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La polizia prova a disarmare la guerra tra clan a Roma

Durante le indagini per gli ultimi omicidi, spunta al Tiburtino un arsenale della malavita. Secondo la direzione distrettuale antimafia, le armi ritrovate servivano per i regolamenti di conti nelle faide criminali. In manette è finito il custode di un capannone in via di Pietralata. Si indaga anche sul possibile utilizzo della mitraglietta nell’omicidio di Stefan Roman Mihai avvenuto il 9 marzo, a poca distanza da dove stava l’arsenale.
A cura di Emilio Orlando
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Un fucile calibro 12 a canna mozza, una pistola mitragliatrice calibro 7.65 e altre 9 pistole di calibro vario alcune delle quali già "equipaggiate" con un silenziatore. Insieme ad ogni arma erano custodite anche le munizioni, lucide e ben conservate. Quando gli investigatori della sezione criminalità organizzata della squadra mobile, hanno fatto irruzione in un capannone, hanno trovato le armi nascoste in uno scatolone. Il custode della struttura, dopo una breve resistenza, si è fatto arrestare senza rivelare nulla sulla provenienza dell'arsenale. Gli inquirenti della DDA, che hanno ordinato il blitz ai sensi dell'articolo 41 del Tulps, che prevede la perquisizione senza mandato quando si ha certezza che vengano custodite armi illegalmente, sono convinti che il deposito era a servizio di un clan di criminali, stranieri ed italiani, che controlla la zona del Tiburtino, dove lo scorso 9 marzo, è stato freddato a colpi di pistola, il trentatreenne romeno Stefan Roman Mihai.

La procura capitolina, ha costituito un pool di investigatori, composto da polizia, carabinieri e guardia di finanza, per condividere le informazioni e le risultanze investigative, acquisite da ciascun corpo che sta indagando sugli ultimi fatti di cronaca, che hanno portato già a quattro importanti omicidi, ma che potrebbero condurre anche alla risoluzione di altri cold case maturati in ambito criminale. Intanto si stringe il cerchio sul killer che la notte tra domenica e lunedì ha ucciso con un colpo di rivoltella, Andrea Fiore, un carrozziere del Quadraro. Per l’omicidio del cinquantaquattrenne, assassinato nella sua abitazione di via dei Pisoni 19, la polizia ha fermato Daniele Viti, un uomo di 43 anni originario di Veroli in provincia di Frosinone, che aveva fatto da complice al sicario.

Un delitto, quello di Fiore che porta a quello di Luigi Finizio, avvenuto quindici giorni prima in via dei Ciceri sempre al Quadraro. I due omicidi, secondo chi indaga sono legati dal fatto che i due erano amici e che quando venne ucciso Finizio, la polizia arrivò a casa sua proprio grazie alle informazioni che gli fornì Fiore. Il movente sembra doversi inquadrare proprio nel fatto che Fiore era diventato un testimone scomodo e poteva danneggiare e svelare gli affari criminali dei sodali del clan Senese. Per la serata di oggi, è attesa la motivazione della convalida dell'arresto di Daniele Viti, che oggi davanti al giudice per le indagini preliminari si è avvalso della facoltà di non rispondere. L'uomo rimane detenuto nel penitenziario romano di Regina Coeli.

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