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Quindici Paesi Ue hanno fatto causa all’Ungheria per la legge anti-Lgbt, ma l’Italia si è tirata fuori

La Commissione europea ha fatto ricorso alla Corte di giustizia dell’Ue per la legge dell’Ungheria che vieta la “promozione dell’omosessualità” ai minori. Quindici Stati Ue si sono uniti, invece l’Italia ha scelto di non sostenere l’accusa contro Orbán: è l’unico Paese fondatore dell’Ue ad averlo fatto.
A cura di Luca Pons
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Nel 2021, l'Ungheria ha approvato una legge che vietava di "promuovere" il cambio di genere e l'omosessualità tra i minori di 18 anni. Una norma che ha avuto un impatto sulle scuole, ma anche sui prodotti culturali in generale, creando di fatto una stretta censura contro tutti i contenuti legati alla comunità Lgbt. È stata ritenuta co-responsabile anche dell'aumento dei crimini di odio nel Paese contro persone Lgbt. La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, l'ha definita una norma "vergognosa".

A dicembre 2022, dopo ripetuti tentativi di spingere il governo di Viktor Orbán a ritirare la legge, la Commissione ha presentato un ricorso alla Corte di giustizia dell'Ue. È la più grande procedura sulla violazione dei diritti umani mai portata davanti alla Corte, e sostiene che la norma violi l'articolo 2 del Trattato sull'Unione europea:

L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.

C'era tempo fino al 6 aprile per decidere di appoggiare questo ricorso. Lo hanno fatto il Parlamento europeo e quindici Paesi dell'Ue, tra cui Francia e Germania. L'Italia, invece, si è tirata indietro.

Le critiche del governo Draghi alla norma anti-Lgbt dell'Ungheria

Pochi giorni dopo l'approvazione della legge, nel giugno 2021, tredici Paesi dell'Unione europea avevano sottoscritto una dichiarazione congiunta per condannare il provvedimento in questione. L'Italia, dopo che il governo di Orbán non aveva dato chiarimenti, era diventata il quattordicesimo Paese a firmarla.

Lo stesso presidente del Consiglio Mario Draghi, in sede europea, aveva ricordato al premier ungherese che sarebbe stata la Commissione europea a decidere se la legge violava i trattati dell'Ue. Oggi, evidentemente, la posizione del governo italiano sui diritti delle persone Lgbt e sui rapporti con il governo ungherese è cambiata.

Chi ha appoggiato il ricorso contro Orbán e chi no

I Paesi che hanno scelto di sostenere il ricorso contro la legge sono quindici: Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Spagna, Portogallo, Danimarca, Irlanda, Malta, Austria, Finlandia, Svezia, Slovenia e Grecia. Sono inclusi, tra l'altro, tutti i Paesi fondatori dell'Ue, tranne l'Italia.

Al contrario, il governo Meloni ha deciso di allinearsi a un'altra parte dell'Unione europea: insieme a Roma, hanno ignorato il ricorso anche Polonia, Romania, Bulgaria, Cipro, Croazia, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca e Slovacchia.

Secondo fonti del governo italiano, il ricorso sarebbe stato fatto su basi deboli dal punto di vista tecnico perché l'articolo 2 non è mai stato applicato in modo diretto per giudicare se una legge fosse compatibile o meno con i trattati europei. Per questo, secondo il governo Meloni si tratterebbe di un ricorso che ha valore più che altro politico, e questo sarebbe il motivo per cui si è deciso di non aderire.

Per Raffaella Paita, capogruppo del Terzo polo al Senato, "la Meloni continua a isolare l'Italia schierandosi al fianco di Orbán invece di contrastare la vergognosa legge anti Lgbtq+ insieme agli altri Paesi Ue". Sulla stessa linea Riccardo Magi, segretario di +Europa: il governo Meloni si schiera "con Orban verso l'omofobia di Stato", ha twittato.

La risposta di Budapest all'Unione europea

Il governo ungherese ha presentato un contro-ricorso alla Corte di giustizia, per la procedura di infrazione portata avanti dall'Unione europea. "Per noi la questione della protezione dell'infanzia non conosce compromessi, proteggeremo i nostri bambini", ha affermato Péter Szijjártó, il ministro degli Affari esteri di Budapest.

"Non si tratta di una semplice decisione del governo, né di una decisione parlamentare, ma è la volontà del popolo, espressa in un referendum (il referendum sulla legge si è svolto il 3 aprile 2022, ma non ha raggiunto il quorum, ndr) e non conosciamo una decisione di livello superiore in una democrazia. Perciò, ovviamente, ci schiereremo a favore della protezione dell'infanzia e dei bambini ungheresi, indipendentemente dal numero di Paesi che decideranno di unirsi alla causa in corso contro di noi".

Il segretario di Stato del ministero degli Esteri, Tamas Menczer, ha invece criticato la Finlandia, che si è unita al ricorso: "I nostri amici finlandesi hanno ancora molto da imparare sulla correttezza. Chiedere l'elemosina finché non si ottiene qualcosa e poi voltare immediatamente le spalle non è un comportamento corretto". La decisione della Finlandia, infatti, è arrivata dopo che il parlamento ungherese aveva approvato l'ingresso di Helsinki nella Nato. Anche il prossimo Paese in lista per entrare nell'alleanza militare, la Svezia, ha sostenuto il ricorso, e potrebbe quindi incontrare l'opposizione dell'Ungheria.

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