La crisi dell’azienda delle mitiche patatine Crik Crok, in 100 senza stipendio

Da settant’anni le patatine Crik Crok sono un’icona negli snack italiani. E a completare la gamma la linea Puff, le palline di mais al gusto formaggio lanciate nel 1991. Oggi, però, lo storico stabilimento di Pomezia, sulla via Pontina, è quasi fermo e cento dipendenti non ricevono stipendi puntuali. La crisi si sta aggravando e, sostengono i sindacati Fai, Flai e Uila, non è più sostenibile: "Lavoratrici e lavoratori, da troppo tempo, affrontano una condizione di profonda precarietà economica e umana".
La produzione è ridotta al minimo e la cassa integrazione straordinaria ancora non è stata pagata. "In assenza di reddito, molte famiglie dei lavoratori coinvolti sono allo stremo", sostengono i rappresentanti dei lavoratori. E, aggiungono, l'incertezza è addirittura aumentata perché alla difficile gestione aziendale "ora si somma la presentazione di un nuovo concordato preventivo, che getta ulteriori ombre sul futuro. Oggi il rischio non è solo la perdita di posti di lavoro: in discussione c'è la sopravvivenza stessa di una realtà produttiva con un grande valore industriale e sociale per il territorio".
"La crisi che sta investendo lo stabilimento Crik Crok di Pomezia rischia di diventare una ferita al nostro tessuto produttivo e una minaccia concreta per decine di lavoratori e famiglie. Non possiamo permetterci di rimanere fermi: serve un intervento urgente da parte della Regione Lazio e del Ministero delle Imprese per aprire subito un tavolo di crisi", ha dichiarato Emanuela Droghei, consigliera regionale del Partito Democratico.
A meno di un anno dalla presentazione del piano industriale – illustrato lo scorso dicembre con la partecipazione del ministro dell’Agricoltura – le condizioni all'interno dello stabilimento sono precipitate. La produzione, come anticipato, è ai minimi storici, diverse linee sono inattive e le giornate di lavoro si diradano sempre più, segnalano i dipendenti. L'azienda ha recentemente chiesto di avviare un concordato preventivo, che alimenta ancora di più l’incertezza sul destino dello storico stabilimento di Pomezia, per anni un pilastro dell'economia di quelle zone.