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Spagna: i mercati arrancano, l’UE si fa più invadente, Monti punta il dito

Riflettori puntati sulla Spagna: la presenza della Troika sul territorio nazionale si fa più pressante. Rajoy continua a tagliare e riformare, ma secondo Monti non basta. Intanto, i mercati continuano a non credere nella ripresa europea. Abbiamo chiesto il parere di un esperto in materia economica per disegnare un possibile quadro del futuro del Sud Europa.
A cura di Anna Coluccino
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I mercati, in Spagna come in Italia, rimandano un'immagine dell'economia a dir poco preoccupante. In una nota di poche ore fa, la Banca Centrale Europea afferma: "Per la maggior parte dei paesi dell'area dell'euro i differenziali di rendimento delle obbligazioni sovrane a dieci anni rispetto ai titoli di Stato tedeschi hanno mostrato la tendenza a un ulteriore restringimento, ancorché piuttosto marginale, nel periodo di rassegna". E per quanto riguarda il mercato del lavoro, la nota incalza: "Le indagini congiunturali anticipano un ulteriore peggioramento nel breve termine. Le condizioni nei mercati del lavoro dell'area dell'euro continuano a deteriorarsi. La crescita dell'occupazione è rimasta negativa mentre è proseguito l'aumento del tasso di disoccupazione".  Pare, insomma, che il trattamento già sperimentato in Grecia e centrato essenzialmente sullo smantellamento dello stato sociale, lo "snellimento" del mercato del mercato del lavoro e la contrazione di salari e pensioni non aiuti l'economia. Detto in parole povere, sembra che dare meno denaro, servizi e certezze alle popolazioni si riveli controproducente per la circolazione di moneta, per gli investimenti e per i consumi. Pare insomma che la recessione sia l'unica conseguenza naturale delle politiche di austerity imposte a mezza Europa.

Naturalmente questo dato non rappresenta una novità neppure per i promotori del piano di austerity, i quali, però, continuano a mostrarsi ottimisti riguardo i risultati a lungo termine. Quanto tale termine sia lungo nessuno sembra capace di immaginarlo, così come non è chiara l'idea di futuro che queste misure intendono implementare. Si sente dire di continuo, in Italia come in Grecia, in Spagna come in Portogallo, che il mercato del lavoro va modernizzato, che smantellare quelli che fino a pochi anni fa sembravano diritti inalienabili è necessario perché l'occupazione cresca e l'economia riparta. Insomma: i tempi sono cambiati, dobbiamo andare avanti. Ma avanti verso cosa? Di che genere di occupazione parliamo? Come si configura questa fantomatica rinascita? In che modi, tempi e termini migliorerà le condizioni di vita dei cittadini europei? Nessuno risponde a queste domande. Nessuno sembra intenzionato ad affrontare simili quesiti perché, ora, quel che conta è salvare l'Europa, salvare il contenitore. Di quanto sta accadendo al "contenuto", vale adire ai popoli,  la politica non sembra interessarsi. L'idea che la soluzione progettata e perseguita con fede incrollabile dall'UE sia l'unica possibile sembra penetrare nel profondo la coscienza della maggior parte dei politici europei. A cominciare da Monti, passando per Papademos e finendo com Rajoy,  nessuno dei premier dei paesi più a rischio pare intenzionato a contestare, seppur debolmente, il piano che l'Europa ha ideato per salvare se stessa e gli stati che la compongono, neppure a fronte del crescente malcontento popolare e dell'inesorabile impoverimento che sta colpendo i rispettivi stati.

