Fabio Maffini, venti anni dopo Campioni: “Coi social saremmo stati milionari. Per il calcio eravamo gli sfigati della Tv”

“Ormai sono passati vent’anni, ma per me è sempre un piacere parlarne”. Fabio Maffini sorride nel ripensare a “Campioni”, un’avventura ormai lontana nel tempo, nonostante certe immagini impresse nella mente sembrino recentissime. In una tv invasa dai reality, il programma di Italia 1 aveva l’ambizione di fondere calcio e spettacolo. E da questo presupposto nacque l’idillio fra Mediaset e il Cervia, club romagnolo militante in Eccellenza chiamato a tentare, sotto l’occhio delle telecamere, la scalata verso i Dilettanti. “Le selezioni presero il via nell’estate del 2004 – racconta Maffini a Fanpage.it – stimarono un totale di 150 mila persone che fecero domanda. Ci fu una vera mobilitazione”.
All’epoca ventiduenne, Fabio già giocava a pallone, con esperienze varie tra la Promozione e l’Eccellenza: “Nel 1986, da giovanissimo, approdai al Cesano Boscone e in seguito mi spostai tra la Segratese, il Cisliano, il Tessera e il Settimo Milanese. Ero bravo, a tal punto che a 11-12 anni il Como voleva acquistarmi. Purtroppo però le dirigenze di allora vendevano i cartellini a prezzi assurdi. Quindi tanti treni che sono passati io e molti miei amici li abbiamo persi. Avremmo potuto fare il salto di qualità, ma c’era chi puntava a fare cassa”.

I rimpianti, comunque, non hanno mai invaso i pensieri di Maffini: “Mi piaceva stare con gli amici, mentre la vita del calciatore è fatta di sacrifici. A noi non interessava stare dietro alle regole”. Malgrado ciò, arrivò l’occasione di “Campioni”, grazie ad un intervento speciale: “Fu mio padre ad iscrivermi, a mia insaputa. Quando mi ricontattarono avvisandomi che mi sarei dovuto presentare alla Borghesiana, caddi dalle nuvole. In quel momento giocavo nel Settimo, ma decisi di tentare”.
Che clima trovasti?
Ci fecero fare provini calcistici con innumerevoli test tecnici. Successivamente, ci misero davanti ad una telecamera e ci fecero mille domande. Oltre al discorso calcistico, cercavano di notare qualche particolarità caratteriale. Già allora avevo un’immagine particolare, con molti tatuaggi in vista. Tuttavia, l’unico mio interesse riguardava l’aspetto sportivo.
Superasti la scrematura e rientrasti nella rosa dei 24.
Mio padre purtroppo morì due mesi dopo il mio ingresso nel Cervia. Aveva appena 53 anni. Un lutto che inevitabilmente influì sulla stagione, anche se tentai ugualmente di essere sereno perché stare lì equivaleva a regalare una soddisfazione a lui.
A quanto ammontava lo stipendio?
C’erano dei tetti sostanzialmente bassi. I più piccoli prendevano 250 euro al mese; i senatori arrivavano anche a mille. Io ne percepivo 550, ma a questi devi aggiungerci i compensi derivanti dalle serate in discoteca e dalle varie iniziative collaterali. Tieni conto che eravamo a Milano Marittima, in zona era pieno di locali e negozi che ci donavano i vestiti. Inoltre, non dovevamo spendere nulla per il vitto e l’alloggio.
Mettesti da parte qualcosa?
No, i soldi che arrivavano li spendevo, non me ne importava molto. Ora a 44 anni ammetto che un po’ mi girano i coglioni. Avessi avuto la testa di adesso, avrei potuto agire diversamente. Ma l’economia domestica non era il mio forte.
Nella prima fase il programma faticò.
