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Il Tar ha ragione: non ha senso bocciare alle scuole medie, ministro Valditara

La politica si è scatenata contro il Tar del Lazio che ha riammesso un’alunna di 11 anni bocciata in una scuola media di Tivoli. Critico anche il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara. Ma è ora di cambiare la legge: non ha senso bocciare gli alunni delle scuole medie, è solo un’inutile mortificazione che colpisce chi è più fragile, chi proviene da famiglie con meno mezzi economici, o ha difficoltà con la lingua.
A cura di Christian Raimo
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La dichiarazione del ministro Giuseppe Valditara sul caso dell’annullamentoda parte del Tar di una bocciatura di una studentessa di Tivoli di 11 anni (secondo il Tar la ragazzina si era impegnata, ma questo impegno non era stato adeguatamente riconosciuto dai docenti), è come al solito una contraddizione in termini. Valditara interviene indebitamente senza conoscere il caso dicendo sulla carta intestata del ministero che appurerà se la sentenza è “frutto di un indebito giudizio nel merito del provvedimento”.

Il Tar argomenta invece in modo molto articolato. Riconosce che è stata elevata a regola la promozione per “le alunne e gli alunni della scuola secondaria di primo grado”; la non ammissione alla classe successiva, anche a fronte di un quadro sull’andamento scolastico critico, come quello che emerge nel caso in esame, deve essere assistito da una più pregnante motivazione che non si limiti semplicemente a trarre le conclusioni e a dare contezza della “parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline”.

Al contrario quando si tratta di bocciare, Valditara è sempre pronto a ritornare a un secolo fa. 

In Italia la pratica delle bocciature è diversificata a seconda del grado d’istruzione. Se nella scuola primaria ripetere l’anno è praticamente impossibile, alle medie il fenomeno inizia ad essere più diffuso. Infatti dai dati del ministero dell’istruzione relativi all’anno scolastico 2021/22 emerge che gli ammessi alla classe successiva del primo e del secondo anno sono il 98,5 per cento, in aumento rispetto al 2020/21. I bocciati sono, pertanto, in calo: l’1,5 per cento contro l’1,7 per cento dell’anno precedente.

Sembrano pochissimi; ma se pensiamo che comunque si tratta di scuole medie, vuol dire che parliamo di una cifra considerevole sia in termini assoluti che relativi. Si tratta di circa ottomila alunni, e parliamo in questo caso di ragazzini.

Ha senso bocciare alle medie? 

Da un punto di vista tecnico le bocciature si definiscono “ripetenze” e, almeno in Italia, il termine è adeguato. Dopo un anno costellato da brutti voti o da troppe assenze, viene chiesto allo studente di ripetere l’intero anno scolastico. Lo studente diventa un “ripetente”.

Forse potremmo anche dire quale è l’origine del termine “bocciatura”. A quanto pare deriva dal gioco delle bocce. Quando si cerca di lanciare la boccia vicino al boccino, si tenta di colpire le palle degli avversari per allontanarle – o il boccino stesso. Questa azione con cui il proprio colpo si schianta sulla boccia nemica e la fa saltar via si chiama “la bocciata”, “il bocciare”. Si tratta di un’azione piuttosto evocativa; l’immagine che ne deriva è intuitiva: esser bocciati è prendere un colpo, essere respinti via dall’obiettivo. Quanta violenza c’è dentro questo termine?

Per chi non si occupa di scuola, e purtroppo anche per molti che se ne occupano, la ripetenza o la sospensione del giudizio vogliono dire principalmente una cosa: non si è impegnato abbastanza, non ha studiato abbastanza, non ha preso dei buoni voti.

Insomma, ripetere l’anno intero, ristudiare nuovamente tutti i programmi di tutte le materie, è un bene. In un’ottica di punizioni e penitenze, ripetere è un’occasione per colmare le lacune e migliorare quei voti, a patto – certo – che ci si metta maggiore impegno.

La storica della scuola Monica Galfré dice in un’intervista recente:

La bocciatura è lo strumento privilegiato per la selezione. Lo aveva capito e denunciato Don Lorenzo Milani, nel libro scritto con i bambini e i ragazzi di Barbiana, quella Lettera a una professoressa che inizia proprio così: “Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che «respingete». Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate.

Dai dati del passato, la tendenza è sicuramente la riduzione progressiva di bocciati e rimandati, con una discontinuità dopo il ‘68. Si boccia di meno dove aumenta la scolarizzazione. Galfrè ce lo dice chiaramente: la bocciatura prima poteva essere normale, oggi è spesso una specie di mortificazione.

Ma è soprattutto un’altra la questione educativa che hanno posto i genitori che hanno fatto ricorso: l’impossibilità di recuperare offerta alla loro figlia.

Anche su questo, da Lettera a una professoressa, non è cambiato molto: chi può permettersi ripetizioni private riesce magari a compensare le carenze e recuperare le insufficienze, chi non può permettersele resta indietro.

C’è un’ulteriore disparità che emerge con maggior forza è quando andiamo a vedere il dato delle sospensioni in giudizio e delle ammissioni e consideriamo la cittadinanza. La scuola italiana è sempre più frequentata da studenti e studentesse che non hanno cittadinanza italiana. Sono proprio gli studenti più svantaggiati.

Non sappiamo la nazionalità della studentessa undicenne promossa ex lege dal Tar. Ma sappiamo che un’ulteriore evidenza che ci sono disuguaglianze che la scuola dovrebbe contrastare e non riprodurre sono quelle delle bocciature tra italiani e non italiani, se pensiamo che nell'anno scolastico 2020/21 quasi uno studente non italiano su cinque è stato bocciato.

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