La Spagna, dopo la pesante riforma del lavoro, ha appena deciso di tagliare la spesa per sanità e istruzione, ma il Mercato non si accontenta, non crede nelle possibilità di ripresa e continua a penalizzare il Sud Europa. Tanto che persino Mario Monti – in genere piuttosto cauto nelle affermazioni – ha pensato bene di puntare l'indice verso Madrid affermando che il governo di Rajoy "ha fatto una riforma del lavoro molto incisiva ma non ha posto attenzione sui conti" e pertanto "sta dando all'Ue preoccupazioni perché i tassi salgono e ci vuole poco per ricreare un contagio che potrebbe allargarsi". Il premier spagnolo, da par suo, non l'ha presa molto bene, non intende lasciar passare l'idea che la Spagna sia una "nuova Grecia", ovvero la nazione su cui riversare le colpe del nuovo collasso che attende l'economia europea, ed ecco perché il neoeletto primo ministro spagnolo si è augurato che – in futuro – i leader europei sapranno assumersi "le loro responsabilità e siano più cauti nelle loro affermazioni". Insomma, nessuno dei politici al governo in Europa sembra intenzionato a opporsi ai dictat della Troika – applicati in maniera pressoché speculare in ogni stato considerato "debole" – eppure c'è una certa predisposizione a segnalare la presenza di pericolosi difetti nei piani altrui, difetti potenzialmente capaci di giustificare il mancato miglioramento della situazione economica generale.

L'Intervista all'esperto

Per tentare di avere un quadro più chiaro di quanto che sta accadendo, proveremo a rispondere ad alcune delle domande a cui nessuno risponde. E per farlo ci avvarremo dell'aiuto di Giuseppe Quaresima, Phd Law and Economics presso l'Università di Siena Ricercatore presso la facoltà di Economia dell'Università di Malaga. Trentenne, italiano, trapianto in Spagna da ormai quasi un lustro, studioso di economia, precario.

In cosa consistono, nella sostanza, i piani di austerity che l'Unione Europea ha imposto a Grecia, Spagna e Italia? Quali sono i provvedimenti centrali?

La principale preoccupazione dell'Europa è il debito, sia in termini di volume sia termini di incapacità di onorare il pagamento dello stesso. È in questo senso che vanno intesi i tagli alla spesa pubblica imposti ai vari paesi membri, è per questo che le principali misure richieste a paesi come la Grecia, la Spagna, l'Italia si concentrano sullo stato sociale. Questo significa non solo riduzione della spesa in campi come quello della sanità o dell'istruzione, ma anche riforma delle sistema pensionistico e del mercato del lavoro.

Chiaro. Ma quali sono, a livello puramente economico, le conseguenze più probabili di tali piani?

Dipende che modello economico si utilizza. In generale, gli esperti del settore sono tutti concordi nell'affermare che, nel breve periodo, questi piani non produrranno altro che recessione. La discrepanza di opinione risiede nel fatto che, nel medio periodo, per gli ortodossi dell'economia neoliberista, il ridotto debito degli stati, la minor presenza degli stessi nell'economia e soprattutto la maggior mobilità lavorativa finiranno per spingere i  paesi verso la crescita; gli economisti di matrice keynesiana, invece, obiettano che in realtà tutto ciò non farà altro che spingere i paesi verso la spirale del tagli-recessione-tagli , e che – inoltre – la ridotta possibilità di consumo, abbinata all'assenza di investimenti, porterà ad una forte crisi strutturale causata dalla sovraproduzione, con alti livelli di disoccupazione e estesi fallimenti settoriali. In pieno stile '29 per intenderci… La questione è che queste misure sono non solo inadeguate ma, cosa ancor più grave, non sfiorano neppure il vero cuore del problema europeo, ovvero la speculazione sul debito sovrano. A mio avviso per fermare la speculazione occorrerebbe istituire l'eurobond, in questo modo il mercato secondario dei bond verrebbe bloccato e la speculazione cesserebbe.

Come mai un paese come la Germania, legato com'era all'idea di uno stato sociale forte, ora si fa promotore di un suo diffuso indebolimento?

