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News sul salario minimo in Italia

Perché sul salario minimo Meloni va contro i lavoratori per fare favori al suo elettorato

Giorgia Meloni ha escluso la possibilità di introdurre un salario minimo legale. Allo stesso tempo, nel decreto del primo maggio ha ampliato l’uso dei voucher e dei contratti a termine, allargando il lavoro precario. L’economista Andrea Roventini ha spiegato a Fanpage.it perché sono decisioni dannose per l’Italia, e perché Meloni le ha prese.
Intervista a Prof. Andrea Roventini
Docente di Economia alla Scuola superiore Sant'Anna di Pisa
A cura di Luca Pons
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Oggi, sabato 17 giugno, il Movimento 5 stelle ha lanciato una manifestazione di protesta contro le misure del governo Meloni che aumentano la precarietà del lavoro (i voucher, i contratti a termine) e il lavoro povero, con il rifiuto di introdurre un salario minimo legale. Andrea Roventini, professore di Economia alla Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, ha risposto alle domande di Fanpage.it sul tema, spiegando perché si tratta di una misura che farebbe bene non solo ai lavoratori, ma a tutta l'economia italiana, e perché il governo Meloni ha deciso di non prenderla in considerazione.

Professore, perché si dice che il salario minimo creerebbe problemi?

L’idea sbagliata che si aveva del salario minimo nel secolo scorso, quella che si insegnava fin dai corsi base di economia, era che se si imponeva un salario minimo per legge questo creava disoccupazione, perché solo il mercato poteva stabilire il salario giusto.

E non è così?

Diversi studi empirici hanno dimostrato il contrario – il più famoso è stato sui lavoratori dei fast food negli Stati Uniti, del premio Nobel David Card e di Alan Krueger. Hanno trovato che l’aumento del salario minimo non riduce l'occupazione mentre aumenta i salari. Questo poi non si applica solo agli Usa: si sono avuti gli stessi risultati in Germania.

Ma funzionerebbe anche in Italia, un Paese in cui c'è un alto tasso di lavoro in nero?

Gli stessi risultati di Usa e Germania si sono riscontrati anche in un Paese a medio reddito come il Brasile. Il lavoro nero e il lavoro povero ci sono anche in Brasile, con tassi elevati, ma il meccanismo è stato lo stesso.

Perché il salario minimo non ha un effetto negativo come si pensava?

Fondamentalmente, i lavoratori si riescono a spostare verso le aziende migliori, che possono pagare salari più elevati. Quindi si ha un effetto positivo anche sulla produttività: le imprese migliori sono quelle che producono di più. Questo è un altro grande tema.

Le imprese?

Il potere delle imprese nel mercato del lavoro. Le più recenti ricerche empiriche in economia hanno riscoperto una cosa che si sapeva, ma che si era in parte dimenticata: i mercati del lavoro sono monopsonisti.

Cioè?

Cioè le imprese hanno più potere dei lavoratori, e questo gli permette di fissare un salario più basso di quello di mercato. Quindi quello che si insegna nei primi corsi di economia, su come si arriva al salario di mercato, nella realtà non funziona perché le imprese hanno il potere di abbassarlo.

Questo potere si può limitare?

Certo! Sono scelte istituzionali. In Italia dagli anni Novanta con le ondate di riforme strutturali del mercato del lavoro – dalla legge Treu in poi – abbiamo indebolito il potere negoziale dei sindacati. Ovvio che questo ha aumentato il potere delle imprese e compresso i salari. Infatti, recentemente il contratto collettivo della vigilanza privata (notoriamente uno dei più bassi in Italia, ndr) è stato rinnovato con aumenti salariali irrisori, nonostante sia stato firmato dai tre sindacati confederali. Ora, si può argomentare sulle responsabilità dei sindacati, ma è certo che i sindacati in questione non hanno il potere di imporre dei salari più elevati. Non c'è il quadro istituzionale che glielo permetta. Anche in questo, il salario minimo aiuterebbe molto.

Quindi l'obiezione "non serve il salario minimo, meglio puntare sulla contrattazione collettiva", non ha senso?

È uno straw man argument come si direbbe in inglese, un argomento fantoccio. Il salario minimo esiste già in Paesi dove la contrattazione collettiva c'è e i sindacati sono forti, come la Francia e la Germania. Serve per coprire tutti quei settori non coperti dai contratti collettivi, ma anche a dare più potere contrattuale ai sindacati per ottenere contratti collettivi più favorevoli ai lavoratori.

Giorgia Meloni ha detto che introdurre il salario minimo non serve e il governo preferisce ridurre il cuneo fiscale.

Meloni sul salario minimo ha dimostrato di essere ignorante, o in malafede, o entrambe le cose.

Perché?

Perché dice di essere pragmatica, eppure la ricerca economica da parte di tutte le fonti più autorevoli chiarisce che il salario minimo fa bene. Quindi, se lei è pragmatica, dovrebbe introdurlo. Il fatto che non lo voglia fare porta ad altre conclusioni.

Il cuneo fiscale quindi non è una soluzione equivalente?

Sicuramente è una cosa buona tagliare il cuneo fiscale solo a favore dei lavoratori, perché aumenta i salari. Ma ci sono dei problemi.

