un guasto e ci lasciò a piedi. Chiamammo gli organizzatori avvisandoli che eravamo fermi a 200 chilometri di distanza. Ovviamente non ci esibimmo, ma riuscimmo ugualmente a vincere, grazie ai tanti punti che avevamo accumulato in precedenza. Se ci ripenso provo tanta tenerezza e affetto per quel ragazzo senza soldi che si presentò da Boursier in compagnia del padre.
Ti facesti accompagnare?
Da solo non sarei stato credibile. Anche se avevo 25 anni, il mio viso ne dimostrava 15. Quindi lo coinvolsi: ‘Papà, vieni con me e non parlare. Devi solo ascoltare. Mi servi come eventuale testimone’. Essendo lui un avvocato poteva essermi utile per dei suggerimenti.
Il successo fu travolgente.
Vinsi contro tutti i pronostici. Avevo già pronto il disco con 12 brani, ma quando vedi che iniziano ad ascoltarti, lo stimolo naturale è scrivere ancora. Prima non ti filava nessuno, mentre ora tutti aspettano te. Il godimento vero era assistere al concerto al pubblico che intonava tutte le tue canzoni. Capisci che hai fatto qualcosa di buono. Le persone si rivedevano nei miei testi e mi ringraziavano. Era lo stimolo perfetto per riprendere la chitarra e ripartire da capo.

Fu difficile gestire la fama?
Su quello erano più concentrati i discografici e chi lavorava attorno a me. L’artista deve essere libero, non deve pensare al successo e per metterlo nelle condizioni di bissare devi lasciarlo sereno. Avevo 25 anni e non mi sono goduto quell’exploit. Le persone che mi circondavano mi dicevano cosa fare, ero un cane da combattimento con la museruola e il guinzaglio.
Subito dopo arrivarono “Il mio amico vende il tè” e “Usami”. La critica ti aspettava al varco.
La critica non mi è mai interessata, non capisco nemmeno perché esista. I giornalisti critichino pure, come gli haters sui social sono bravi ad aprire la bocca. Non si mettono nei panni dell’artista che con quei brani racconta la sua vita. Riguardo a ‘Il mio amico vende il tè’ posso dirti che la canzone era in realtà dedicata ad una signora che viveva vicino a me, nello stesso pianerottolo, nella porta accanto. Il resto del testo fu solamente uno specchietto per le allodole!
Ti sentisti spremuto?
Assolutamente sì. La mia fase musicale migliore, a mio avviso, è proprio quella che sto affrontando adesso. Vivo senza la preoccupazione di sapere come andrà il nuovo singolo. Inoltre, ho al mio fianco il mio nuovo manager e produttore, Piero Garone. Il solo fatto di esserci incontrati, di sentire con lui una certa sinergia e di stare bene insieme è fantastico. Ha dieci anni meno di me e ha saputo darmi delle direttive senza impormi nulla. La maturità ti regala anche la capacità di ascoltare di più. Sono molto appagato.
Nel 2005 approdasti per la prima volta a Sanremo, ma solo come ospite.
In quel periodo ero sfrenato. Presenziai nella serata dei duetti e fu come una gita. Cantai col mio amico Paolo Meneguzzi e fu davvero bello.
Un anno dopo ci tornasti, stavolta in gara con “Sparirò”.
Feci un po’ di cazzate sul fronte comunicativo. Ero insofferente a determinate persone e a giornalisti che mi intervistavano ponendomi sempre le stesse domande. Ti facevano credere di essere interessati al cantante, poi però imbastivano articoli in stile ‘Novella 2000’. Misero in luce solo la mia esuberanza e questo mi diede parecchio fastidio. Non fui sereno in quella settimana, l’unico istante di godimento era quando mi trovavo sul palco, circondato da un’orchestra straordinaria. Avevo piacere di cantare un brano che avevo dedicato ad una persona importante.
Ti eliminarono alla terza serata.
Ero nervoso per cause esterne e non badai alla competizione. Ero costretto a fare il vip, a vestirmi in una certa maniera. Mi snaturarono e per questo motivo non stetti bene. Io dovevo stare tranquillo. In ogni caso, ‘Sparirò’ balzò prima in classifica in radio e vendemmo tante copie. Non è trionfando a Sanremo che si vince nella vita.
Il Festival è un capitolo chiuso?
No. Ma vorrei spiegare una cosa: Sanremo non funziona esattamente come viene raccontato. Non è che mandi il brano e loro ti richiamano. All’epoca mi contattarono chiedendomi se avessi la canzone pronta. Va così. Il direttore artistico va a parlare con i discografici, va nelle radio e poi sceglie il cast. È inutile spedire il pezzo, tanto non sai mai da chi verrà ascoltato. Se vorranno rivedermi al Festival, un pezzo per Sanremo ci sarà sempre.
Nel 2011 partecipasti a “L’Isola dei famosi”. Sai già cosa intendo chiederti.
Immagino ti riferisca a ‘L’Isola degli sfigati’, brano che feci uscire nel 2006. Quella canzone non riguardava ‘L’Isola’. Parlavo di noi stessi, che siamo vittime di un sistema e che viviamo come se fossimo in un reality, sempre controllati, sempre agli ordini di qualcuno. Per trovare una metafora giusta proposi ‘L’Isola degli sfigati’, dove alla fine vince uno stronzo. Nella vita vince sempre il più stronzo, anche se ti affanni a studiare. Siamo sempre condizionati e manipolati da chi pensa di sopraffarci.

