Gianmarco Pozzi morto a Ponza, ora c’è un supertestimone. Il papà a Fanpage.it: “È stato minacciato, sappiamo da chi”

Da quasi cinque anni la morte di Gianmarco Gimmy Pozzi è avvolta nel mistero. Era un ex campione di kickboxing, aveva ventotto anni e nell'estate in cui è stato trovato senza vita stava lavorando come buttafuori in uno dei locali della movida dell'isola. Sul caso non ci sono stati passi avanti. E così a gennaio è arrivata la richiesta di archiviazione. "Spero di essere chiamato presto in aula per discuterne – spiega a Fanpage.it il papà di Gimmy, Paolo – Abbiamo trovato un elemento che potrebbe ribaltare la situazione". E, con impegno e lavoro da parte di chi indaga, anche portare alla risoluzione del caso.
"Questa è la speranza. Tutto circola intorno a dei nomi che, qualora fossero accertati, potrebbe davvero chiudere il caso", gli fa eco l'avvocato che lo assiste, Fabrizio Gallo.
Gianmarco Pozzi, spunta un supertestimone
La morte di Gianmarco Pozzi è avvolta nel mistero da cinque anni. Cinque anni in cui omertà, silenzi e omissioni hanno portato a ritardi e mancanze nelle indagini. Il 9 agosto del 2020, dopo il primo sopralluogo da parte dei carabinieri di Ponza e Formia, quello del ventottenne era stato classificato come un incidente. Forse sbronzo, forse addirittura in preda alla droga, Gimmy sarebbe finito in un pertugio fra il terreno e le mura di un'abitazione. Dicevano che era caduto, ma l'ipotesi che stesse scappando da qualcuno non è stata mai confermata né smentita.
Poi sono arrivate le prime testimonianze. Una signora avrebbe visto tre persone trasportare quello che sembrava essere un corpo coperto da un telo su una carriola. Della signora, però, non è mai stata trovata traccia. Poi si è scoperto che, in realtà, la signora era soltanto stata citata da altre due, durante una conversazione. "So che ha assistito alla scena, ha visto che lo trasportavano in giro per il paese", avrebbero detto le due. Anche loro, però, non sono mai state pervenute.
A differenza loro, invece, la carriola è stata trovata proprio dal papà di Gimmy che, dopo la perdita del figlio, si reca spesso a Ponza, anche soltanto per una preghiera in suo ricordo.

Il supertestimone: "Ho paura, sono stato minacciato da una figura delle istituzioni"
A quasi cinque anni dalla tragedia, però, spunta un nuovo supertestimone. "Mi hanno fatto dei nomi. Nessuno mi leva dalla testa che possano essere state proprio queste persone a fare arenare le indagini – racconta il papà di Gimmy – A Ponza c'è chi in questi cinque anni ha sempre saputo la verità. In questi cinque anni c'è chi ha vissuto con il senso di colpa di non poter parlare. Mi hanno minacciato, ho paura a parlare per me e la mia famiglia, mi hanno detto. A compiere le intimidazioni sarebbe stata una figura istituzionale, già nota nell'isola per la sua violenza e i suoi abusi di potere".
Paolo Pozzi non sa più cosa pensare. "Da una parte c'è la richiesta di archiviazione, dall'altra questa luce in fondo al tunnel e la paura che possa rivelarsi un falso allarme – spiega – Da troppo tempo siamo fermi con le quattro frecce senza mai andare avanti. Per ogni passo avanti, ne abbiamo fatto uno indietro".

Tutti i punti che non tornano sulla morte di Gianmarco Gimmy Pozzi
Ci sarebbe, principalmente, un'unica persona dietro ai depistaggi, dietro ai ritardi e alle omissioni nelle indagini. E sembra che si tratti di una figura istituzionale attiva sul caso fin dagli inizi. Fin da quei primi accertamenti medico legali, con il medico che, arrivato sul posto, non ha svolto l'autopsia. O, ancora, le analisi che, all'inizio, parlavano di intossicazione da cocaina e che poi sono state smontate punto dopo punto dalla perizia di parte secondo la quale il ventottenne sarebbe stato picchiato, soffocato contro un muretto e soltanto in seguito gettato nell'intercapedine. Anche gli accertamenti sulle celle telefoniche risulterebbero incompleti, con due ore totali di buco.

"Pensare che basterebbe un mandato per fare ulteriori indagini – spiega ancora – A Ponza per indagare sulla morte di mio figlio sono arrivati i Ris, i Ros. Sono venuti anche dal Politecnico di Torino per cercare tracce. E a cinque anni dalla tragedia l'unica cosa che mi è stata restituita è soltanto una richiesta di archiviazione", continua Pozzi. Eppure di denunce e segnalazioni, in tutti questi anni, ne sono state inviate tante.
La ricerca dei testimoni sui social network
Fra le altre cose che non convincono, c'è l'immobilismo nel cercare di rintracciare i profili e le pagine che, sui social network, da tempo scrivono di conoscere la verità sull'accaduto. Su di loro, non esistono certezze. "Può darsi che dicano il falso e vogliano soltanto depistare le indagini. Oppure è davvero qualcuno che sa, ma che ha paura ad esporsi mettendoci la faccia – continua Paolo – Ma non lo sapremo mai. Eppure basterebbe così poco per risalire alla loro identità e accertare se si tratti di depistaggi o di persone realmente informati sui fatti".
Presentata interrogazione parlamentare
Sul caso Pozzi, nel frattempo, sono state presentate anche due interrogazioni parlamentari da parte della deputata Stefania Ascari (M5S) che sta seguendo da tempo la vicenda con attenzione.
"Le due interrogazioni presentate servono per portare tutti gli aspetti opachi del caso all'attenzione del Ministero della Giustizia – spiega la stessa deputata Ascari a Fanpage.it – Ho poi chiesto in commissione Antimafia di fare un'inchiesta per far emergere tutti gli aspetti non affrontati fino a oggi. Ma la presidente, che fin dall'inizio ha dimostrato un atteggiamento arrogante e ostile, ha alzato un muro e ha preso le distanze da ogni genere di collaborazione con la famiglia che ancora aspetta la verità e, dopo cinque anni, sta cercando di fare tutto il possibile per ottenerla".