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Le tolgono il figlio per portarlo in comunità: “Lo aspetto a casa per superare anni di ingiustizie”

A dicembre 2016, il figlio di Giada viene portato via da scuola e portato in comunità nonostante le richieste del piccolo di poter rimanere con la madre: “Attendo di riportare mio figlio nella sua casa, di tenerlo vicino, tra le mie braccia, dargli tutto l’infinito amore possibile, e cercare di superare anni ed anni di ingiustizie, torture ed un vero e proprio sequestro in piena regola”, racconta a Fanpage.it.
A cura di Ilaria Quattrone
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15 dicembre 2016. È una data che Giada non potrà mai dimenticare perché è il giorno in cui suo figlio è stato prelevato dai servizi sociali e portato in comunità: “Mio figlio durante l’orario di lezione viene fatto uscire con un escamotage dalla insegnante che già sapeva tutto. Si trova chiuso in una stanza della scuola con 12 persone davanti di cui 5 agenti dell’anticrimine. Dopo 3 ore di pianti, in cui chiedeva di chiamarmi e faceva presente di non poter usare violenza contro di lui, due lo prendono per le braccia, uno per le gambe, lo trascinano per i corridoi e lo buttano nella macchina del gestore della casa famiglia. Io non ero stata avvisata e non ho potuto salvare mio figlio”, racconta la donna a Fanpage.it.

Quella di Giada è solo una delle storie che Fanpage.it, in questi mesi ha raccontato. Storie di donne, ma soprattutto bambini che si trovano a fare i conti con un continuo stravolgimento della loro vita e con i traumi psicologici che questo comporta.

Come inizia la sua storia?

La nostra storia inizia nel 2010, anno in cui io e il mio ex marito ci separiamo. Il rapporto fra me e lui era giunto al capolinea soprattutto a causa di alcuni atteggiamenti ossessivi, violenti, per la scoperta di droghe e soprattutto per le aggressioni verbali e fisiche avvenute di fronte a mio figlio.

Appena il mio ex va via da casa, prosciuga il conto corrente cointestato lasciando me e mio figlio di quattro anni senza alcune disponibilità economica. Dopo un anno circa ci separiamo legalmente, ma ogni impegno preso in atto di separazione non verrà rispettato: non pagherà le rate del mutuo della casa coniugale, che mi era stata assegnata dal giudice, né il mantenimento del figlio, né i finanziamenti che il mio ex marito aveva richiesto, per giunta falsificando la mia firma.

Per tutti questi reati ha poi subito un procedimento penale, che è stato mandato in prescrizione: lui si è salvato io ho perso circa novanta mila euro, il mantenimento, la casa coniugale, la proprietà.

Nonostante tutto gli ho sempre chiesto di essere più presente nella vita del proprio figlio, invitandolo, ovviamente, a interrompere ogni forma di violenza. “Se non torni con me ti tolgo tutto, ti faccio vivere l’inferno, ma soprattutto non ti faccio più vedere tuo figlio”, queste le parole che ricevevo ripetutamente da lui, oltre ad appostamenti, controllo della mia vita, incursioni in casa e molto altro.

Appena sei mesi dopo la separazione legale, deposita la modifica delle condizioni di separazione, richiedendo l’affidamento del figlio e la casa coniugale, oltre a un assegno di mantenimento.

Il Tribunale rigetta le sue richieste. Il mio ex poteva vedere suo figlio due volte alla settimana per quattro ore e tenerlo a dormire con sé a weekend alternati.

Cosa succede successivamente? 

Succede che il mio ex presenta un reclamo alla Corte d’appello e durante tutto il procedimento richiede sempre il collocamento in casa famiglia del proprio figlio.

Richieste che faceva per annientarmi, ben consapevole che amo mio figlio più della mia vita e che non sarei riuscita a vivere senza di lui. E questa era una minaccia che mi terrorizzava.

In questi stessi anni come sta il bimbo? 

Fin da piccolissimo manifestava alcuni sintomi riconducibili ad allergie o intolleranze, vari attacchi di soffocamento e altri sintomi causati dalla celiachia. Il mio ex marito mi riteneva pazza, diceva che mi inventavo tutto “le tue solite fissazioni che hai in quella testa malata”.

Gli atteggiamenti sono stati gli stessi anche nei miei riguardi: io avevo dei problemi di salute anche gravi e lui mi riteneva pazza, poi si è scoperta la celiachia.

