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Siria: le intimidazioni del governo non fermano il “Venerdì della collera”

In quello che è stato ribattezzato “il venerdì della collera” la Siria è scesa in piazza per manifestare contro il regime ed esprimere la propria solidarietà alla città di Daara, epicentro della rivolta.
A cura di Alfonso Biondi
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Scontri in Siria

Gli avvertimenti del governo non fermano la protesta. La Siria scende in piazza e lo fa in quello che è stato chiamato "il venerdì della collera". La gente protesta contro il regime e manifesta la propria solidarietà alla città di Daara, epicentro della rivolta e teatro di atroci repressioni da parte di Bashar al-Assad. Facebook è stato ancora una volta il detonatore della protesta. Migliaia di persone affollano le vie delle più importanti città del Paese: Damasco, Banias, Homs. E anche a Daara i cittadini hanno manifestato, nonostante le intimidazioni dei soldati che hanno sparato ripetutamente in aria per far restare la gente a casa. Anche stavolta, però, a Daara è stato versato del sangue: fonti dell'esercito rivelano infatti che un commando di terroristi avrebbe assaltato una postazione militare uccidendo 4 soldati e rapendone 2.

Il regime di Bashar al-Assad ha cercato di intimidire in qualunque modo le proteste: a Latakia i manifestanti sono stati costretti a chiudere le strade con barricate per impedire alle forze governative di avanzare, nel quartiere Qanawat di Damasco le truppe del regime hanno sparato dei lacrimogeni per disperdere la folla. Insomma la tensione resta parecchio alta e pare proprio che la situazione stia degenerando. Molti siriani, infatti, stanno lasciando il Paese e si stanno dirigendo verso il Libano. Le stime provvisorie parlando di circa 3.000 persone in fuga, molte delle quali sarebbero donne e bambini.

Intanto 30 esponenti del partito Baath, il partito attualmente al potere, hanno rassegnato le proprie dimissioni per protestare contro la violenta politica repressiva messa in atto dal regime, una politica che fino ad ora racconta di 500 persone morte negli scontri. Le loro dimissioni si vanno ad aggiungere a quelle di altri 200 rappresentanti del partito che, sempre per lo stesso motivo, ieri avevano deciso di fare un passo indietro.

Adesso bisognerà capire come intenderà muoversi la Comunità internazionale, ancora un po' confusa sul da farsi. Già perché nel Consiglio di sicurezza dell'Onu non s'è riusciti a trovare un accordo su un documento di condanna alla repressione in Siria. Ma i giorni passano e in Siria continuano a scorrere fiumi di sangue.

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