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Costringe la paziente a svendergli un appartamento in centro a Roma: psichiatra a giudizio

Uno psichiatra ha obbligato una sua paziente a vendergli ad un prezzo più che basso, l’appartamento che aveva in centro a Roma, approfittando della sua condizione psichica.
A cura di Beatrice Tominic
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Uno psichiatra, approfittando delle condizioni psichiche di una sua paziente, l'ha costretta a vendergli una casa che si trova in pieno centro di Roma ad un prezzo molto più basso rispetto al suo valore. Per acquistare l'appartamento, il medico ha minacciato la donna, che soffre di schizofrenia, di interrompere le sedute di terapia. I fatti sono avvenuti circa 7 anni fa, più precisamente il 24 novembre 2015: è in quella data che il medico, un 66enne originario di Benevento, ha obbligato la sua paziente a vendergli l'appartamento a 130mila euro, consegnandogliene in realtà, soltanto 65mila.

Secondo la Procura, come raccontato da il Messaggero, che ha da poco chiuso le indagini, l'uomo avrebbe "approfittato dello stato di deficienza psichica" della donna,  una 59enne romana e, per questa ragione, l'accusa a suo carico è di circonvenzione di incapace.

La vendita dell'appartamento

L'appartamento incriminato, venduto alla figlia del medico, si trova a pochi passi del Teatro Vittoria, in via Luigi Vanvitelli, in uno dei rioni storici della città di Roma, quello di Testaccio. La donna era in cura dal 66enne a causa della psico-schizofrenia residuale, patologia di cui soffre. Secondo i pm, l'uomo le avrebbe offerto pochi soldi, rispetto al valore effettivo dell'abitazione: soltanto 130mila euro pagandone, poi, in realtà, appena 65mila.

Quella dello psichiatria, secondo i pm, sarebbe stata una vera e propria minaccia: se la donna si fosse rifiutata, avrebbe potuto considerare il percorso specialistico concluso. A causa dell'aut aut e delle condizioni psichiche, la donna ha accettato, senza neanche opporsi alla richiesta.

La circonvenzione di incapace

"Induceva la persona offesa a vendere l’immobile a Roma, in via Luigi Vanvitelli, alla figlia a un prezzo vile di 130mila euro, pagato soltanto solo per euro 65mila, che egli stesso corrispondeva, dichiarandone lo stato di liberalità verso la figlia", si legge nel capo d'imputazione. Come sostiene l'accusa, questo comportamento sarebbe un "atto pregiudizievole ed evidentemente influenzato dallo stato mentale della donna, minacciata dell’interruzione di sedute mediche e del transfert determinatosi, a causa dello stato mentale, con il proprio psichiatra."

Gli atti

Secondo i pm, inoltre, trattandosi di una sua paziente, l'uomo era chiaramente a conoscenza della condizione e della patologia di cui era affetta. Come si legge negli atti: "Era stata tutelata con la nomina dell’amministratore di sostegno dal 10 marzo 2016 al 10 settembre 2010, quando l’amministrazione di sostegno veniva revocata proprio grazie alla diagnosi dell’indagato, che certificava che la vittima era affetta da “sindrome affettiva bipolare”, in fase di compenso."

Alla donna era stata diagnosticata una schizofrenia paranoidea cronica in fase di relativo compenso mentre si trovava in cura dallo psichiatra che, come scritto negli atti, era stato indicato dal perito come “unica persona di riferimento” per la vittima, tanto che la paziente si sarebbe sottoposta di nuovo nel dicembre del 2019 ad amministrazione di sostegno dal giudice tutelare di Roma.

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