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Follow the money: inchiesta sul caso Durigon

“Quello che indaga sulla Lega l’abbiamo messo noi”: il silenzio di Draghi e del Governo sul caso Durigon

L’assordante silenzio del governo sul caso Durigon fa molto più rumore dell’inchiesta di Fanpage.it. Il silenzio del Presidente Draghi di fronte a un sottosegretario che promette nomine e dice di poter controllare le indagini è un caso che, in qualsiasi altro paese europeo, avrebbe portato alle dimissioni del politico coinvolto e che in Italia non trova spazio neanche nella tv di stato.
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L'inchiesta del team Backstair di Fanpage.it ha svelato il sistema di potere di Claudio Durigon. Il sottosegretario all'economia del Governo Draghi promette posti nelle aziende partecipate e afferma di poter condizionare l'inchiesta sulla Lega perché il titolare dell'indagine è stato "messo da lui". Non solo, la sua ascesa è legata a un sistema di tessere gonfiate, di incarichi pubblici ottenuti grazie a questo escamotage, di rapporti quantomeno "pericolosi" con esponenti della criminalità di Latina e vicini la ‘ndrangheta.

Fatti gravissimi che in qualsiasi altro paese d'Europa avrebbero scatenato un putiferio e che, in Italia, il governo sta cercando di tenere quanto più "nascosti" possibile. Claudio Durigon non è un onorevole di secondo piano. È il "papà" di Quota 100, fa parte del cerchio magico di Matteo Salvini (è con lui al Papeete, alle feste di compleanno, in vacanza a Sabaudia), è il numero due del Ministero delle Finanze, il cui Ministro è una diretta emanazione del Presidente del Consiglio Mario Draghi.

In un paese in cui la politica si occupa dell'aspetto etico dei suoi membri Claudio Durigon si sarebbe già dimesso. Ma siamo in Italia e abbiamo delegato alla magistratura anche le scelte etiche sulla politica. È arrivato il momento di dire basta. Il perimetro delle responsabilità sociali è un perimetro molto più ampio di quello sulle responsabilità penali. Fa parte del patto tra cittadino e suo rappresentate e non ha, necessariamente, un corrispettivo penale. Se un politico mente, se un politico afferma di dare indietro i soldi al proprio partito (e magari su quella promessa viene eletto) e poi non lo fa, non siamo nell'ambito penale ma etico.

Gli episodi dell’inchiesta

Non è importante se la magistratura aprirà o meno un'inchiesta, perché la nonchalance con la quale Durigon dice di disporre di un generale della Guardia di Finanza, la semplicità con la quale offre nomine a una persona a lui vicina rappresenta un problema etico prima che giuridico.

L'assordante silenzio del governo e del Presidente Draghi fa più rumore dell'inchiesta stessa. Se il nostro perimetro etico deve essere quello delle democrazie europee ebbene in Europa un sottosegretario che afferma di poter condizionare le indagini si sarebbe già dimesso.

E invece siamo qui nell'attesa che un membro della maggioranza dica qualcosa, spieghi, chiarisca. Niente. Solo il silenzio. Il silenzio della tv di stato, per la quale quest'inchiesta non esiste. Il silenzio di Matteo Salvini, sempre pronto a commentare qualsiasi cosa venga dibattuta sui social.

Il silenzio di un governo di larghissime intese che avrebbe dovuto fare della ricostruzione del patto stato-cittadino il suo faro e che invece si trova a nascondersi dietro i portoni dei palazzi.

L'Italia è un paese che uscirà davvero dalla crisi coronavirus solo quando avrà ricostruito questo patto, solo quando avrà una classe politica che si autoregolamenta davvero e non deve aspettare sempre un'inchiesta della magistratura per delimitare il proprio perimetro etico. Quando davanti a fatti di tale gravità quelli che si definiscono leader abbiano il coraggio di metterci la faccia e di dire "così non va". La credibilità della classe politica passa anche per questi gesti. L'antipolitica si combatte così, con l'etica, non con il silenzio.

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Ex direttore d'AgoraVox, già professore di Brand Strategy e Comunicazione Pubblicitaria Internazionale presso  GES -  Grandes Écoles Spécialisées di Parigi. Ex Direttore di Fanpage.it, oggi Direttore di Deepinto.
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