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Le mani della camorra su Roma, così gestivano i locali sequestrati: “Li prendi te ma è roba nostra”

Facendo pressione su una cooperativa il clan Moccia continuava nei fatti a controllare alcuni dei ristoranti che nel 2017 gli erano stati sequestrati nel centro di Roma e messi in amministrazione controllata. Dal clan al clan passando per lo Stato: così la camorra continuava a gestire le sue attività nel centro di Roma.
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Prestanome, ricatti, cooperative infiltrate. Qualsiasi mezzo per riprendersi le attività economiche finite nel mirino della procura. Neppure i sequestri fermano gli interessi dei clan mafiosi più potenti della Capitale che, maestri nel mischiare le carte, ottengono sotto mentite spoglie l’affido dei beni sequestrati, proprio da chi ne dovrebbe garantirebbe l’amministrazione controllata, la sezione del tribunale che si occupa di misure di prevenzione. Una serie di passaggi di proprietà e una girandola di nomi che celano sempre gli stessi beneficiari: i boss del clan Moccia, l'organizzazione camorrista che ha messo solide radici proprio a Roma, lavando soldi provenienti dal traffico di stupefacenti e da altre attività illegali. “Hanno un’organizzazione spaventosa, i ristoranti di Roma sono tutti in mano loro, stanno anche dentro i tribunali”, dice in un’intercettazione Guido Gargiulo, uno degli indagati.

È il quadro che emerge dall’ordinanza del tribunale di Roma che il 29 settembre ha portato all’arresto di 13 persone e al sequestro di 14 ristoranti e di beni per un valore di oltre 4 milioni di euro. I reati contestati vanno dall’usura all’intestazione fittizia di beni, con l’aggravante mafiosa. Tra gli indagati Angelo e Luigi Moccia, esponenti dell’omonimo clan originario di Afragola, coinvolti in operazioni di riciclaggio che si consumavano letteralmente all’ombra del Cupolone. Affare troppo ricco il turismo capitolino, ancor più ghiotto se si hanno a disposizione capitali ingentissimi da ripulire.

I locali nel mirino degli inquirenti sono centralissimi, investimenti sicuri in zone di prestigio, ristoranti ‘acchiappa turisti': da una panineria a due passi dal Pantheon, a una manciata di ristoranti con affaccio su Piazza Navona, da una pizzeria in via della Conciliazione a un’altra in Piazza de’Coronari, senza dimenticare un paio di bistrot con vista Castel Sant’Angelo. La camorra investe nel centro della Capitale e non solo in ristorazione. Tra i beni sequestrati anche appartamenti e auto di grossa cilindrata.

I giornali hanno sbagliato a scrivere i nomi, qua hanno sequestrato anni fa, ora siamo con una cooperativa, in amministrazione controllata”, dicono i gestori e i dipendenti di alcuni dei ristoranti citati nell’ordinanza, infastiditi dalla rinnovata attenzione mediatica. Uno stupore che deve essere serpeggiato anche in procura quando ci si è accorti che quattro ristoranti sottoposti a sequestro nel 2017, in un primo momento per evasione fiscale, successivamente perché riconducibili a Francesco Varsi, prestanome dei Moccia, erano finiti nuovamente nella disposizione del clan, stavolta attraverso la gestione della cooperativa Serena di Gianluca Dominici (che non è tra gli indagati), cui erano stati concessi in amministrazione controllata.

Non è la prima volta che accade, era successo anche a Ostia, in tempi recenti”, spiega Marco Genovese di Libera. “I clan fanno capolino sotto svariate forme, non accettano di essere colpiti dove più fa male, nelle loro proprietà. Così, se qualcosa viene loro sequestrato, trovano il modo di rientrarne in possesso”. A destare la preoccupazione degli inquirenti la tenacia e la pervasività dell’azione criminosa. I ristoranti sequestrati in un primo momento a Varsi erano stati assegnati in amministrazione controllata alla coop, società operante nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, con oltre 50 dipendenti. Da quanto emerge dalle intercettazioni, l’effettiva gestione delle attività passava però ancora dai Moccia, che pretendevano il versamento di 300mila euro in contanti per concedere alla cooperativa il permesso di esercitare nei locali.

In una serie di incontri tra soci della cooperativa, prestanome ed esponenti del clan si palesava chi esercitasse il controllo reale sui ristoranti, nonostante la confisca e l’amministrazione controllata del tribunale. Un passaggio, quello dei ristoranti nelle disponibilità dello Stato, che non era bastato a estromettere gli interessi criminali. Esemplare un’altra intercettazione in cui Gargiulo spiega alla legale rappresentante della cooperativa come funzionano gli affari negli esercizi che stanno per rilevare “te li diamo a te anche perché se sono del tribunale e comunque controllano tutto loro te li diamo a te…però li gestisci con attenzione perché è sempre roba nostra”.

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