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Opinioni

Tutti i problemi di Salvini, dal flop della Lega in Abruzzo alle contestazioni dei militanti al Nord

La Lega è andata male alle regionali in Abruzzo, come anche in Sardegna, o alle ultime elezioni politiche. Dopo dieci anni a guida Matteo Salvini, le contestazioni al segretario da alcuni militanti della vecchia guardia sono accese e il partito è in crisi di consensi. I nodi interni potrebbero arrivare al pettine con le europee, qualunque sia il risultato.
A cura di Luca Pons
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"Siamo stati determinanti, parlare di Lega in Abruzzo qualche anno fa sarebbe stato impensabile. I nostri 43mila voti sono quelli che hanno fatto vincere il centrodestra. Siamo in Consiglio, siamo in giunta, sono contento". Questa è l'analisi di Matteo Salvini del voto alle regionali in Abruzzo, condivisa con i cronisti oggi a Verona. In realtà, però, per la sua Lega il risultato è stato più che deludente: circa il 7,5% dei voti, otto consiglieri persi (il partito passerà da dieci a due, per quanto due fossero già passati a Forza Italia durante il primo mandato di Marsilio). Un risultato molto lontano non solo da Fratelli d'Italia (24%), ma anche da FI (13%). E nel partito ricominciano a circolare le idee di chi immagina un Carroccio non più guidato da Salvini.

Ieri sera, a Quarta Repubblica, il segretario Salvini è tornato a parlare del governo Draghi, sostenuto insieme a Pd e M5s mentre Fratelli d'Italia stava all'opposizione: "Sembra passato un secolo, ma quel governo a me bene non ha fatto. Gli italiani ci hanno punito". A prescindere dalle ragioni, il dato di fatto è che da anni la Lega è in crisi di consensi, e guardando ai sondaggi nazionali sembra che si avvicini il sorpasso da parte di Forza Italia. Gli occhi sono puntati alle europee di inizio giugno.

Le delusioni in Sardegna e in Abruzzo, la paura di perdere il Veneto

Alle regionali in Sardegna la Lega aveva preso il 3,7%, ma il partito dell'ex governatore Solinas, federato con il Carroccio in Regione, aveva ‘compensato' con il 5,4%. In Sardegna poi la sconfitta era arrivata anche a causa della scelta di un candidato vicino a Giorgia Meloni, cosa che aveva dato via libera  alle rivendicazioni leghiste sulla non ricandidatura di Solinas.

In Abruzzo, invece, il centrodestra ha avuto successo: l'unico partito della coalizione che ci ha perso è stato proprio la Lega. Il dato è impietoso se confrontato con il 26% ottenuto alle ultime regionali, nel 2019, quando i voti furono non 43mila ma 165mila. Ma è negativo anche guardando alle elezioni politiche del settembre 2022: allora, nella Regione la Lega prese l'8,6% (51mila voti) e Forza Italia l'11,1%. Il voto del 10 marzo hanno visto il divario allargarsi ancora di più.

Ora il pensiero va alle prossime elezioni. Nel 2024 ci saranno Basilicata, Piemonte e Umbria, dove i candidati sono già decisi. L'anno prossimo voteranno diverse Regioni, tra cui una che per Salvini è fondamentale: il Veneto. Oggi ha ribadito: "Il Veneto era, e per quello che mi riguarda rimarrà, orgogliosamente leghista". Sull'attuale popolarissimo presidente Zaia (che alcuni vedono anche come un possibile sostituto di Salvini) pesa il limite di due mandati, che il Carroccio ha provato più volte a cancellare in Parlamento senza successo.

Salvini è arrivato a non escludere di correre senza gli alleati della coalizione: "Noi lavoriamo per il centrodestra unito ovunque. Se in qualche singolo caso a livello locale ci saranno incompatibilità, o questioni fra tizio e caio, non è una scelta nazionale". Una prospettiva che adesso sembra lontana, ma per la Lega mantenere la guida di una Regione storicamente verde come il Veneto, senza cedere il passo anche qui a Fratelli d'Italia, potrebbe diventare fondamentale.

Le contestazioni al segretario e la richiesta di togliere il nome dal simbolo

Proprio dal Veneto è arrivata una contestazione aperta nei confronti del segretario Salvini. Pochi giorni fa Gianantonio Da Re, parlamentare europeo e storico esponente del Carroccio con 42 anni di militanza, è stato espulso dal partito. Alla base dell'esclusione ci sono le parole pronunciate a Repubblica parlando di un eventuale "disastro" alle europee: "Il giorno dopo Salvini si deve dimettere. O il cretino se ne va con le buone, o andiamo tutti a Milano in Via Bellerio e lo cacciamo con le cattive. Ormai la pensiamo tutti così, a partire da 80 parlamentari che aspettano solo i numeri del voto per muoversi".

Quell'insulto è stato il motivo dell'espulsione, ma da tempo Da Re contestava la linea di Salvini su moltissimi temi, rappresentando la vecchia anima ‘nordista' del partito. Ieri, l'ex deputato della Lega Paolo Grimoldi ha detto chiaramente a LaPresse che il logo sulle schede elettorali deve cambiare: "Non possiamo chiamarci ‘Lega per Salvini premier’ quando in Sardegna prendi il 3%, ed è chiaro che avere o non avere il premier non può essere un progetto politico. Quindi, modificare subito il simbolo prima delle europee per evitare la debacle elettorale". E ancora: "Spero che Salvini, che ha fatto un ottimo lavoro, comprenda la situazione politica, faccia un passo di lato, vada avanti a fare il vicepremier e il ministro".

Verso le europee per la ‘resa dei conti' interna

Oggi, a Verona, il segretario ha messo da parte entrambe le critiche. Su Da Re ha risposto: "La Lega ha migliaia di amministratori e di iscritti che lavorano oggi, domani e dopodomani, in silenzio e per la loro gente. Noi abbiamo tanto tempo da dedicare al lavoro, non alla polemica o all'insulto. Se uno fa scelte diverse, siamo in democrazia". Sulla richiesta di un ‘passo di lato' è stato ancora più sintetico: "Parliamo di cose serie".

Da tempo nella Lega si parla del prossimo congresso federale, che dovrà avvenire dopo le elezioni europee. Salvini ha escluso di convocarlo prima: “Non ho mai parlato di congressi ad aprile, si farà quando sarà opportuno. Prima bisogna vincere le europee”.

Un risultato positivo alle urne – magari aiutato da candidature ad effetto come quella del generale Vannacci, inseguito da mesi – potrebbe mettere a tacere i critici del segretario, e infatti da tempo la linea della Lega si distacca da quella degli alleati a ogni occasione possibile, per marcare la distanza e attirare l’elettorato di destra (a Bruxelles il carroccio sta con Marine Le Pen e i tedeschi di AfD, tra gli altri). Ma un ulteriore flop, magari con un sorpasso definitivo da parte di Forza Italia, potrebbe dare ancora più vigore a chi chiede un cambiamento nel partito. In quel caso, dopo oltre dieci anni a guida Salvini, non è da escludere che anche la poltrona di segretario tornerebbe in discussione.

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