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Giorgio de Finis: “Ecco il Museo delle Periferie di Tor Bella Monaca, il museo che ancora non c’è”

Giorgio de Finis è il direttore del Museo delle Periferie di Tor Bella Monaca, l’ultima istituzione culturale di Roma Capitale la prima fuori dal Raccordo. Il museo fisicamente ancora non esiste ma promuove tre giorni di festival dal 21 al 23 maggio che coinvolgerà tutta la città lontana dal centro.
A cura di Valerio Renzi
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"Sono abituato ad abitare le crepe, finché non si chiudono proviamo ad allargarle". Questa è la filosofia di Giorgio de Finis che, dopo aver dato vita all'esperienza del MAAM – Museo dell'Altro e dell'Altrove e dopo la direzione del Macro Asilo, è stato chiamato a dirigere il Museo delle Periferie di Roma che nascerà a Tor Bella Monaca. Un museo che però ancora, almeno fisicamente non c'é: "È l'ultimo museo di Roma Capitale e il primo oltre il Grande Raccordo Anulare, però è un museo che per il momento ancora non c'è. È prevista la costruzione di questo edificio in via dell'Archeologia, proprio di fronte alla scuola Melissa Bassi".

Nell'area dove sorgerà il museo al momento si trova un'area verde piena di rifiuti e siringhe, solo parzialmente recintata con una colata di cemento con lunghi piloni che si allungano nel vuoto. "Il museo è previsto come opera scomputo, quindi sarà realizzata, o almeno dovrebbe almeno essere realizzata dai costruttori privati che devono restituire un bene alla collettività", spiega de Finis. Ma intanto che il museo viene costruito non è una buona ragione per starsene con le mani in mano: "Io mi auguro che questo presidio, che questo luogo fisico. Ci sia anche se un museo che ha per oggetto le periferie del mondo, quindi la città globale, non sarà mai contenuto in quattro mura".

Il Museo sarà anche un centro studi, che lavorerà a stretto contatto con i dipartimenti universitari della città, ma anche d'Europa e dl resto del mondo, con l'obiettivo di creare una rete di ricercatori e studenti chiamati a confrontarsi e a dare vita a indagini sugli stessi temi. "Un polo d'eccellenza qua in periferia per capire cosa sono le periferie, al di là dello stigma, al di là delle cronache sempre uguali che le raccontano come la piazza di spaccio, oppure come il luogo dormitorio", perché come racconta de Finis "la periferia ha anche grandi risorse, grandi anticorpi da cui tutti possiamo attingere, risposte che arrivano dalla frontiera e che sono estremamente interessanti".

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Per ora la maggior parte di de Finis e del suo team sono ospitate nel Teatro di Tor Bella Monaca e dall'Istituto Melissa Bassi. Qui stanno lavorando a un atlante della città informale, dell'autogestione e della produzione culturale indipendente. E dal 21 al 23 maggio sarà proprio il museo che verrà di Tor Bella Monaca a dare vita a IPER il primo Festival delle periferie di Roma, che è stato presentato al publico con il suo quasi sconfinato programma la scorsa settimana.

"Il Festival delle Periferie è un modo per far prendere parola ai territori che circondano Roma che è un po' la nostra missione, cioè quella di capire quali sono i problemi ma soprattutto quali sono le risorse delle periferie e dei territori, e lo facciamo in maniera ‘phigital' come si dice adesso, cioè metà in presenza e metà online". A Tor Bella Monaca 99 ore di lezioni in streaming e in presenza, ma anche musica e incontri. Ma poi iniziative di ogni tipo in diverse periferie della città: sono tante le realtà culturali, associazioni e realtà sociali che hanno risposto alla call di IPER affrontando i temi del festival da qualsiasi punto di vista disciplinare.

Ma portare l'arte in periferia non rischia di essere solo un'operazione di facciata che poi non cambia nulla? "Non c'è dubbio che ci sono tante operazioni di facciata, letteralmente quando si tratta di muri di punti, o operazioni spot dove si porta una briciola in periferia e poi si torna serenamente al centro. – spiega de Finis – Io da anni lavoro in periferia il MAAM è il progetto che ho seguito e sto seguendo da tempo, da dieci anni, e questo vuol dire un lavoro vero e non di facciata. Io ci credo molto, forse è una fiducia mal riposta, nelle potenzialità che l'arte ha di far vedere qualcosa di diverso, cioè di cancellare la lavagna e di ridisegnarla con una libertà maggiore".

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