All’ospedale Gemelli di Roma viene scoperto che mio figlio ha un'intolleranza al glutine/celiachia e altre allergie. Risultati confermati anche dall’ospedale San Pietro: mio figlio riceverà anche un’esenzione dall’Asl per malattia celiaca e la stessa Corte d’appello – con un decreto del 2014 – alla quale il mio ex si era rivolto accusandoci di essere pazzi, ha stabilito una dieta priva di glutine, indicata dalla mamma.

Dieta che il mio ex non ha mai rispettato.

La celiachia diventa un motivo per portarti in tribunale? 

In un certo senso sì, sia in tribunale civile e sia in Corte d’appello. In Appello mi accusa di alimentare mio figlio con una dieta priva di glutine. Dieta che lui riteneva inutile nonostante mio figlio andasse in pronto soccorso proprio perché, dopo averlo ingerito, stava male, nonostante gli esami positivi, le mani spaccate a sangue, la faccia gonfia e altri sintomi tipici della malattia.

Sarebbe bastato il dubbio o comunque il buon senso per evitare danni sulla sua salute: una perizia medico legale ha infatti confermato “un danno biologico al 10 per cento”.

E in questa occasione, il mio ex marito porta avanti la tesi di alienazione parentale (Pas) che è stata più volte considerata illegittima dalla Corte di Cassazione e dalla comunità scientifica: per la Cassazione questa non può giustificare l’allontanamento del figlio dalla propria madre (fuori dallo stato di diritto), cosa che invece poi accadrà.

In ogni caso lui sosteneva pure che non gli consentissi di vedere suo figlio, cosa completamente falsa: anche dopo la separazione lo vedeva quasi ogni giorno e lo teneva a dormire più giorni di quanto disposto dall’atto di separazione, perché lavoravo di notte al telegiornale.

 A un certo punto denunci il tuo ex, giusto? 

Sì, ma lui aveva iniziato a denunciarmi già nel 2011, proprio dopo la separazione.  Nel 2013 lui mi aggredisce fuori dalla scuola di mio figlio. Io quella volta decido di denunciarlo e recarmi al pronto soccorso cosa che non avevo fatto per le aggressioni precedenti.

Appena il mio ex scopre di essere stato denunciato, mi denuncia per simulazione di reato.

La mia denuncia per aggressioni e lesioni viene archiviata dopo quattro anni e quattro mesi, senza aver svolto alcuna indagine, nonostante le numerose prove.

La stessa pubblico ministero che ha chiesto l’archiviazione per la mia denuncia di aggressione (che mi ha fatto anche sospendere la responsabilità genitoriale, ritenendo la mie denunce  “strumentali e di pregiudizio per il minore”) tramuta la denuncia di simulazione di reato sporta dal mio ex marito in calunnia e mi rinvia a giudizio dichiarando, unitamente al Giudice per le indagini preliminari, di aver ascoltato testimoni molto prima che il mio ex marito depositasse la denuncia.

Tutte cose che ho scoperto anni dopo durante il mio processo per calunnia: tra queste, anche il fatto che il mio ex marito dopo avermi aggredito, ha falsificato la dichiarazione testimoniale dattiloscritta che aveva depositato insieme alla denuncia.

Cosa succede poi? 

Succede che, nello stesso anno in cui vengo aggredita, il mio ex incarica una importante agenzia investigativa per far seguire me, mio figlio e il mio avvocato. Questa documentazione gli servirà per mettere in atto il suo “progetto” per allontanarmi definitivamente da mio figlio.

Nel frattempo, considerate le mie denunce ed anche la somministrazione di glutine a mio figlio da parte del mio ex marito, la Corte d’Appello di Roma stabilisce con decreto un regime di incontri protetti padre-figlio, statuisce una dieta priva di glutine per mio figlio e affida la famiglia al servizio sociale, lasciando mio figlio comunque domiciliato presso di me.

Durante la consulenza della Consulente tecnica d’Ufficio, il mio legale scopre un clamoroso conflitto di interesse tra la stessa Ctu nominata dalla Corte d’appello, il legale del mio ex marito e due assistenti sociali alle quali la Corte ha affidato la famiglia.

Mio figlio ha sempre raccontato delle aggressioni a cui ha assistito, del terrore nei riguardi del padre spiegando ogni particolare delle sue motivazioni. Ma nessuno lo ha ascoltato, anzi gli hanno imposto con la violenza gli incontri con un padre di cui era terrorizzato.

Perché ti allontanano da tuo figlio? 

Sulla base di una falsa denuncia di abbandono di minore nel circolo privato sportivo che frequentavamo da anni, un luogo nel quale mio figlio è cresciuto.