Hai ragione. Tutto cambiò con la decisione di mandare le gare di campionato della domenica mattina in diretta su Italia 1. Ci fu tutt’altro impatto, dalla nicchia di Sky passammo ad una rete in chiaro che tutti potevano guardare. Contestualmente, la squadra iniziò a carburare e aumentò la nostra credibilità. D’altronde, se non vinci è difficile che la gente si appassioni. A quel punto cominciarono a fermarci in massa per strada, ci chiedevano foto e autografi e nella nostra residenza arrivavano lettere da tutte le parti d’Italia.
Avvertisti la supremazia delle dinamiche del reality sulle questioni sportive?
Per larghissima parte dei ragazzi l’esperienza al Cervia fu calcio al cento per cento. Ci allenavamo come se fossimo in Serie C e, non a caso, la domenica, correvamo il doppio rispetto agli avversari. Credimi, non fu una passeggiata. Vincemmo il campionato con distacco, ma ricordo trasferte come quella di Comacchio, con 6 mila tifosi della squadra di casa scatenati contro di noi. Detto ciò, soprattutto all’inizio avvertimmo l’impronta televisiva. La casa era frequentata da diverse ragazze che realizzavano contenuti utili alla striscia quotidiana. Tra di loro c’era anche Andrea Delogu.

La popolarità ad un certo punto vi travolse.
Una roba senza senso, assurda. Una sera ci recammo a San Siro per vedere una gara di Champions del Milan contro lo Shakhtar. Nel corridoio passò Nesta e mi salutò. Ebbi una crisi emotiva, sembrava di essere nel metaverso. Ti rendi conto? Nesta che dice ‘ciao’ a Maffini. Abbiamo vissuto un anno come se fossimo delle star di Hollywood. Pazzesco. Ad ogni modo, Mediaset ci mise nelle migliori condizioni per giocare a pallone. Tantissima gente lavorava nell’ombra. Eravamo un esperimento a tutti gli effetti.
In un’amichevole il Cervia affrontò proprio il Milan. Per te, rossonero sfegatato, fu il completamento del sogno.
Anche mio padre era milanista, non potei non pensare a lui. Mi ritrovai di fronte a Sheva, Pirlo, Gattuso, Seedorf, Kakà, Cafù e a fine partita la gente veniva a chiedere gli autografi a noi. Allucinante. Se ci fossero stati i social, saremmo diventati milionari e avremmo potuto monetizzare quel clamore.
Le ragazze erano pazze di voi.
Credo che quella sia stata la squadra che ha trombato di più nella storia del calcio (ride, ndr). Eravamo giovani, popolari e avevamo groupie dappertutto.
Oltre al Milan, sfidaste una marea di formazioni di Serie A. Giocavate duro, o eravate sopraffatti da un comprensibile timore reverenziale?
Tutti i match li disputammo col massimo dello sforzo. Gira una foto in cui io entro duro su Gattuso, ma le differenze di categoria erano evidenti. I calciatori di Serie A erano di un altro pianeta. L’unica partita che mi regalò belle soddisfazioni fu quella contro il Lecce di Zeman, che poi venne di persona a complimentarsi.
A San Marino sfidaste persino la Nazionale Piloti.
C’era il povero Schumacher e nel suo caso ci chiesero apertamente di evitare falli aggressivi. Ma lui non ci andava morbido. Pure nel calcio puntava a dare il massimo.
Con “Campioni” per la prima volta le telecamere entrarono in uno spogliatoio.
Lo spogliatoio era considerato qualcosa di sacro e nulla di quello che succedeva dentro poteva essere visto. ‘Campioni’ ruppe questo rituale. Gli sfoghi di Ciccio Graziani erano il contenuto che Italia 1 desiderava. Il mister sentiva molto la partita, non voleva mai perdere. Una persona davvero carina, la ricordo sempre con piacere. Purtroppo non lo vedo da tanto tempo.
Essere spiato durante l’intervallo ti creava imbarazzo?
Non mi sono mai abituato all’idea di dover fare delle battute a comando. Non che gli altri lo facessero, ma persone come Gullo o Alfieri avevano più iniziativa di me.
A fine campionato non rientrasti nella lista degli 11 che si giocarono la vittoria.