Quali?

Due principalmente. Il primo è che il salario minimo allo Stato costa zero, invece il taglio del cuneo fiscale costa tantissimo per far avere poche decine di euro di aumento di stipendio. Guardando la questione pragmaticamente, come è meglio spendere la spesa pubblica: tagliando il cuneo fiscale, oppure in istruzione, sanità o con una riforma fiscale di più ampia portata?

E il secondo problema?

È quello che spiega perché Meloni taglia il cuneo fiscale, e perché anche a Confindustria va bene. Di fatto lo Stato si sobbarca una parte dell'aumento dei salari connesso all'inflazione. Dà un beneficio indiretto alle imprese: non aumenteranno i salari, o li aumenteranno molto meno, perché è intervenuto lo Stato.

Quindi, con l'andamento dell'inflazione le imprese avrebbero dovuto aumentare gli stipendi, almeno in parte, ma visto che arriva il taglio del cuneo fiscale non lo fanno, risparmiando soldi che invece ci mette lo Stato?

Sì, è una sovvenzione mascherata alle imprese. E questo porta al modello perverso di sviluppo italiano. Un modello basato su salari bassi e flessibilità del lavoro – quindi lavoro temporaneo e povero – con cui le nostre imprese guadagnano nel breve, ma si disabituano a innovare. Così le aziende italiane finiscono per competere con le economie a medio reddito (e non ad alto reddito come l'Italia, ndr). E in quelle economie ci saranno sempre una flessibilità più alta e un costo del lavoro più basso che in Italia. Quindi nel medio e lungo periodo, le imprese italiane ci perdono e l'economia italiana ristagna. Un salario più elevato e contratti di lavoro stabili invece spingono la formazione dei lavoratori e l'innovazione delle imprese. Ciò aiuterebbe ad aumentare la produttività dell'economia italiana, che non a caso è ferma da trent'anni, da quando abbiamo iniziato a flessibilizzare il mercato del lavoro.

I dati Istat sull'occupazione però mostrano un aumento dell'occupazione negli ultimi mesi, pur leggero. Anche nei contratti a tempo indeterminato. Il governo fa bene a vantarsene?

Secondo me no. Una rondine non fa primavera e questi dati sono molto ballerini. Nei mesi precedenti, i contratti temporanei avevano ricominciato ad aumentare. Ora siamo in una fase di espansione economica, perché dopo il Covid sono arrivate le risorse del Pnrr. Ovvio che quando l'economia cresce è più facile che l'occupazione sia stabile. Ma il trend di fondo è evidente: il Pil italiano è ancora sotto i livelli del 2008, e i salari reali sono fermi da trent'anni. Anche quest'anno, in Italia non ci saranno i rinnovi attesi, e così i salari scenderanno ancora. Quindi non mi sembra un quadro di cui vantarsi.

Il decreto del primo maggio ha agevolato voucher e contratti a termine, ma è stato presentato come una misura che aiuta i lavoratori. È una strategia politica?

È una mossa che mostra bene l'abilità politica di Meloni: inserisce delle misure come l'estensione dei voucher e la liberalizzazione dei contratti a termine sotto il tappeto in un decreto "lavoro" che, in realtà, è contro i lavoratori. Si dà una caramella con il taglio del cuneo fiscale, ma è uno dei maggiori attacchi ai diritti dei lavoratori. È una grandissima operazione di Neolingua.

Quella di Orwell in 1984?

Sì, Jean-Paul Fitoussi l'ha applicata anche all'economia nel suo ultimo libro. Si cambia il significato dei termini, per avallare certe politiche che anni, decenni fa sarebbero state considerate per quel che sono: politiche contro i lavoratori e a favore degli imprenditori, o comunque del blocco elettorale che vota Meloni. Per me l'interrogativo più grande è perché si sentano poche voci contro questo tipo di politiche. C'è un problema serio anche nel rapporto di stampa ed economisti con la politica, non si chiamano le cose con il loro nome.

Qualcuno dall'opposizione ha criticato le misure in questi termini.

Proprio alcuni esponenti dell'opposizione sono parte del problema.

In che senso?

La Meloni ha fatto le ultime riforme, però la precarietà del lavoro l'hanno spinta soprattutto i partiti che dovevano combatterla. In particolare il Pd e le forze di centrosinistra che hanno varato riforme “strutturali” contro i lavoratori come il decreto Poletti e il Jobs Act.

Quindi il problema è più generale?

Il problema è che l'Italia è rimasta bloccata in una cattiva teoria economica, quella degli anni Novanta, che dicevamo all'inizio: il salario minimo fa male, la flessibilità fa bene, eccetera. Questa visione abbraccia quasi tutto l'arco politico, da Meloni a dei pezzi consistenti del Pd. Ormai molti studi sia della Banca d'Italia che del Fondo monetario internazionale – non certo organizzazioni sovversive di sinistra – hanno dimostrato che  la flessibilità fa male ai lavoratori e all’economia. È desolante come la politica, gli economisti e parte della stampa ignorino queste indicazioni, ma restino ancorati agli anni Novanta, mentre negli Usa e in Europa si discute di come ridurre la disuguaglianza e introdurre politiche industriali verdi.

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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