L’investigatore privato che mio marito aveva incaricato anni prima, scatta delle foto fuori casa e scuola, all’interno del circolo ed il mio ex mi denuncia per abbandono di minore allegando la copiosa documentazione degli investigatori privati.

Invece di entrare nel circolo e giocare con suo figlio chiama i carabinieri e mi denuncia sia ritenendo di avergli impedito di vedere suo figlio, anche se la Corte d’appello gli aveva già comminato il regime di incontri protetti e sia di abbandono di minore.

Anche i suoi investigatori dichiarano nella annotazione della Polizia Giudiziaria che affidavo sempre mio figlio agli istruttori, al personale del circolo, quindi non c’era alcun abbandono. Deposita la denuncia ed un ricorso al TM di Roma con la richiesta di decadenza della mia responsabilità genitoriale e soprattutto il collocamento in casa famiglia per il proprio figlio.

Il tribunale che cosa decide? 

La denuncia per abbandono di minore viene archiviata dalla Procura, mentre il tribunale per i minorenni  di Roma, sulla base del ricorso con denuncia da parte del mio ex marito,  emana una ordinanza di richiesta di collocamento in casa famiglia per mio figlio e la decadenza della mia responsabilità, perché la “mamma è simbiotica”. Quindi, da un lato avrei abbandonato mio figlio, dall’altra sarei simbiotica.

Viene nominata una nuova consulente tecnica d’ufficio (CTU) che gestiva anche gli incontri tra il mio ex e nostro figlio. Durante tutti gli incontri, mio figlio ha sempre spiegato le valide motivazioni per le quali aveva paura di incontrare “quello” ossia suo padre, ha più volte dichiarato di non volerlo vedere anche per i maltrattamenti che lui stesso ha subito, per le aggressioni che io ho ricevuto davanti a lui: “Non voglio che ti picchia di nuovo”, “ le ha messo le mani al collo, l’ha sputata in faccia, l’ha picchiata davanti a me ed a tutta la scuola”, erano alcune frasi che diceva  ai giudici e ai consulenti.

Anche il Pubblico ministero del Tribunale di Tivoli riscontrerà “elementi di reità” nell’aggressione che ho subito davanti a mio figlio, la Questura di Roma invece riscontrerà maltrattamenti in famiglia, un maresciallo dei carabinieri chiederà al TM ed alla  Procura della Repubblica le misure cautelari, il divieto di avvicinamento a me, a mio figlio e nei nostri luoghi di vita abituali.

Dopo circa sette mesi, la consulente decide di interrompere gli incontri protetti padre-figlio perché li ritiene “violenti, inumani e deteriorati”.

Lei stessa, deposita una relazione conclusiva al magistrato con la quale relaziona che il mio ex marito soffra di disturbo del pensiero, della personalità, narcisista, aggressivo anche con il figlio, pur di rovinare la vita alla ex moglie la rovina al figlio”. Anche l’educatrice che assisteva agli incontri padre-figlio ha relazionato al giudice quanto il mio ex marito fosse una “figura di padre violento”.

Eppure nonostante ciò, a settembre del 2016 il giudice minorile emana una sentenza di collocamento in casa famiglia per mio figlio. E in quel momento sprofondo in un inferno.

Quando viene emanata la sentenza di collocamento in casa famiglia? 

Il 3 novembre io e mio figlio eravamo entrambi ricoverati in ospedale, mi ritrovo due assistenti sociali che mi dicono “lei ha mezz’ora di tempo, prepari suo figlio che viene in casa famiglia con noi”.

Gli rispondo che dovevano passare sul mio cadavere. Chiamo i miei legali, polizia, carabinieri, il telefono azzurro, tutti. I medici provano in tutte le maniere ad aiutarci.

Arrivano gli agenti e spiego loro la situazione, faccio sentire anche le registrazioni delle violenze subite, mostro vari documenti e loro capirono la situazione.

Decidono quindi di chiamare il PM di turno che chiede di parlare da soli con mio figlio. Erano presenti nella stanza i poliziotti e un tutore delegato da un altro tutore.

Mio figlio spiega che è terrorizzato al solo pensiero di allontanarsi da me, di non volersi recare in nessuna casa famiglia, di non voler vedere “quello” perché aveva perpetrato violenza su lui e su di me alla sua presenza.

Il tutore, il giorno dopo, deposita una richiesta al giudice per far emettere un decreto dirimente con il quale chiede di poter utilizzare la forza pubblica per prendere mio figlio coattivamente.

In quello stesso periodo vieni travolta da un’altra tragedia, giusto? 

