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Raid aerei in Siria, ecco come Obama aiuta l’ex nemico al-Assad

L’obiettivo delle operazioni belliche coordinate dagli Usa in Siria è quello di eliminare le milizie fondamentaliste presenti nel paese, le stesse formazioni tuttavia che rappresentano l’unica e più grande minaccia alla stabilità del regime di al-Assad, regime da tempo contempo contrastato e condannato dall’amministrazione Obama.
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A Damasco c'è un uomo, paziente, che sorride sotto i baffi in attesa degli eventi. Un uomo, potente e temuto, che sta giocando una delle sue più grandi partite col destino, forse quella della vita. Quest'uomo si chiama Bashar Hafez al-Assad ed è il Presidente siriano, colui che esattamente un anno fa era il nuovo grande nemico degli Usa e che oggi invece è diventato l'alleato de facto della coalizione internazionale che si contrappone allo Stato Islamico.
Dodici mesi fa l'amministrazione guidata da Barak Obama non solo condannava apertamente l'operato di al-Assad (la guerra civile in Siria è iniziata nel 2011 con un movimento di protesta definito “primavera siriana” sull'onda emozionale dei movimenti di liberazione nazionale avvenuti nel Nord Africa dalla fine del 2010), ma era anche pronta a lanciare l'ennesima guerra (aerea) in nome della libertà e dell'esportazione della democrazia. Questa volta, dopo l'Iraq, il suolo designato per le operazioni belliche era quello di Damasco e l'obiettivo era estromettere il segretario generale del partito Ba'ath dal potere presidenziale e consegnare lo scettro del governo ad una non ben precisata formazione di rivoluzionari moderati.

Quella stessa amministrazione Usa, tuttavia, ha deciso in queste ore di congelare per così dire le ostilità diplomatiche verso l'attuale governo di Damasco al fine di contrastare l'avanzata delle milizie estremiste guidate di Abu Bakr al-Baghdadi, formazioni che hanno disseminato morte e terrore in Siria così come in Iraq. Il dettaglio, non da poco, è che dallo scoppio della guerra civile in Siria le uniche formazioni che hanno contrastato con successo – dal punto di vista meramente militare s'intende – l'esercito regolare di Damasco sono state le milizie estremiste guidate dall'ex medico iracheno che hanno conquistato in poco tempo vaste porzioni del territorio siriano (in particolare nel Nord e nell'Est del paese) rappresentando una vera minaccia per la popolazione e, allo stesso tempo, per il regime di al-Assad.

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La decisione d'intervenire militarmente in Siria da parte di Washington, scelta senza dubbio legata alle decapitazioni dei cittadini occidentali avvenute nelle scorse settimane (come si ricorderà due cittadini statunitensi – James Foley e Steven Sotloff – e uno britannico – David Haines – sono stati giustiziati davanti le telecamere dei militanti dell'Is), è stata giustificata dalla Casa Bianca come scelta necessaria al fine di contrastare attivamente l'avanzata jihadista in Medio Oriente. Allo stesso tempo, tuttavia, è stato chiarito a più riprese che l'amministrazione Obama non è intenzionata ad iniziare alcuna partnership con le forze di al-Assad. “Non siamo interessati ad aiutare in nessun modo il regime di Damasco – ha affermato a fine agosto Josh Earnst, portavoce della Casa Bianca –. Tuttavia siamo consapevoli che le difficoltà di questa situazione [la crisi in Siria, ndt] sono di molteplici forme”.

I piani militari

Ufficialmente il Pentagono non ha comunicato alle forze regolari siriane né l'ubicazione degli obiettivi da colpire né gli orari dei bombardamenti avvenuti sul suolo nazionale. Ufficialmente, ha sottolineato a più riprese Capitol Hill, non ci sono stati scambi d'informazioni o richieste di autorizzazioni da parte americana verso Damasco. Tuttavia il ministro degli Esteri siriano Walid Mohi Edine al Muallem ha reso noto alla stampa internazionale che Samantha Power, ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite, ha informato il corpo diplomatico siriano – di stanza presso il Palazzo di Vetro – dell'imminente operazione aerea pianificata e coordinata dal Pentagono. La circostanza sarebbe dovuta all'intenzione, da parte dei vertici militari nordamericani, di evitare che le forze armate di Damasco potessero colpire i velivoli del neo alleato statunitense durante le operazioni belliche. Si dirà ragioni prettamente operative e pratiche, ma la sostanza – come circola in ambienti diplomatici da tempo – è che i due ex (per ora) nemici sono a lavoro congiunto – seppur attraverso varie forme di mediazione – per individuare i bersagli dell'Is e procedere al loro ridimensionamento.

“Il tacito consenso di al-Assad alle operazioni militari degli Usa e degli alleati arabi alle operazioni militari sul proprio suolo dimostra comunque che ci sia già stato un livello di coordinazione tra le parti – ha affermato Mike Morell, ex direttore facente funzioni della Cia –. Gli Stati Uniti hanno informato in anticipo le forze regolari siriane dei raid contro le forze dell'Is, al fine di evitare incidenti di sorta”.
La distruzione del principale pericolo per la sopravvivenza del regime, le milizie jihadiste, da parte delle forze Usa rappresenta dunque un aiuto insperato e provvidenziale per il governo siriano che oggi sembra più forte che mai sia internamente che internazionalmente.

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“La Siria è il più grande e complicato scenario di guerra indiretta (proxy war) della storia recente – ha affermato alla Cnn Rami Khouri, direttore dell'Istituto Issam Fares presso l'Università americana di Beirut –. Il regime di al -Assad ha ottimi rapporti con l'Iran, la Russia e Hezbollah (Libano, ndr). Mentre un numero di gruppi ribelli, sia moderati quanto estremisti, hanno ottenuto supporto dagli Usa, dalla Turchia, dall'Ue e dall'Arabia Saudita. E in un conflitto localizzato con tanti poteri internazionali che si mischiano, è davvero difficile evitare contraddizioni come l'aiuto americano, attraverso i raid aerei, al regime di al-Assad”.

I timori di al-Assad

Appare comunque più che ragionevole pensare che al-Assad sia tutt'altro che tranquillo e che sebbene le operazioni militari della coalizione anti Is abbiano come bersagli le postazioni jihadiste il passo verso l'ampliamento delle azioni belliche sembra davvero breve. Come faceva notare Robert Fisk sull'Independent basta poco per bombardare un deposito di munizioni del regime o altre strutture militari dell'esercito regolare e poi, eventualmente, chiedere “scusa” per l'errore. La tensione, dunque rimane alta, e non è chiaro fino a quando la nuova partnership di fatto tra gli Usa e la Siria reggerà. Certo il peso delle altre nazioni sul destino siriano, in primis la Russia che dal 2011 si è fieramente opposta e successivamente imposta ad ogni tipo d'intervento militare in Siria (registrando l'ennesima vittoria politica e militare di Putin su Obama, si ricordi anche quanto avvenuto di recente in Crimea), è grande e potrebbe contribuire ad evitare che le operazioni militari nate per contrastare l'Is si direzionino verso Damasco.

È dunque presto per ipotizzare se i raid aerei Usa avranno successo contro le milizie jihadiste dell'Is e se riusciranno a contrastare l'avanzata del fondamentalismo in Medio Oriente. Ed è presto per ipotizzare se il ruolo del paesi arabi sarà davvero di guida contro le formazioni estremiste e se questi riusciranno a bloccare i finanziamenti alle organizzazioni terroristiche presenti in Medio Oriente, ma è possibile dire che al momento il regime siriano risulta essere il primo vero beneficiario delle operazioni in Siria.

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