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Rapimento Moro: “Due agenti dei servizi protessero le Br”

A parlare è un ex ispettore di polizia in pensione che ha raccontato all’Ansa la sua inchiesta su Via Fani.
A cura di A. P.
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Nuove e incredibili rivelazioni arrivano sul caso del rapimento dell'ex segretario della Democrazia Cristiana Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse. Sul luogo del rapimento in Via Fani a Roma vi erano anche agenti dei servizi segreti , che parteciparono attivamente all'azione proteggendo le Br da ogni disturbo esterno. È quanto spiega Enrico Rossi, un ex ispettore di polizia oggi in pensione, che racconta all'agenzia Ansa la sua inchiesta. "Tutto è partito da una lettera anonima scritta dall'uomo che era sul sellino posteriore dell'Honda in via Fani quando fu rapito Moro. Diede riscontri per arrivare all'altro. Dovevano proteggere le Br da ogni disturbo. Dipendevano dal colonnello del Sismi che era lì" ha dichiarato Rossi, ricordando di essere venuto a conoscenza della lettera per puro caso solo nel 2011.

Questa la missiva inviata ad un giornale all'epoca dei fatti: "Quando riceverete questa lettera, saranno trascorsi almeno sei mesi dalla mia morte come da mie disposizioni. Ho passato la vita nel rimorso di quanto ho fatto e di quanto non ho fatto e cioè raccontare la verità su certi fatti. Ora è tardi, il cancro mi sta divorando e non voglio che mio figlio sappia. La mattina del 16 marzo ero su di una moto e operavo alle dipendenze del colonnello Guglielmi, con me alla guida della moto un altro uomo proveniente come me da Torino; il nostro compito era quello di proteggere le Br nella loro azione da disturbi di qualsiasi genere. Io non credo che voi giornalisti non sappiate come veramente andarono le cose ma nel caso fosse così, provate a parlare con chi guidava la moto, è possibile che voglia farlo, da allora non ci siamo più parlati, anche se ho avuto modo di incontralo ultimamente…".

Il quotidiano che ricevette la lettera la passò alla questura per i dovuti riscontri, ma della missiva non si seppe più nulla fino a quando approdò in modo casuale sulla scrivana di Rossi che ha sempre lavorato nell'antiterrorismo. "Non è protocollata e non sono stati fatti accertamenti, ma ci vuole poco a identificare il presunto guidatore della Honda di via Fani" spiega ora Rossi. "Chiedo di andare avanti negli accertamenti chiedo gli elenchi di Gladio, ufficiali e non, ma la pratica rimane ferma per diverso tempo" racconta l'ex ispettore, aggiungendo: "Alla fine opto per un semplice accertamento amministrativo: l'uomo ha due pistole regolarmente dichiarate. Vado nella casa in cui vive con la moglie ma  si è separato. Non vive più lì. Trovo una delle due pistole, una beretta, e alla fine, in cantina poggiata o vicino ad una copia cellofanata della edizione straordinaria de La Repubblica del 16 marzo con il titolo ‘Moro rapito dalle Brigate Rosse', l'altra arma".

A questo punto l'ex poliziotto insiste per andare avanti nelle indagini, ma dopo alcuni scontri interni alla polizia decide di desistere convinto però che si sia persa "una grande occasione perché c'era un collegamento oggettivo che doveva essere scandagliato". Dopo essere andato in pensione nel 2012 una "voce amica" gli fa sapere che l'uomo della moto è morto e che le pistole sono state distrutte. A questo punto Rossi decide di parlare "per il semplice rispetto che si deve ai morti".

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