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Le consultazioni per il nuovo governo

Tutti contro il governo Monti. Ma ricordate com’era messo il Paese nel 2011?

Con l’ipotesi del “governo neutrale”, torna alla ribalta il ricordo dell’odiatissimo governo dei tecnici guidato da Mario Monti. Salvini, Meloni e Di Maio si scagliano contro l’opzione paventata dal presidente Mattarella e criticano fortemente la riedizione del governo dei tecnici, agitando lo spauracchi di Monti e della Fornero. Ma com’era messo il Paese quando nel novembre 2011 venne chiamato l’ex rettore della Bocconi alla guida dell’esecutivo e per quale motivo i tecnici dovettero implementare riforme altamente impopolari?
A cura di Charlotte Matteini
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Dopo oltre 60 giorni di stallo e nessun accordo politico all'orizzonte, il presidente della Repubblica, rassegnato, ha proposto la formazione di un governo neutrale che possa  traghettare il Paese fino a dicembre, ovvero fino all'approvazione della prossima legge di bilancio, per scongiurare l'aumento dell'Iva al 25% e le speculazioni finanziarie che un nuovo voto e il perdurare dello stallo istituzionale potrebbero produrre, sottolineando che in caso di accordo politico tra le forze parlamentari questo governo tecnico si sarebbe immediatamente dimesso per lasciare spazio a un governo politico con pieni poteri. Insomma, una soluzione ponte che da un lato cerca di far uscire il Paese dal pantano istituzionale che si è creato e dall'altro mira a concedere ulteriore tempo ai partiti per trattare la nascita di un'alleanza di governo.

Immediatamente, a pochi minuti dall'annuncio del capo dello Stato, i leader politici – Salvini, Meloni e Di Maio soprattutto – hanno fortemente criticato l'ipotesi messa sul piatto da Sergio Mattarella e hanno iniziato a paragonare questo "governo di tregua" all'odiatissimo esecutivo tecnico di Mario Monti. "Il bilancio dell'ultimo governo neutrale. No al Monti Bis: +20 miliardi di tasse, +128 miliardi di debito pubblico, + 644mila disoccupati, -3% Pil", scrive oggi Giorgia Meloni, snocciolando un po' di dati a caso. Dello stesso avviso anche il leader della Lega Matteo Salvini, che da anni si scaglia contro il governo dei tecnici e in particolare contro l'ex ministro del Lavoro e madre della riforma pensionistica, Elsa Fornero. Anche Di Maio vede come fumo negli occhi l'ipotesi paventata dal presidente Mattarella e ha dichiarato: "Noi un governo neutrale non lo votiamo perché significherebbe portare al governo persone che non hanno una connessione con la popolazione e rischierebbero solo di far quadrare i conti con un effetto simile a quello del governo Monti". 

Insomma, Mario Monti e il governo tecnico sono l'origine di tutti i mali per i leader dei maggiori partiti italiani che da 60 giorni non riescono a sedersi a un tavolo per costituire un'alleanza programmatica che possa dar vita a un esecutivo. Ma davvero Mario Monti e il governo tecnico fecero così male all'Italia? Non è che in questa narrazione anti-governo neutrale, i nostri prodi si stanno dimenticando qualche piccolo e trascurabile dettaglio? Perché nel novembre 2011 arrivarono i tecnici alla guida del Paese e per quale motivo in quell'anno e mezzo Monti e i suoi ministri vararono una serie di riforme "lacrime e sangue" e aumentarono la tassazione di 20 miliardi di euro? Per divertimento o per necessità?

Torniamo al 2011 e ricordiamo qualche fatto incontrovertibile: ricordate l'esplosione della crisi del debito pubblico, lo spread e il rischio declassamento per l'Italia? All'epoca governava Berlusconi e il ministro dell'economia era Giulio Tremonti. Nel gennaio di quell'anno lo spread era pari a 173 punti, a novembre toccò quota 574 punti. Celebre fu la prima pagina del Sole 24 Ore del 10 novembre 2011, un immenso titolo a nove colonne in prima pagina lanciava l'allarme: "Fate presto". La situazione era fuori controllo, da gennaio a novembre lo spread era cresciuto di 400 punti, i conti pubblici erano sull'orlo del dissesto e il Paese rischiava di essere commissariato dalla cosiddetta "Troika".

Nell'estate 2011, lo spread iniziò a crescere sempre di più, a ritmi incessanti, e il governo Berlusconi era letteralmente assediato dagli ultimatum europei: a settembre Standard & Poor's declassa l'Italia e la reazione dei mercati sui titoli italiani fu molto dura, il Paese era considerato a serio rischio fallimento; a ottobre Francia e Germania chiedono a Berlusconi di attuare le riforme necessarie ad arginare la situazione. Poche settimane dopo, dopo mesi di indiscrezioni giornalistiche, l'ex rettore ed ex presidente dell'Università Bocconi, Mario Monti, viene nominato senatore a vita dal presidente Napolitano e il 12 novembre riceve l'incarico di governo.

Dalla grande crisi economica scatenatasi nel 2008, il Belpaese non sembrava in grado di riuscire a riprendersi, complice proprio la zavorra del debito pubblico fuori dai parametri europei e in costante crescita. Per farla breve, al Paese servivano le cosiddette riforme, in caso contrario difficilmente lo Stato avrebbe avuto i soldi per continuare a pagare stipendi ai dipendenti pubblici, pensioni ed erogare servizi essenziali. Monti e i suoi ministri si trovano dunque costretti a guidare un Paese sull'orlo del baratro e a dover implementare tutte le misure necessarie a evitare la catastrofe e il fallimento dello Stato Italiano, a sbrogliare la matassa di problemi che la politica ha aggrovigliato per decenni senza preoccuparsi mai di porvi rimedio.

E così, nel giro di un anno e mezzo arrivarono la riforma delle pensioni di Elsa Fornero, l'Imu sulla prima casa, il decreto salva-Italia con 30 miliardi di gettito in 3 anni, il pareggio di bilancio in Costituzione, le liberalizzazioni, un decreto per la razionalizzazione della spesa pubblica, insomma arrivarono la cosiddettà "austerità" e le impopolari riforme economiche, fiscali e previdenziali che l'Unione europea chiedeva all'Italia da molti anni e che il Paese si era impegnato a implementare da anni ratificando i trattati europei nel corso degli anni '90 e 2000. Le riforme e l'innalzamento della tassazione ebbero di primo achitto un effetto recessivo, ma erano necessarie a evitare il default del Paese e in quel periodo l'talia non si avrebbe mai potuto permettersi misure espansive perché, banalmente, "non c'erano soldi". Queste misure impopolari e previste dai trattati europei da molti anni vennero affidate a dei tecnici perché per molti anni i politici bisognosi di consenso avevano procrastinato la loro entrata in vigore per paura di perdere le elezioni, portando il Paese sull'orlo del baratro.

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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