Insultato e picchiato al centro commerciale perché gay, Salvatore racconta: “Volevano portarmi nello stanzino”

Gli schiaffi, le urla. “Ti soffoco, fr* di mer*”. Poi la minaccia: "Portiamolo nello stanzino senza telecamere". È cominciata così, con una frase che sembra più un verdetto che un insulto, l'aggressione a Salvatore, ventitreenne siciliano trapiantato a Roma, che venerdì scorso è finito in ospedale con lividi, ecchimosi e cinque giorni di prognosi, a cui se ne sono aggiunti altri sette. Era tornato al centro commerciale di Roma Est, in un negozio di abbigliamento dove fino a poche settimane fa lavorava come commesso, solo per ritirare la carta dei buoni pasto. Ne è uscito sotto shock, con la voce tremante e un pensiero fisso: "Se mi avessero davvero portato in quello stanzino come ne sarei uscito?". Si è rivolto all’avvocata Martina Colomasi per presentare denuncia e la legale dichiara: "Il mio assistito è stato aggredito perché omosessuale, ma per questi casi non esiste una norma specifica. I responsabili al massimo potranno essere accusati di lesioni lievi e c’è il rischio che tutto resti impunito".
Salvatore, lei è arrivato al centro commerciale intorno alle 19. Doveva incontrarsi con qualcuno?
Dovevo ritirare la carta dei buoni pasto, ma mi è stato detto di aspettare l’arrivo del responsabile. Così mi sono messo a parlare con una collega. Poi ho sentito un rumore di passi alle mie spalle, mi sono girato e davanti a me c'era quest'uomo. Mi ha indicato, poi il grido "fr* di mer*". E mi ha colpito con un pugno. Nessuna domanda. Solo un pugno, gli schiaffi e poi mi hanno aggredito anche gli altri due suoi colleghi.
Chi erano?
Lavorano per la sicurezza del centro commerciale. Due di loro avevano la divisa, ma il primo che mi ha preso a pugni era in borghese.
Lei cos’ha cercato di fare?
Avevo il cellulare in mano. Quest'uomo ha continuato a prendermi a pugni e schiaffi mentre tentava di strapparmelo via. Ho chiesto aiuto ai suoi due colleghi, ma hanno risposto che stava facendo bene. Poi ho sentito che dicevano: "Portiamolo nello stanzino senza telecamere". A quel punto mi sono spaventato e mi sono aggrappato a un tavolo. Mi hanno picchiato perché sono omosessuale.
Come mai ne è convinto?
Prima di iniziare a colpirmi mi hanno insultato. E mi ripetevano che facevo schifo. Uno di loro mi ha capovolto, un altro ha iniziato a soffocarmi urlando "ti soffoco, fr* di mer*", mentre cercava di strapparmi via il telefono.
Cosa pensava che sarebbe accaduto nello stanzino?
Hanno fatto una cosa simile davanti a tutti. Colleghi e clienti. Ho temuto che in un luogo senza telecamere sarebbe successo di peggio.
Com’è riuscito a divincolarsi?
Mentre tentavano di strapparmi via dal tavolo si è attivata la funzione d'emergenza dell'iphone ed è partita la chiamata al 112. Durante l'aggressione la telefonata era già partita, i poliziotti hanno sentito i colpi e le grida. Poi un mio collega è riuscito a darmi una mano per divincolarmi. Due dei tre aggressori sono scappati quando si sono accorti che stavano arrivando i soccorsi. Il terzo invece ha iniziato a scusarsi. Lui è stato l'unico a capire la gravità della situazione e dopo l'aggressione iniziale ha tentato di fermare i suoi colleghi.
Poi è arrivata la polizia?
Si, insieme agli operatori del 118 che mi hanno portato al pronto soccorso Casilino. I poliziotti hanno fermato il terzo uomo, come giustificazione ha detto che erano convinti che io fossi un ladro.
Perché hanno pensato questo?
Non lo so, io ero fermo a parlare con la mia collega. In quel posto non si lavora bene, i lavoratori vengono trattati in maniera pessima e in un mese in quattro abbiamo dato le dimissioni. Un ambiente di lavoro malsano. Però non potevo dare il sospetto di essere un ladro, ero fermo nel locale a parlare con un'altra dipendente. Ma un’aggressione simile non ha giustificazioni.
Vorrebbe almeno delle scuse?
Le scuse non bastano.
E ora che farà?
Ora ho bisogno di tornare un po' di tempo a casa mia. Mi sono sentito umiliato. Non riesco a dormire la notte, ho ancora paura per ciò che è successo. Ho anche il timore di cercare un altro lavoro in quel centro commerciale perché quegli uomini girano ancora lì.