Quello tedesco viene spesso utilizzato come esempio positivo per quel che concerne la qualità della vita, le condizioni lavorative e lo stato sociale. In realtà la situazione è piuttosto cambiata. Dopo la crisi del 2003, le misure imposte sono andate proprio in direzione della precarizzazione delle condizioni lavorative,  dell'innalzamento dell'età pensionabile, dell'assicurazione sanitaria obbligatoria per chi lavora… Persino sull'immigrazione il governo tedesco ha stretto le maglie, imponendo un contratto di sei mesi e la residenza come precondizioni per l'ottenimento del permesso di soggiorno. Ciò detto, è vero che la Germania rappresenta la locomotrice dell'economia europea, che è la principale apportatrice di denaro e produzione in ambito europeo, e chiaramente i benefici della ristrutturazione non tarderanno ad arrivare per la florida industria tedesca. La Germania, di fatto, spinge per la specializzazione del lavoro in ambito europeo. In buona sostanza, sta utilizzando un'impostazione ideologica tardo-imperialista. Mi spiego: l'obiettivo finale sembra essere quello di relegare il Sud dell'Europa a ruolo di spiaggia per l'estate e luogo in cui ottenere manodopera a basso costo. Tant'è vero che, in questo senso, in Germania non mancano le offerte di lavoro per i profili altamente specializzati, molti dei quali arrivano proprio da paesi come la Spagna e la Grecia. Insomma: dietro la preoccupazione del ritrovarsi a dover pagare il debito di altri, la Germania sembra celare il desiderio di creare un forte esercito di lavoratori di riserva.

Mutatis mutandis, il progetto potrebbe essere quello di trasformare l'Europa del Sud in una sorta di America del Sud?

Possiamo dire che quello che sta succedendo qui e ora somiglia molto a quanto accadde all'Argentina nel 2001, quando il paese sudamericano venne spinto fortemente da interessi alieni verso l'adozione di  piani di austerity molto simili a quelli imposti a Grecia, Spagna e Italia. Il plano Cavallo ne è un esempio. Austerity, oggi, vuol dire recessione. Simili piani, in questo momento storico, lavorano nell'interesse del capitale tedesco e inglese; capitali che possono così permettersi di comprare la sovranità nazionale – in senso territoriale e non solo – di paesi come Grecia e Spagna a prezzi ridottissimi. In questo senso, il Sud Europa sarebbe esattamente come il Sud America o il Messico per gli statunitensi, e rientrerebbe a pieno nell'idea espansionistica di fine secolo scorso. Per chiudere il paragone vorrei sottolineare che mi pare evidente che la crescita e il risorgimento argentino si spieghino guardando alla forte autonomia politica che il continente sudamericano va conquistandosi, oggi, nei confronti degli USA.

E quindi la strada per il Sud Europa quale potrebbe essere?

Prima di tutto, quel che sorprende è che finora nessun governo abbia avuto il coraggio di dire "Signori, io non ci sto… A queste condizioni, esco dalla zona euro". Stando così le cose, manca la controprova, ovvero non si conosce il tipo di reazione che Unione Europea potrebbe avere di fronte a una tale eventualità. Ciononostante, ora come ora, credo non ci siano strade diverse da quella europea. Uscire dall'euro – oggi – per Grecia e Spagna significherebbe affrontare fenomeni di iperinflazione, eppure questo non significa che nel lungo periodo una soluzione del genere non si riveli migliore di quella che ci aspetta seguendo pedissequamente i dictat della Troika. Quel che appare evidente, comunque, è che la classe politica è in tutto e per tutto rappresentante di interessi economici particolari. Si pensi che Aznar e Felipe Gonzalez (presidenti del governo) lavorano oggi per multinazionali come Repsol e Endesa. E lo stesso accade per la vicepresidente del governo Zapatero, Salgado. Anche Monti, Draghi e Papademos sono rappresentanti degli interessi del capitale finanziario. Questo è il contesto. In fondo, è evidente come quella che Marx chiamava lotta di classe sia già in corso, solo che la stiamo perdendo.

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