Durante il programma ti rinfacciarono quella canzone.
Simona (Ventura, ndr) cercò di canzonarmi e quando provai a spiegare diede la parola ad altri.
Era prevedibile che accadesse.
Non parlai male del programma, lo ribadisco. Utilizzai una metafora e usai il video come veicolo. Non avevo niente contro la Ventura, altrimenti non sarei andato. Accettai perché stavo vivendo un momento stressante. Mi dissi: ‘Ok, ci vado’. Ma io speravo di fare ‘L’Isola’ in stile Robinson Crusoe.
Invece?
C’erano signorine che prendevano per tutto il tempo il sole e che si allertavano solo quando passava la telecamera. Al contrario, io davvero mi posizionavo sullo scoglio per pescare. Sono sempre stato spontaneo e mi irritai quando mi resi conto che c’erano persone che sapevano benissimo come comportarsi a riflettori accesi. Ad ogni modo, rifarei tutto. Soffri la fame, ma stai in un posto figo e io amo vivere all’aria aperta.
Onestamente, né “Grande Fratello”, né “L’Isola” hanno mai rilanciato carriere.
Infatti, non andai là per quello. Il rilancio poteva essere forse il motivo degli altri concorrenti. Io mi volevo godere la vita selvatica e non immaginavo che ci fosse gente intenta a cianciare di continuo. Sono sempre stato me stesso, altri no. Senza contare che il posto è piccolo. Nonostante tu sia su un’isola, devi sempre rispettare i limiti di spazio. Non hai tutto il posto a tua disposizione, devi muoverti in luoghi raggiungibili dalle telecamere. È una specie di casa del ‘Gf’ a cielo aperto e senza comfort.
Anche il cachet influì…
Sono stato ben pagato, ma non fu il vero motivo per cui ci andai. Simona me lo propose, pranzai a casa sua, ci riflettei per una settimana e mi tuffai. In tanti mi sconsigliarono di partire, ma feci tutto io. Se ci furono degli errori, fu per colpa mia. Se rifacessi oggi ‘L’Isola’, tornerei là con maggiore consapevolezza, comportandomi in maniera differente.
Quanto ha influito l’aspetto fisico nel tuo intero percorso?
Non ho mai puntato sulla bellezza. La bellezza è la musica, è vedere i fan che cantano la tua canzone, è la libertà di scrivere ciò che vuoi. Non giudico in base all’estetica. Nasciamo in una maniera e diventiamo tutti anziani. L’importante è non perdere la saggezza e la voglia di crescere nel desiderio di fare buone cose.
La televisione ti ha più cercato?
Sì. Se mi contattassero per farmi eseguire il mio singolo, ci andrei. Ma ho una certa avversione nei confronti della tv. ‘L’Isola’, per esempio, nel mio cervello era disegnata in una certa maniera e purtroppo divenne altro.
Cosa guardi?
Apprezzo ‘Report’ e la Gialappa’s. Non amo le serie. Mi annoia stare sul divano, preferisco andare al cinema.
Torniamo a bomba. Il presente si chiama “È tutto fragile”. In seguito cosa succederà?
Vorrei uscire con più singoli, tirarli fuori con calma, senza pressioni. Ho lavorato sodo per un anno e mezzo e ho prodotto tanto materiale. Ho atteso il momento giusto, pensavo che questo fosse il migliore.
Hai segnato una rottura col passato?
No, ma la musica è uno degli elementi artistici che ha più bisogno di evoluzione. Il mondo cambia e cambia anche la musica. Non dobbiamo mai stravolgere noi stessi, ma è giusto attingere dal presente e dalle nuove generazioni. Mi auguro di esserci riuscito. Sono diverso dal primissimo Luca Dirisio, l’unica cosa che ci lega è la mano, che ha sempre composto musica e parole.
Il tuo lavoro precedente risale addirittura a prima della pandemia.
’Bouganville’ uscì nel novembre 2019, due mesi prima che scoppiasse il covid. Fu un grande dispiacere, il lavoro venne letteralmente bruciato dalla cancellazione del tour. La musica non paga più con la vendita dei dischi, oggi le cose sono cambiate e l’unica soluzione sono i live. Per due anni gli artisti e gli operatori del settore sono stati dimenticati. Abbiamo lavorato a singhiozzo.
Possiamo considerare “Bouganville” un album fantasma?
Non proprio fantasma. Lo zoccolo duro lo mantenni, i fan lo acquistarono immediatamente. Ma non ebbi la possibilità di veicolarlo a chi non mi conosceva. Fu terribile.
Cosa sogna ora Luca Dirisio?
Ho voglia di rialzarmi e di dare una svolta. Gli ultimi anni sono stati i peggiori della mia vita, sono successe svariate cose che non voglio spiegare nel dettaglio. Mi sono separato da mia moglie, ho cambiato produzione e ora ho un nuovo team. Ho dovuto farlo, altrimenti sarei affondato. E questo singolo è la prova dello sforzo compiuto.