Sì. Il mio amato papà, undici giorni dopo la sentenza di allontanamento di mio figlio, viene colpito da un infarto fulminate: ho perso il miglior padre del mondo, un padre che non mangiava per darti da mangiare, un padre che ha dato tutto a me ed ai miei fratelli, un padre che mi manca ogni giorno.

Mio padre anche negli ultimi anni della sua vita non ha potuto vedere suo nipote perché dalla nomina nel 2015 del tutore mio figlio ha subito un regime come al 41 bis; non poteva entrare al suo circolo e praticare sport se non tre volte alla settimana per il tempo della lezione, nessun torneo permesso, no al corso di inglese, alle gite e feste scolastiche come pure la festa di fine anno e non ha potuto incontrare mio padre e mio fratello di ritorno dall’Australia che lo voleva vedere giocare e passare del tempo nel suo circolo.

In questa terribile e drammatica storia contiamo già un morto e violenze su mio figlio.

Quando ti viene portato via tuo figlio?

Il 15 dicembre 2016, mio figlio durante l’orario di lezione viene fatto uscire con un escamotage dalla insegnante che già sapeva tutto. Si trova chiuso in una stanza della scuola con 12 persone davanti di cui 5 agenti dell’anticrimine.

Dopo 3 ore di pianti, in cui chiedeva di chiamarmi e faceva presente di non poter usare violenza contro di lui, due lo prendono per le braccia, uno per le gambe, lo trascinano per i corridoi e lo buttano nella macchina del gestore della casa famiglia. Io non ero stata avvisata e non ho potuto salvare mio figlio.

Mio figlio il mese dopo scriverà in classe un tema sul “rispetto” nel quale racconta il prelievo coatto, come era stato trattato ritenendo che le persone che lo avevano prelevato con la violenza dovevano essere loro a capire cosa sia il rispetto. Quel tema ha preso come voto 10, ma nessuna insegnante e figura istituzionale ci ha aiutato e mio figlio è finito in casa famiglia, creandogli un choc che ricorderà per tutta la vita.

Neppure ci hanno aiutato quando entrambi avevamo paura all'esterno della scuola, dopo le aggressioni.

Mi è stato allontanato con la “scusa” della simbiosi e che doveva vedere il padre per un futuro rischio evolutivo, ma durante i drammatici 7 mesi in casa famiglia il giudice non ha permesso al mio ex di incontralo, ma solo di mandargli dei regali che ovviamente ha rifiutato. Poi è partito per Dubai, per festeggiare il successo ottenuto, ossia la devastazione di suo figlio.

Ci sono delle perizie che dimostrano che l’allontanamento dalla mamma potrebbe causare dei traumi a tuo figlio? 

Sì, ma non servirebbe nessuna relazione che documenti un fatto così evidente, uno choc, un trauma che ricorderà per l’intera esistenza. Mio figlio è sempre stato diagnosticato molto più intelligente della sua età, tutti 10 a scuola, una promessa nel suo sport, pagelle eccellenti anche nel comportamento esemplare.

Tutti gli esperti hanno registrato un malessere in mio figlio dovuto alla situazione e soprattutto al successivo allontanamento da me, ne hanno chiesto un immediato ritorno.

Mio figlio ha scritto numerose lettere anche al Papa Francesco chiedendogli di aiutarlo a farlo ritornare dalla sua mamma e che non aveva mai sofferto così in tutta la sua vita. Ha scritto ai giudici, a tutti quelli che avrebbero potuto aiutarlo. Anche al centro di salute mentale mio figlio ha dato un esempio di maturità “gli adulti, tranne mia madre, non hanno mai risolto un problema”.

Ma io ancora non l’ho salvato e il mio dolore è profondo.

Durante il periodo in comunità riuscivi a vedere tuo figlio? 

Per i primi tre mesi l’ho visto due volte alla settimana per un totale di 4 ore, poi a seguito delle false relazioni dei responsabili della casa famiglia che hanno chiesto il mio allontanamento perché “la signora butta fango su questa casa ed il suo legale ci denuncia”, vengo allontanata e non ho visto mio figlio per mesi.

Poi ho iniziato a vederlo per una sola ora una volta alla settimana nel parcheggio del servizio sociale. Potevo sentirlo telefonicamente una sola volta al giorno per dieci minuti ed i suoi pianti erano penetranti pugnalate, perché non riuscivo a tirarlo fuori da quell’inferno. Nel frattempo il mio ex marito rifiutava ogni conciliazione per crescere nostro figlio assieme e farlo uscire dalla casa famiglia dove, secondo lui “stava benissimo, lì deve stare”.

