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Berdini: “Mi candido a sinistra perché Raggi, Calenda, Gualtieri, Michetti hanno stessa idea di Roma”

Ex Assessore all’urbanistica nella giunta Raggi, si è dimesso a causa dei contrasti sul progetto del nuovo stadio della Roma. L’urbanista e nome storico della sinistra romana, oggi si candida fuori dal centrosinistra con il sostegno di Rifondazione Comunista. “Ci vuole coraggio ma c’è bisogno di un salto culturale: non si può più applicare la ricetta che ha generato il male che viviamo”
A cura di Luca Ferrero
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Urbanista e studioso di Roma, Paolo Berdini, classe 1948, è il candidato sindaco della lista Roma ti riguarda. Alla lista partecipano Rifondazione Comunista, Partito del Sud e Roma per l'ecologia integrale. Berdini ha deciso di affrontare una nuova sfida politica dopo le dimissioni da assessore all'urbanistica della giunta Raggi nel 2017, in seguito ai contrasti sul progetto del nuovo stadio della As Roma a Tor di Valle, a cui si è sempre mostrato fortemente contrario. Ma a sinistra non è l'unico candidato. Ci sono anche: Elisabetta Canitano per Potere al Popolo, Cristina Cirillo per il Partito Comunista Italiano, Micaela Quintavalle il Partito Comunista di Rizzo e Francesco Grisolia con Sinistra Rivoluzionaria. In particolare la mancata convergenza con Canitano e Potere al Popolo ha stupito e lasciato l'amaro in bocca all'ex assessore.

A proposito del suo precedente impegno in qualità di assessore all’urbanistica, si è detto molto a sul suo coraggio di opporsi e sul prezzo che ha pagato. Oggi, candidarsi a sindaco è una scelta che considera coraggiosa? Da dove nasce l’esigenza di questa candidatura?

Ci vuole coraggio perché è abbastanza difficile senza mezzi dare l’idea che io sia in campo. C’è abbastanza difficoltà a far vedere che c’è un altro candidato oltre ai quattro più gettonati, quindi sì, ci vuole coraggio. Il motivo della candidatura è uno solo: i quattro personaggi che si contendono la primazia stanno tutti all’interno della stessa logica che ha portato al disastro Roma, quindi credo che sia necessario e indispensabile che qualcuno dica che è ora di cambiare la cultura che ha governato la città. C’è bisogno proprio di un salto culturale, perché altrimenti tutto il degrado e tutta la retorica sul declino continuerà, perché si applica una ricetta che è la stessa che ha generato il male che viviamo.

In un recente articolo ha scritto che i quattro principali candidati sindaco hanno la stessa idea di città. Cosa hanno in comune candidature così diverse e qual è la sua idea di città?

Le quattro candidature principali sono tutte legate al principio della valorizzazione immobiliare. Mi spiego meglio: tutti dicono che c’è un problema di vivibilità nelle nostre periferie. Ma nelle periferie non c’è più chi interviene perché i valori immobiliari sono talmente arrivati in basso che c’è bisogno solo della mano pubblica. Allora il processo di valorizzazione immobiliare, che vale per il centro storico, dove si vende a 10mila euro al metro quadrato, oppure per la fascia delle periferie belle, dove abbiamo la fortuna di abitare, va ancora bene. In periferia, però, questo modellino non si applica. Una casa in cooperativa a Tor Bella Monaca non si riesce a vendere neanche a 800 euro al metro quadrato! Allora il mercato non può decidere le sorti della città, deve essere il pubblico. Pubblico è meglio. Questo è il motivo per cui bisogna cambiare registro. E certo, l’idea di una città è una città che non cresce più e ripristina il welfare ridotto da trent’anni di tagli ai bilanci pubblici. Questa è l’idea che abbiamo. Roma ha 13 miliardi e mezzo di deficit: gran parte di quel debito non deriva da malversazioni, incapacità, che pure c’è stata e c’è nella pubblica amministrazione. Il debito deriva dal fatto che noi dobbiamo portare i servizi di nettezza urbana e trasporti in periferie che stanno a 18 chilometri da piazza Venezia e che dunque non saranno mai in equilibrio economico. Allora, una città che non cresce più fisicamente è una città che accorcia le distanze di erogazione del servizio. Una città che non cresce più è una città che fisicamente rimane ferma e finalmente, però, si evolve. Invece di quel palazzo orribile c’è una sostituzione edilizia che può mettere in moto la qualità del vivere, un servizio aggiuntivo, un asilo o un pezzo di verde.

Roma è una città dove le disuguaglianze sono in costante aumento. Da sindaco, cosa farebbe concretamente per ridurle? 

Sono necessari interventi che inducano nei quartieri circostanti dei processi di aumento della qualità e della bellezza. Penso a ciò che ha significato a suo tempo la costruzione dell’Università La Sapienza. Dobbiamo fare questo, cioè in periferia ci devono andare le funzioni che danno qualità. L’archivio comunale ha dodici sedi sparse in affitto privato e perché allora non costruiamo la sede dell’archivio comunale in periferia, dove lo studioso che viene dalla Germania va a frequentare quella biblioteca? Dobbiamo riprendere questo filo rosso: portare la qualità in periferia.

Come studioso ha detto e scritto molto sulle periferie. In che stato versano le periferie romane e cosa significa per lei “ridare centralità” alle periferie?

Intanto c’è un passaggio abbastanza facile. So che ci vogliono i soldi ma è facile: rimettere mano alla manutenzione ordinaria di quei quartieri. Faccio sempre l’esempio di San Basilio che era un quartiere molto bello, perché c’erano i lotti che erano il punto di mediazione tra la casa e la strada. Quei lotti sono in condizioni disperate: lì basta investirci. Io, quando entro ed esco da casa, c’ho un luogo decoroso, mi abituo a guardare la bellezza di quell’albero, il bambino che va a scuola vede che c’è un giardino curato: è solo così che dobbiamo aiutarla, perché ormai la periferia vive di un abbandono che non aiuta la convivenza. Il degrado di Roma sta nell’abbandono delle periferie.

La sinistra cosiddetta radicale, o a sinistra del PD, si presenta disarticolata: ci sono almeno altri quattro candidati sindaco. La domanda è quella di sempre: dividersi non fa male a tutti? Ci sono tra voi distanze così incolmabili? 

Credo proprio che non ci siano distanze incolmabili. Devo dire che l’unica nota dolente di questo mio tentativo generoso di candidarmi è che non sono riuscito, evidentemente per mia incapacità, a mettere insieme tanti piccoli frammenti che da soli non vanno da nessuna parte, perché non hanno rappresentanza e non sono punto di riferimento di una città che soffre, e che invece insieme avrebbero potuto essere un punto di riferimento. Non lo saranno nemmeno questa volta e io credo che questo è il primo punto di un’agenda politica moderata. Dico sempre che l’Italia è l’unico Paese d’Europa che non ha una sinistra degna di questo nome, con tutti gli aggettivi, moderata, ecologista… non ce l’ha. Credo che questo è il grande obiettivo che dobbiamo porci o che la generazione futura dovrà porsi. Questo è l’unico obiettivo che credo si debba perseguire: l’unità di tutte le persone che vogliono un cambiamento. C’è gente che riesce a litigare anche non avendo differenze: è una cosa che non si può più sopportare.

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