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Scuola, figli di medici e infermieri in dad come gli altri: polemiche dopo circolare ministero

Il personale sanitario chiede soluzioni al governo, dopo la soluzione di chiudere tutte le scuole, lasciando a casa tutti i ragazzi. Dad per tutti quindi, tranne che per l’uso di laboratori, per gli alunni disabili e studenti con bisogni educativi speciali. Per Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi, non c’è una legge che stabilisca quali sono le categorie essenziali, “anche se conveniamo tutti i che medici lo siano”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Dad sì, dad no. Da quando Viale Trastevere ha chiarito che non i figli dei medici non hanno diritto alla didattica in presenza sono scoppiate le polemiche. Riavvolgiamo il nastro: lo scorso 4 marzo una circolare del ministero dell'Istruzione inviata a presidi e dirigenti scolastici regionali, riprendendo quanto stabilito dal dpcm del 2 marzo, il primo del governo Draghi, specificava le modalità della didattica a distanza e le deroghe. Tra queste, veniva confermata quella per i figli del personale sanitario, "salvo ovviamente diversa disposizione delle ordinanze regionali o diverso avviso delle competenti strutture delle Regioni".

Due giorni fa una nuova circolare del ministero ha smentito le precedente comunicazione, specificando che nelle zone rosse (o arancione rafforzato) sono "sospese le attività dei servizi educativi dell'infanzia e le attività scolastiche e didattiche delle scuole di ogni ordine e grado si svolgono esclusivamente con modalità a distanza", tranne che per l'uso di laboratori, alunni disabili e studenti con bisogni educativi speciali  (Bes). Ma i figli dei sanitari non fanno eccezione. In alcune Regioni, come Piemonte o Lombardia sono state giù emanate ordinanze che specificano l'esclusione degli figli del personale sanitario dalla didattica in presenza.

Il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli, si è detto sconcertato. "Chiediamo ai decisori di ripristinare subito la deroga per i figli dei medici e degli odontoiatri, siano essi dipendenti, convenzionati, liberi professionisti – ha detto ieri Anelli -. È un giusto riconoscimento del ruolo che, tutti in egual misura, ricoprono nella gestione della pandemia. Una società matura non deve scegliere quali diritti garantire, deve erogarli tutti in maniera completa ed efficace. La scuola deve accogliere i figli dei sanitari, dando modo ai genitori di continuare a svolgere la loro professione con serenità".

Un grido d'aiuto che non è isolato. Monica Bettonagli, dirigente medico del pronto soccorso alla Fondazione Poliambulanza Brescia, ha scritto una lettera al Sole 24 Ore, parlando a nome di numerosi colleghi: "Si chiede al personale sanitario italiano, sfiancato da un anno di emergenza, di farsi carico di nuovo e a tempo indeterminato della gestione dei propri figli in ambito extrascolastico, mantenendo contemporaneamente il proprio ruolo in trincea".

Il punto è anche che quando siamo ormai nella terza ondata, con i contagi in crescita, non si trovano nemmeno baby sitter disposte a lavorare a casa di medici o infermieri che lavorano negli ospedali. Secondo il presidente dell'Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli, la questione dei lavoratori essenziali è complessa, "ma in Italia non c'è una legge che stabilisca quali sono le categorie essenziali, anche se conveniamo tutti i che medici lo siano. Tuttavia se dovessimo mettere a frequenza i figli di tutti i lavoratori essenziali significherebbe un numero consistente di ragazzi in presenza a scuola; va quindi trovato un punto di equilibrio. L'unica norma può riguardare gli studenti con disabilità o quelli che frequentano attività laboratoriali essenziali per conseguire il diploma di studio, in caso contrario sarebbe difficile, sgradevole e infondato" trovare i figli dei lavoratori essenziali, "visto che non c'è una legge" a riguardo, ha detto a La 7.

"Il problema – ha detto Giannelli – è il Piano vaccinale, nelle scuole le regole di sicurezza sono state osservate in modo ligio, sui trasporti qualcosa si è fatto da dicembre ma che il problema fosse l'affollamento dei bus lo sapevamo tutti. Negli ultimi 30 anni non sono state costruite scuole nelle grandi città e i centri storici hanno classi che scoppiano, al contrario nei piccoli centri. Queste contraddizioni e complessità sono esplose con il Covid".

I lavoratori essenziali sono difesi da Italia viva, che punta il dito contro il governo: "I lavoratori essenziali, che a prescindere dal colore della regione sono al lavoro, hanno problemi reali se hanno bambini e ragazzi a casa, non potendo lasciarli soli. I bambini e i ragazzi in queste condizioni sono tanti ma, allo stesso tempo, la situazione epidemica che ha portato alla chiusura delle scuole sconsiglia di ricorrere all’aiuto dei nonni. A prescindere dalle circolari del ministro dell’Istruzione, il governo deve chiarire. Grazie al lavoro della ministra Bonetti si stanno aiutando molte famiglie con strumenti (come congedi e bonus baby sitter) ma questi strumenti, per chi lavora in settori essenziali come per esempio gli ospedali, non consentono di non recarsi sul luogo lavoro. Ancora una volta ci rendiamo così conto di quanto importante sia la scuola in presenza". La questione per il momento è ancora senza soluzione.

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