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“È malato di Sla”: operaio si toglie la vita ma la diagnosi era sbagliata. Risarcita la famiglia

Dopo anni di calvario e cure inadeguate, l’operaio di Cisterna di Latina scopre la verità su quella diagnosi sbagliata. Ormai profondamente depresso e segnato nel fisico, si toglie la vita. Ora il riconoscimento delle responsabilità mediche e il risarcimento alla famiglia per 120.000 euro.
A cura di Redazione Roma
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Sono passati 25 anni da quando a un operaio di Cisterna di Latina veniva diagnosticata la Sla. Per sei lunghi anni prende farmaci, si sottopone a cure. Nel 2018 decide di togliersi la vita. Una vicenda terribile, soprattutto alla luce del fatto che non era vero, l'uomo non era malato di Sla, aveva invece un'artrite cervicale particolarmente invalidante. Ora il giudice ha deciso che la sua famiglia sarà risarcita con 120.000 euro dall'Asl e dal medico. La vicenda giudiziaria e il calvario dell'uomo sono ricostruiti oggi sulle pagine del quotidiano il Messaggero.

Quando l'uomo decide di recarsi in una struttura della Asl, manifestava alcuni sintomi compatibili con l'insorgere della Sla. Forti vertigini, difficoltà a camminare. Così inizia a sottoporsi ad accertamenti clinici, al termine del quale riceve la diagnosi che all'uomo suona come una sentenza di morte. Poi la depressione lunga anni, infine il suicidio dopo anni di cure pesanti e debilitanti con l'obiettivo di rallentare la degenerazione neurologica. Peccato che proprio quelle cure non fanno che peggiorare la situazione e nessuno si rende conto che quella diagnosi, semplicemente, sbagliata.

La verità viene a galla sei anni dopo, dopo un consulto con uno specialista del Policlinico Gemelli di Roma. Il medico diagnostica una mielopatia spondilogenetica, una condizione clinica seria provocata dalla compressione delle vertebre che ha conseguenze neurologiche significative, ma sulla quale è possibile intervenire chirurgicamente, soprattutto se presa in tempo.

Nonostante la diagnosi l'ex operaio ormai in pensione è sconvolto, segnato da anni di sofferenze e angoscia, debilitato nel fisico. Decide di intraprendere un'azione legale, ma i tempi della giustizia non aiutano la sua sete di giustizia per sentirsi defraudato della sua stessa vita.

Ma il danno era ormai irreversibile. Anni vissuti nella convinzione di essere affetto da una malattia terminale avevano lasciato ferite profonde. Il paziente, provato psicologicamente e afflitto da una grave depressione, aveva perso ogni voglia di vivere. Ora il verdetto della Corte d'Appello di Roma, dopo quello del Tribunale di Latina, ha stabilito l'ammontare del risarcimento per gli eredi e riconosciuto definitivamente le responsabilità mediche.

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