A mio figlio durante il collocamento in casa famiglia gli veniva somministrato il glutine (violando anche il decreto della Corta d’appello), si sentiva sempre male tanto che è stato più volte accompagnato al pronto soccorso. In una occasione i medici hanno addirittura chiesto il ricovero, attese le precarie condizioni di salute.

Mio figlio viene ascoltato su richiesta del Procuratore Capo, da un sostituto procuratore e uno psicologo esperto ai quali riferisce di voler tornare subito dalla mamma, che la notte non dormiva che veniva trattato male, che ha paura di “quello” del quale non riusciva neppure a dire la parola papà.

Io ringrazio il Procuratore capo e coloro che hanno aiutato mio figlio perché è stato chiesto un diverso collocamento, dopo aver appurato la grave sofferenza di mio figlio in quella fatiscente casa famiglia dove, peraltro, sono stata più volte minacciata e tenuta quasi prigioniera in una stanza.

Se si mette a paragone la relazione del Procuratore capo con quella della casa famiglia è evidente come quest’ultima sia stata completamente falsificata.

Dopo il periodo in casa famiglia cosa succede?

Il mio legale Carlo Priolo riesce a far uscire mio figlio da quella fatiscente casa famiglia. Viene collocato in Toscana a casa di mia madre. Lì potevo vedere mio figlio una volta ogni settimana, poi ogni 15 giorni per una sola ora alla presenza di una educatrice.

Percorrevo 800 chilometri al giorno per vedere mio figlio solo un’ora. Poi sulla base di false relazioni del servizio sociale mio figlio viene affidato al mio ex marito nonostante le varie richieste di tornare da me, le varie lettere che ha scritto, e i messaggi compresi quelli inviati al padre.

Ci sono state varie relazioni di noti psichiatri che hanno certificato un danno nell’aver allontanato un figlio dalla propria madre (studi hanno dimostrato che fa deragliare il cervello), lo hanno chiamato “bambino prigioniero” e ne hanno richiesto l’immediato affidamento a me.

Anche nel 2020 una dottoressa dell’azienda ospedaliera Sant’Andrea di Roma ha richiesto la revisione della sentenza e di affidare con la massima urgenza mio figlio a me a causa della sua sofferenza e danni causati dall’allontanamento.

È stata anche presentata un’interrogazione parlamentare per il tuo caso?

Sì, sono state presentate ben 7 interrogazioni da quasi tutte le forze politiche. Sulla base della interrogazione della deputata Veronica Giannone abbiamo anche ricevuto una risposta dall’ex ministro della Giustizia nella quale affermava che la “volontà di mio figlio, quindi di voler tornare da me, è stata completamente trascurata”.

Ma nessun giudice ha preso in considerazione né la volontà ben precisa di mio figlio, né la risposta del ministro, né ha applicato tutte le normative vigenti, come pure le procedure.

Noi abbiamo sempre depositato numerose fonti di prova, audio, video, le relazioni, le registrazioni fornite dai servizi sociali, dalle Ctu, indicato testimoni ed altro ancora. Non abbiamo avuto giustizia e mio figlio sta pagando le conseguenze di decisioni sbagliate.

Cosa succede ora?

Mio figlio è stato affidato al mio ex marito. Si rifiuta di dirmi anche dove si è trasferito, mi vieta di ricevere una semplice foto di mio figlio, di fare una videochiamata, ne ho fatto tre in tre anni circa.

Io non mi fermerò finché mio figlio non torna a casa, sia perché è stato un gravissimo crimine avermelo allontanato, sia perché mi manca da non poter vivere e respirare, e sia perché è pericoloso che mio figlio stia con un uomo diagnosticato violento e con vari disturbi della personalità e del pensiero.

Sappiamo bene che molti femminicidi e figlicidi possono essere evitati se solo si interviene in tempo, questo potrebbe essere uno dei casi, bisogna arrivare prima di eventi nefasti.

Voglio ancora sperare che giustizia arrivi per me e soprattutto per mio figlio, anche se la invoco da ben dodici anni. Nessuno di ridarà i sei anni che ci hanno tenuto lontani, nessuno e nessuna cifra ci potrà ripagare dei dodici anni in cui mio figlio ha subito ogni genere di violenze e soprusi, ma dobbiamo stare assieme quanto prima.

Attendo di riportare mio figlio nella sua casa, di tenerlo vicino, tra le mie braccia, dargli tutto l’infinito amore possibile, e cercare di superare anni ed anni di ingiustizie, torture ed un vero e proprio sequestro in piena regola.

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