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Elezioni politiche 2018

Salvini e Di Maio: cosa succede se nessuno dei due ha la maggioranza per governare

Matteo Salvini e Luigi Di Maio sono i due vincitori di questa tornata elettorale e tutti e due, almeno a parole, sembrano essere già il presidente del Consiglio incarico. Ma la strada per raggiungere la maggioranza e formare un governo per entrambi sembra essere in salita.
A cura di Stefano Rizzuti
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Per chi non conosce a fondo i meccanismi della politica italiana, la giornata di oggi e le dichiarazioni di alcuni leader potrebbero confondere anche gli osservatori più attenti. I trionfatori di queste elezioni sono, senza dubbio, Luigi Di Maio e Matteo Salvini. Ma per nessuno dei due si tratta di un successo completo: né il M5s né la coalizione di centrodestra sembrano in grado di formare una maggioranza di governo, almeno stando ai numeri. Eppure entrambi parlano già da presidente del Consiglio in carica. La strada che invece porterà all’affidamento dell’incarico da parte di Mattarella sembra essere ancora lunga e piena di ostacoli.

Partiamo dalle prossime tappe istituzionali: il 23 marzo si riuniranno le nuove Camere per eleggere i due presidenti. Tappa fondamentale perché serviranno i numeri per l’elezione. E se al Senato il compito è meno complicato (al quarto scrutinio si va al ballottaggio tra i due più votati), alla Camera ottenere la maggioranza per eleggere il presidente è molto più complesso. Servirà quindi un accordo: probabilmente un’intesa che preluda a un patto di governo. Quindi Di Maio e Salvini, se vogliono ergersi da subito come leader credibili, devono saper anche far valere le loro capacità sul tavolo delle trattative. Di certo, l’elezione dei presidenti delle Camere può essere già un importante segnale: se, facciamo un esempio, Di Maio dovesse trovare una convergenza col Pd (ipotesi sicuramente complicata da realizzare al momento) sull’elezione di un suo esponente alla presidenza della Camera, Mattarella sarebbe sicuramente indotto a pensare che il M5s può realmente formare un governo. Stesso discorso varrebbe per il centrodestra che, da solo, non ha possibilità di eleggere il presidente della Camera né, tantomeno, di governare.

Dopo l’elezione dei presidenti dei due rami del Parlamento la palla passa in mano al presidente della Repubblica. Mattarella sentirà i presidenti delle Camera, i rappresentanti dei gruppi parlamentari e l’ex capo dello Stato Giorgio Napolitano. Qui si formerà la sua opinione e spetterà a Mattarella prendere la decisione: incarico (esplorativo se la situazione è confusa o pieno se è più definitiva) al partito più votato o incarico alla coalizione più votata? Si aprono quindi due possibili scenari.

L’incarico al centrodestra

Mattarella ha una prima possibilità: rivolgersi alla coalizione che ha più voti e più seggi in Parlamento. Lega, Forza Italia, FdI e NcI sono lontani dall’avere la maggioranza, ma sono comunque coloro che hanno bisogno di racimolare meno seggi per essere sostenuti in Parlamento. Secondo quanto stabilito dal centrodestra unito in campagna elettorale – e comunque finora non smentito dopo il voto – il candidato premier sarà Matteo Salvini, ovvero colui che ha raccolto più voti con la sua Lega.

Salvini non ha in realtà molte chances: se è vero che al centrodestra mancano pochi seggi per governare, è altrettanto vero che non sembra esserci nessuna forza politica disposta a sostenere un esecutivo guidato da Salvini: certamente troppo a destra per Liberi e Uguali di Pietro Grasso e certamente con posizioni troppo estreme anche per il Pd. E allora dove va a prendere questi voti in Parlamento Salvini? O dal MoVimento 5 Stelle che però, a quel punto, pretenderebbe di guidare questo eventuale governo in quanto primo partito; o dalla sinistra: ipotesi da escludere, tranne nell’ipotesi in cui Salvini decida di cedere il suo posto da candidato premier a qualche personalità più moderata che possa far convergere anche il Pd su un governo di larghe intese. Ma ad oggi sembra quasi impossibile che il segretario della Lega accetti di fare un passo indietro dopo il successo elettorale. E un governo tra centrodestra e Pd senza la Lega non si può formare, i seggi non sarebbero sufficienti.

L’incarico al MoVimento 5 Stelle

Il capo dello Stato potrebbe decidere anche di percorrere una via diversa, affidando l’incarico al primo partito (e primo gruppo parlamentare). Fermo restando che Mattarella deciderà probabilmente per chi sembra più vicino a trovare un accordo con altre forze politiche, l’eventuale incarico a Di Maio sembra altrettanto in salita. Da una parte il capo politico del M5s potrebbe chiedere un sostegno proprio alla Lega di Salvini, forse la forza politica più vicina su alcuni temi ritenuti fondamentali da entrambi. Ma la Lega, forte del suo risultato e della vittoria del centrodestra, difficilmente accetterà.

Il MoVimento potrebbe allora rivolgersi ad altre forze politiche. Inutile guardare a LeU, che avrebbe troppi pochi seggi per pensare a una maggioranza con i pentastellati. Rimangono o le altre forze di centrodestra – Forza Italia, Fratelli d’Italia e Noi con l’Italia – che sanno di non poter esprimere il premier e di avere quindi meno potere contrattuale in sede di formazione del governo, o il centrosinistra. In entrambi casi c’è più di un ostacolo apparentemente insormontabile: il MoVimento si è detto più volte indisponibile a offrire poltrone: “Solo accordi sui temi” e nessun ministero, ha più volte ripetuto Di Maio. E, ad oggi, pensare che qualche forza politica sia disposta a sostenere dall’esterno il M5s sembra davvero difficile. Anche perché i temi su cui Di Maio chiede una convergenza sembrano essere distanti sia dalle posizioni del centrodestra sia, ancora di più, da quelle del Pd.

C’è poi un altro elemento: la campagna elettorale appena terminata è stata intrisa da un clima di odio e rabbia, con accuse – spesso anche personali – tra i tanti leader politici. Berlusconi non si è mai risparmiato nelle sue invettive contro Di Maio e i Cinque Stelle. Così come lo stesso capo politico del M5s ha attaccato su più fronti Renzi e gli esponenti del Pd. D’altronde Renzi l’ha detto anche oggi, dopo aver annunciato le sue dimissioni: il Pd sarà all’opposizione, “no a un governo con gli estremisti”. Sappiamo che la coerenza in politica spesso viene messa da parte, ma sembra comunque difficile un accordo tra queste forze.

E allora l’unica soluzione davvero credibile sembra quella che un osservatore meno esperto riterrebbe più improbabile: un governo tra i due vincitori delle elezioni. Entrambi già si proclamano premier, ma né Di Maio né Salvini sembrano aver fatto finora i conti con la realtà. Si apre ora, dopo il voto, la sfida a due per il governo: e non è da escludere che l’esito più probabile sia un ritorno alle urne in tempi brevi o un governo del presidente che potrebbe mettere insieme forze politiche che al momento sembrano non avere nulla in comune.

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