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Sepoltura forzata dei feti, le donne: “Ospedale pubblico ha dato significato religioso all’aborto”

Aumentano le donne che denunciano di aver trovato il proprio nome su una tomba al cimitero Flaminio. Alcune sono cattoliche, altre atee, altre ancora di diverse confessioni religiose. E si sono sentite violate, costrette nuovamente a vivere il dolore provato con l’aborto terapeutico. Ercoli: “Si è agito per punire ancora”.
A cura di Redazione Roma
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Trenta chiamate il primo giorno, cinquanta il secondo, ottanta il terzo. E il telefono continua a squillare. Continua ad allungarsi la lista di donne che hanno trovato il loro nome esposto al cimitero Flaminio senza che né sapessero nulla né che avessero dato il consenso. Bigliettini buttati tra vecchie croci di legno lasciate accatastate in un angolo e che nessuno negli anni ha mai smaltito, nomi e cognomi esposti pubblicamente in totale violazione della privacy. Centinaia di tombe mai autorizzate di cui in tante non erano a conoscenza. Dopo essere state costrette a rivivere il dolore legato alla perdita del feto in stato avanzato della gravidanza, hanno deciso di presentare un esposto in Procura. Assistite gratuitamente dall'associazione Differenza Donna, vogliono andare in fondo a questa faccenda e scoprire chi sono i responsabili di questa messa alla gogna.

"Il telefono continua a squillare – spiega a Fanpage.it Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna – Fino a ieri Ama dava informazioni in diretta al telefono dicendo alle donne se il loro feto era presente e dove era posizionato. Nel pomeriggio hanno smesso di rispondere. Tante di loro sono andate direttamente a Prima Porta e hanno trovato i loro nomi non solo sulle croci piantate nel terreno sull'area comune, ma anche nella parte antistante, dove sono buttate a terra le croci degli anni precedenti". Venerdì mattina Differenza Donna ha depositato un esposto in Procura, chiedendo di accertare i reati compiuti. "Una cosa è certa – continua Ercoli – Questa è una gravissima violazione dei nostri diritti e vogliamo sapere chi sono i responsabili". Ercoli ha poi annunciato che il prossimo passo sarà chiedere un incontro urgente al ministro della Salute Roberto Speranza.

"Le donne si sono sentite violate dalle istituzioni e sono state costrette a rivivere un'esperienza difficile come l'aborto terapeutico. Laddove si provava una sofferenza si è agito per punire ancora", sostiene Ercoli. Che aggiunge: "Noi donne italiane dobbiamo lottare così tanto per dare il cognome ai nostri figli, e invece in questa situazione non ci sono state remore, né privacy, né dati sensibili. Quel nome e cognome sono stati affissi come una punizione, negando il principio di autodeterminazione".

L'associazione Differenza Donna è stata contattata anche da donne atee e di altre religioni. Uno degli aspetti più violenti di questa sepoltura forzata è anche la croce, simbolo associato alla religione cattolica, che non tiene minimamente conto dell'identità della donna e della famiglia. "Tutte hanno vissuto la croce come una forzatura, un non riconoscere lo stato laico. Dicevano ‘ma come, ci siamo rivolte a un ospedale pubblico, e abbiamo visto dare all'aborto un significato religioso che non ci appartiene'". Insomma, la sfiducia nello Stato da questo punto di vista è tanta. "Le istituzioni sono importanti per rispondere alla violenza maschile sulle donne – conclude Ercoli – Questo invece ci dimostra che sono inserite all'interno di un sistema patriarcale che garantisce agli uomini di poter agire violenza singolarmente. E delegittima i diritti e l'autodeterminazione delle donne".

Wendy Elliott e Natascia Grbic

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