Nessuna sorpresa. In quella stagione non giocai molto. Dopo la morte di mio padre Claudio fui costretto ad allontanarmi per alcuni giorni e ritagliarmi uno spazio fu assai complesso. Non feci mai polemiche e diedi lo stesso una mano al gruppo. Per fortuna riuscii a segnare una rete che potei dedicare a papà. Fu una liberazione.

Uno dei vincitori, Lorenzo Spagnoli, ha affermato: “Sul fronte calcistico Campioni è stato penalizzante. I club ci vedevano più come dei personaggi televisivi”. Concordi?
Condivido in pieno. Quando ci andavamo a proporre in giro, per molti eravamo gli sfigati che avevano fatto un programma televisivo. Colpa spesse volte dell’invidia. Peccato, perché Lorenzo era davvero forte, potente, tirava delle punizioni meravigliose.
Dopo il Cervia non si fece avanti nessuno?
Ebbi tante richieste, ma la mia voglia di giocare era drasticamente diminuita. Mio padre non c’era più e rimasi volutamente nelle categorie più basse. Preferii non abbandonare i miei amici, il mio universo. Non mi interessava la vita da professionista. Il mondo del calcio non mi è mai piaciuto, ero anticonformista. Oggi probabilmente sarei stato un personaggio alla moda, allora invece la mia immagine era un ostacolo.
Più di un ragazzo fu confermato per la seconda stagione.
A me non proposero nulla. Subito dopo ‘Campioni’ iniziai a lavorare in radio a Rtl 102.5. Avevo troppe cose in ballo e, sinceramente, un altro anno in tv sarebbe stato pesante.
Possiamo dire che la tua esperienza calcistica terminò lì?
Praticamente sì. Sperimentai il Calcio a 5 in Puglia in A2, ma non mi piacque. Scelsi dunque di giocare in Prima Categoria, sempre in squadre vicine a casa. Non avevo più voglia di impegnarmi.
La tv ti ha mai corteggiato?
A Rtl rimasi per due anni, lavorando al fianco di persone straordinarie, mentre non avevo interesse a star dietro alla tv. Eppure avrei avuto delle chance. Ero carino, logorroico, facevo ridere, ma non me ne fregava niente. So che Apicerni è finito a ‘C’è posta per te’. Era bello, ha sfruttato la sua immagine e ha fatto bene. Idem Alfieri.
Dal 2014 vivi alle Canarie.
Esatto. Avevo divorziato da mia moglie e alle Canarie mi innamorai di una ragazza. Da questa relazione sono nati due figli, Nina di 9 anni e Nadir di 7, che da due gioca a pallone. E’ molto bravo, ha volontà e sono orgoglioso di lui. Io e la loro madre ci siamo lasciati e attualmente sono fidanzato con Aida, una splendida donna asturiana.
Insomma, sei felice.
Faccio il padre e cerco di godermi la vita. Qui si sta benissimo, fa caldo tutto l’anno e i ritmi sono più bassi. Devo però riscontrare che le cose sono cambiate rispetto a quando sono arrivato. Il costo della vita è aumentato ed è più difficile mantenersi.
Di cosa ti occupi?
Ho fatto il barman fino a qualche anno fa. Ora lavoro in un’impresa di costruzioni di miei amici. Il salario è migliore.
E l’Italia?
Ogni tanto ci torno, mi sposto spesso. Ma non penso di rientrare, almeno fino a quando i miei figli diventeranno maggiorenni. Purtroppo l’Italia è un Paese ancora bigotto e in città come Milano il livello di violenza si è impennato. Qua stiamo benissimo, al mare, abbronzati e con la pelle che sembra quella dei cubani.
Con i tuoi ex compagni sei ancora in contatto?
Certo. Siamo legatissimi e ci sentiamo regolarmente. Abbiamo una chat su WhatsApp e due anni fa ci siamo ritrovati in occasione della festa per il centenario del Cervia. Celebrare i tempi andati mi dà la carica"