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L’omicidio di Antonella di Veroli, dal corpo nell’armadio alla richiesta di riaprire le indagini

Nuove analisi sui reperti, nuove piste, magari legate al lavoro: ecco perché la sorella Carla ha chiesto l’apertura delle indagini sul caso di Antonella Di Veroli, la 47enne trovata senza vita nell’armadio della sua stanza il 10 aprile 1994.
A cura di Beatrice Tominic
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È uno dei cold case più noti della capitale e degli anni Novanta. L'omicidio di Antonella Di Veroli, noto oggi anche come "Delitto dell'armadio", è uno di quei casi ancora senza risposta, ma con tantissime domande, piste aperte e ipotesi, non ancora verificate. Due gli uomini accusati di aver ucciso la consulente del lavoro ritrovata senza vita il 10 aprile del 1994 dentro uno degli armadi in casa sua, nel quartiere di Talenti, poi assolti.

Ad oggi l'assassino di Antonella di Veroli non ha un nome né un volto. C'è chi ha ipotizzato la presenza di un terzo uomo, mai stato rintracciato. E non si conosce ancora il movente del gesto. "Si sono sempre concentrati sulle piste legate alle relazioni di mia sorella. Ma secondo me, invece, può essere stata uccisa per questioni legate al suo lavoro", ha sottolineato la sorella di Di Veroli in tempi recenti. Ed ecco perché la sorella ha chiesto di riaprire nuovamente le indagini.

Cosa sappiamo dell’omicidio di Antonella Di Veroli

Il giorno prima non c'era. Il giorno dopo, invece, il corpo senza vita di Antonella Di Veroli si trovava lì, all'interno di uno degli armadi dell'appartamento in cui viveva, al civico 13 di via Domenico Oliva. A trovarla sua sorella insieme al socio ed ex compagno della vittima, Umberto Nardinocchi. Da un paio giorno Di Veroli, consulente del lavoro non sposata di 47 anni, era scomparsa. Non si era presentata al lavoro, aveva smesso di avere contatti con la famiglia.

Quando sono scattati i controlli nell'appartamento in cui viveva, la sera prima del ritrovamento, un'amica e i familiari della donna hanno trovato le luci accese. La casa era in disordine. Tappeto del bagno arrotolato, piatti sporchi in cucina. Ma di lei nessuna traccia. Neanche nell'armadio. Dopo, verso le 21, sono arrivati anche Nardinocchi, con il figlio e un agente di polizia.

Il giorno dopo qualcosa è cambiato. E il corpo della donna è stato ritrovato proprio nell'armadio in camera da letto, chiuso con il mastice. Antonella Di Veroli era in pigiama, rannicchiata con il volto verso il muro.

Come è morta Antonella di Veroli

Non appena ritrovato il corpo, sono scattate le indagini e le analisi per stabilire le cause della morte. Di Veroli è stata colpita alla testa da un colpo di arma da fuoco di piccolo calibro, ma non è questa la causa della morte. È morta per asfissia. La donna, infatti, come è stato notato fin dal ritrovamento, aveva la testa chiusa all'interno di una busta di plastica. Un altro interrogativo che resta senza risposta è il motivo per cui l'abbiano chiusa nell'armadio. Forse volevano spostare il corpo o, almeno, provare a ritardare la scoperta.

Le indagini e i sospettati

Secondo gli inquirenti Di Veroli avrebbe conosciuto il suo assassino. La pista più seguita riguardava l'ipotesi secondo cui la donna avrebbe avuto una relazione con il suo assassino. Per questo le indagini si sono concentrate subito su Nardinocchi e Vittorio Biffani, fotografo che era stato lasciato da poco da Di Veroli e alla quale avrebbe dovuto restituire un debito da oltre 4o milioni di lire. E questo lo portava ad avere due possibili moventi.

La sorella di Di Veroli, però, ha sempre avuto dubbi sul fatto che si celasse un rapporto sentimentale fra Antonella e il suo assassino. E, ancora oggi, insiste sulla necessità di cercare di fare chiarezza sui legami lavorativi.

Il processo a Biffani e la sua assoluzione

Il fotogrado Biffani è stato sottoposto a processo, poi è stato assolto in primo grado. La difesa è riuscita a confutare ogni elemento di accusa. Anche la parte civile è convinta della sua innocenza. La sentenza è poi stata confermata in tutti i gradi di giudizio, compresa la cassazione. E il fotografo è morto nel 2003.

La richiesta di riaprire il caso dopo 30 anni

Dopo trenta anni dalla morte, lo scorso aprile, la sorella di Antonella Di Veroli, Carla, ha chiesto di riaprire il caso, spinta anche dal fatto che, negli ultimi anni, sono stati molti i cold case a tornare di nuovo alla ribalta e sui quali si è tornato ad indagare. "Secondo me è stata una cosa di interessi, una cosa di lavoro. Magari ha trovato qualche magagna, qualche cosa. Magari le hanno fatto firmare qualcosa che non era più che lecito. Lei se ne è accorta. E magari ha minacciato di denuncia", ha sottolineato più volte la sorella Carla. Lavorava da sola, ma collaborava spesso con Nardinocchi. "Non ho idea delle persone o delle aziende per cui lavorasse".

A parlare adesso un testimone, un uomo, all'epoca un ventiquattrenne, che si trovava sotto al palazzo, aveva una busta di plastica fra le mani. Con lui un'altra persona, all'epoca dei fatti minorenne. "Gli ho chiesto se avesse bisogno di aiuto, stava guardando i citofoni. Mi ha detto che stava aspettando qualcuno". Ma non era né Biffani né Nardinocchi. Ad oggi, non ha ancora un nome. Neanche 24 ore dopo le dichiarazioni in tribunale, l'arrivo delle minacce.

Oggi, però, sottoporre a nuovi esami il bossolo dell'arma da fuoco (che probabilmente porta ancora l'impronta del pollice dell'assassino), l'impronta rimasta sull'armadio e gli altri reperti rinvenuti il 10 aprile, come indumenti o tracce organiche, fra cui dei capelli, potrebbe portare alla verità.

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