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Delitto di Garlasco, l'omicidio di Chiara Poggi

Simonetta, Laura e Chiara: gli assassini sono ancora liberi

Simonetta Cesaroni a Roma, Laura Bigoni a Clusone (BG), Chiara Poggi a Garlasco (PV) sono state uccise in tre momenti diversi ma con simili modalità. Avevano poco più di vent’anni e immaginavano che il futuro, per quanto difficile, avesse riservato loro un altro destino. Dopo innumerevoli processi e riaperture di inchieste giudiziarie non hanno ancora avuto giustizia e i loro assassini vivono in libertà.
A cura di Marcello Ravveduto
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L’infanticidio di Ancona e soprattutto la mediocre giustificazione del raptus, cappello per coprire ogni possibile movente, torna a destare l’allarme sui delitti d’agosto. Ma davvero può interessare a qualcuno se sia pura malvagità causata da una lunga serie di mortificazioni interiori, sottovalutate e ignorate, o se si tratti di automatismo psicologico innescatosi come uscita violenta da un lungo periodo di depressione?

Si scopre poi che l’uomo covava una rabbia inespressa nei confronti della moglie. Un collega ha dichiarato che gli “mancava l’amore”, ovvero il ferroviere Luca Giustini dà priorità alla funzione di maschio piuttosto che al ruolo di padre, anzi è probabile che la bimba sia stata vista come l’ostacolo da rimuovere per tornare alla “normalità”. Spesso si diventa genitori senza aver fatto i conti con la propria coscienza, ancora affascinata dal mito di Peter Pan.

Di ben altro tenore sono gli omicidi insoluti d’agosto. Tre vittime, tre donne: Simonetta Cesaroni (1990), Laura Bigoni (1993) e Chiara Poggi (2007). Avevano tutte meno di trent’anni (Simonetta 21, Laura 23, Chiara 26). Sono state assassinate in un luogo chiuso e aggredite mentre erano sole in una situazione di apparente sicurezza. I corpi, immersi nel sangue, sono stati sfigurati, martoriati e percorsi da coltellate e oggetti contundenti. Tutte e tre hanno trovato la morte per mano di un uomo conosciuto al quale hanno aperto la porta (per Simonetta e Laura la furia omicida si è scatenata dopo un approccio sessuale, per Chiara, invece, si ritiene vi sia una predeterminazione rabbiosa). I principali sospettati sono i fidanzati che hanno subito diversi gradi di giudizio risultando innocenti (per Alberto Stasi, ex di Chiara Poggi, è stato previsto un nuovo processo di Appello sulla base di nuovi indizi).

Le indagini presentano lacune sia nella fase del reperimento delle prove, sia nella ricostruzione dei fatti: le scene del crimine non sono state tutelate in modo opportuno, consentendo un andirivieni a personaggi “esterni” che hanno trasformato il luogo del delitto in un cantiere aperto.

In tutti e tre i casi vi sono testimonianze discordanti: per la Cesaroni si ipotizza un atteggiamento omertoso da parte dei portieri dello stabile teso a coprire l’assassino o un eventuale inquinatore della scena del delitto; per la Bigoni si sono considerate plausibili delle dichiarazioni a dir poco strampalate (la vicina ha visto un taxi fermo sotto casa, un passante ha notato la presenza di un’ombra femminile e qualcuno ricorda un recente andirivieni di uomini dal suo appartamento, un pretendente che dopo aver fatto sesso si ritira scoraggiato da una porta chiusa); nell’omicidio di Garlasco sono venuti alla luce alcuni comportamenti falsificatori: l’ex maresciallo dei carabinieri Francesco Marchetto pare abbia reso falsa testimonianza nella stesura del verbale dichiarando che la bicicletta nera, vista dai testimoni davanti alla villetta dei Poggi nell’ora del delitto, non era nella disponibilità dello Stasi; sempre in riferimento al mezzo di locomozione (escluso come reperto proprio in virtù della dichiarazione del maresciallo) l’accusa ha ipotizzato che il padre di Stasi, poi deceduto, abbia aiutato il figlio a disfarsene (nel nuovo processo di Appello una delle principali prove indiziarie è proprio la bicicletta alla quale sono stati cambiati i pedali con l’obiettivo di annullare le tracce di sangue).

Inoltre, nell’incapacità di assicurare alla Giustizia l’assassinio, c’è chi ha tirato in ballo il fantomatico intervento dei servizi segreti che, come accade con il raptus, serve a giustificare tutto e niente, come se le tre ragazze in questione fossero degli 007 al centro di intrighi internazionali. È un po’ come la storia degli Ufo che di tanto in tanto appaiono per solleticare la fantasia dei lettori.

Forse è il caso di cominciare a seguire la logica dei fatti. Intorno ai delitti insoluti, questi ed altri, vi sono sempre operazioni di depistaggio, di messinscena, di alterazione delle prove e di omissione volontaria che vanno razionalmente decriptate per comprendere il cui prodest, cioè a chi conviene attuarle e a chi trae profitto accettandole.

Certo è che l'assassino è un uomo vicino alla vittima di cui si conosco le dinamiche di azione criminale: con quale mano hanno inferto il colpo, con quale arma, in quale orario, quali tracce hanno lasciato, quali strategie di occultamento hanno attuato. Basta giustapporre le tessere del mosaico per poter incastrare l’omicida ancora a piede libero.

Nell’Italia delle polizie scientifiche (il cui mito è cresciuto sull’onda delle fiction americane), in cui l’esame del Dna è una specie di bacchetta magica con la quale è possibile arrivare lì dove nemmeno il divino osa entrare (un uso spregiudicato e manipolato dai media come si è potuto notare nella vicenda di Yara), ci si interessa morbosamente alla scia di sangue, seminata dalla banalità del male, alla stregua di gialli a puntate a disposizione del grande pubblico.

Sui blog, nei social media le nuove generazioni si appassionano alle circostanze e giocano a tracciare il profilo dell’assassino come se stessero compilando la squadra del fantacalcio. I criminologi sembrano essere dei tuttologi in grado di scorgere il fine ultimo dell’esistenza umana ricavando tracce nascoste sotto le unghie di qualche prostituta ammazzata per strada della quale, fino al momento della morte, a nessuno fregava niente.

La criminologia è cool al punto che moltissimi neolaureati si buttano alla ricerca di un master diretto da qualche guru del settore, diventato famoso grazie alle apparizione televisive, per sentirsi “fighi” più che realizzati: già pregustano l’aggiornamento del profilo su Facebook quando accanto alla casella “Lavoro” potranno scrivere “criminologo”.

Intanto i corpi di Simonetta, Laura e Chiara sono mucchietti di polvere raccolti in una tomba alla quale i familiari si recano regolarmente per portare fiori freschi che rinnovano la memoria del dolore. Nel frattempo altri donne saranno uccise, altri assassini rimarranno impuniti e nuovi criminologi saranno famosi.

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