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Il corteo femminista è stata la prima vera opposizione al Governo Meloni

Oltre 50mila persone sono scese in piazza il 26 novembre per la manifestazione contro la violenza maschile e di genere. Non un corteo rituale, ma una presa di posizione politica contro il governo di centrodestra guidato da Giorgia Meloni.
A cura di Natascia Grbic
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"Basta guerre sui nostri corpi. Rivolta transfemminista". Questo recitava lo striscione di apertura della manifestazione di Non Una di Meno che ha sfilato ieri a Roma. Un serpentone che al suo interno ha raccolto spezzoni composti da donne dei centri antiviolenza, spazi sociali, associazioni, studentə, migranti, sex workers, lavoratrici, precarie, soggettività libere. Un corteo rumoroso, colorato, che ha portato in piazza 50mila persone provenienti da tutte Italia per partecipare a quella che non è una manifestazione rituale, ma un momento di presa di parola e azione politica. Il primo contro il governo del centrodestra guidato da Giorgia Meloni.

Le ultime elezioni politiche hanno visto l'affermazione della destra postfascista. Che sin dalla campagna elettorale ha messo in chiaro quali siano le sue priorità: il contrasto alla legge 194, la negazione della violenza omotransfobica e dei diritti delle persone trans e non binarie, il respingimento dei migranti, la ‘difesa' dei confini, la guerra ai poveri e ai giovani, definiti parassiti o, alla meno peggio, devianti da umiliare.

Tutto questo in un periodo storico dove la violenza contro le donne e le persone trans è diventata strutturale, dove gli obiettori di coscienza rendono impraticabile il diritto all'aborto in molte regioni, e le persone che non hanno i mezzi sufficienti per condurre una vita dignitosa sono cinque milioni e 571mila (Rapporto su povertà ed esclusione sociale realizzato da Caritas Italiana). I disagi psicologici sono in aumento tra i giovani, mentre le persone che scappano da guerre e povertà si vedono negato l'ingresso in paesi sicuri per questioni ideologiche, in antitesi a qualsiasi regola di diritto internazionale.

Nel 2022 ci sono stati 107 femminicidi e transcidi (dati raccolti dall'Osservatorio sulla violenza di Non Una di Meno). Non una parola è stata spesa dal governo riguardo la creazione di politiche di contrasto alla violenza di genere, potenziamento di centri antiviolenza o creazione di case rifugio. L'inasprimento delle misure repressive, leitmotiv della destra, non ha mai prodotto nessun risultato concreto, se non in senso opposto.

Molte parole sono state spese sul ‘primo governo in Italia guidato da una donna'. Ma confondere una caratteristica della premier (il suo sesso biologico) con le politiche del governo stesso, altro non è che tokenismo, un finto messaggio di inclusività di cui la destra ha saputo strumentalmente farsi portatrice. L'essere donna di Meloni non si traduce necessariamente nella promozione di politiche femministe, che puntano a una maggiore autodeterminazione. E lo dimostrano alcune delle proposte avanzate, come ‘l'opzione mamma‘ (poi stralciata dalla manovra pensioni 2023), che prevedeva la possibilità per le donne di andare in pensione in anticipo a seconda del numero dei figli, o il rafforzamento del welfare solo da un punto di vista familiare.

Tutto questo dimostra qual è l'occhio attraverso il quale il governo vede le donne all'interno dell'organizzazione sociale, a prescindere dal sesso della premier. La grande partita che si gioca oggi con il movimento transfemminista è esattamente questa. Da una parte vi è la questione dei diritti riproduttivi, le politiche sul lavoro e le differenze retributive, la tipologia di welfare diretto alle donne, con un governo che oggi focalizza il ruolo della donna nei soli termini di moglie e madre. Dall'altra un movimento che rivendica all'opposto politiche che liberino le donne dall'obbligo di questi ruoli e consentano loro di sviluppare in piena autonomia i loro desideri.

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Giornalista dal 2013, redattrice alla cronaca di Roma di Fanpage dal 2019. Ho lavorato come freelance e copywriter per diversi anni, collaborando con vari siti, agenzie di comunicazione e riviste. Laureata in Scienze politiche all'Università la Sapienza, ho frequentato nel 2014 la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso.
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