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Perché si torna a parlare di riforma del Mes e cosa vuole fare il governo Draghi

Il governo Draghi presenterà un disegno di legge per ratificare la riforma del Meccanismo europeo di stabilità: scoppia così di nuovo la polemica tra i partiti.
A cura di Giacomo Andreoli
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Sembrava sparito dalla scena, ma ancora una volta si torna a parlare di Mes. Il governo Draghi ha infatti presentato un disegno di legge che punta a ratificarne la riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Quest'ultima, in discussione oramai da anni in Europa, con l'iter di approvazione rallentato dalla pandemia, è già stata accolta da Bruxelles. Ora, però, è polemica, con il no di Lega e Fratelli d'Italia e la spaccatura nel Movimento 5 stelle.

Si tratta di accedere al famoso prestito da 36 miliardi all'Italia che aveva fatto tanto discutere un anno fa durante la crisi del governo Conte II? No, la questione è ben più complessa. Ma facciamo un passo indietro. Il Meccanismo europeo di stabilità è il successore di quel Fondo europeo salva-Stati che, dopo la crisi del 2007-2008, ha aiutato i paesi a rischio default con miliardi di euro in cambio di riforme cosiddette "d'austerity", con diversi tagli alla spesa pubblica.

Si tratta dell’organizzazione intergovernativa dei 19 paesi dell’Eurozona, nata nel 2012, con il compito di aiutare, su loro richiesta, i paesi in difficoltà economica che non riescono a reperire fondi sul mercato finanziario. Il Mes viene finanziato da tutti e 19 i paesi: ha una dotazione di 80 miliardi di euro, con la Germania che è primo contributore con 22 miliardi e l’Italia che ne ha messi 14. Emettendo titoli con la garanzia degli Stati che vi aderiscono, però, il Mes può raccogliere sui mercati finanziari fino a 700 miliardi. Al momento può prestare soldi secondo due linee di credito: quella condizionale precauzionale (Pccl) e quella soggetta a condizioni rafforzate (Eccl).

La prima finanzia i paesi che l’organizzazione ritiene solidi e che accettano determinate condizioni fissate in un Memorandum d’Intesa “soft” (deficit e debito sotto controllo, facilità a finanziarsi sui mercati negli anni precedenti e l’assenza di problemi di solvenza del sistema bancari). La seconda finanzia chi è “solido economicamente”, ma non rispetta quelle condizioni. In questo caso è obbligatoria la firma di un Memorandum d’Intesa “strong” che impone “misure correttive tali da evitare problemi futuri per l’accesso al finanziamento sul mercato”.

Riforma del Mes, cosa prevede su prestiti e ristrutturazioni del debito

La riforma approvata in sede europea elimina il Memorandum d’Intesa “soft” (con l'accesso alla prima linea di credito garantita solo se si rispetta il Patto di Stabilità, che tornerà nel 2023). Inoltre rende leggermente meno restrittivo il patto "strong". A far discutere, però, è la questione ristrutturazione del debito. Se il board del Mes (in cui è presente anche l’Italia) non ritenesse sostenibili i debiti dei paesi, potrebbe richiedere una ristrutturazione come condizione obbligatoria per accedere al prestito, valutando il da farsi con la Commissione europea. Questo scenario potrebbe essere allarmante, perché la ristrutturazione significa che lo Stato non ripaga più tutti i suoi debiti ai creditori. Lo scenario potrebbe far scendere drasticamente la fiducia dei mercati, facendo salire alle stelle i tassi di interesse e lasciando sullo sfondo il rischio estremo del default.

Tuttavia la riforma non prevede alcun meccanismo automatico di ristrutturazione. Rimane solo la discrezionalità nel valutare la sostenibilità del debito da parte del Mes e della Commissione europea, con questa che avrebbe l’ultima parola. Le decisioni del Meccanismo europeo di stabilità, per diventare esecutive, vanno prese dalla maggioranza dell'85% degli azionisti del board e l'Italia, con il suo 17% di quote, è in grado di bloccare le decisioni discrezionali. La ristrutturazione, quindi, è un vero pericolo solo se fosse inserita nel Memorandum d’Intesa “strong”. Ma in ogni caso dovrebbe essere sempre l'Italia a fare richiesta del prestito, rischiando eventualmente la ristrutturazione.

Qualora la ristrutturazione ci fosse, infine, la riforma la renderebbe sicuramente molto più semplice: verrebbero modificate infatti le Clausole d'azione collettiva, che consentono ai Paesi dell'Eurozona di rinegoziare i termini dei titoli di Stato, in particolare interessi e scadenze.

Gli altri contenuti della riforma

La riforma prevede poi un nuovo legame tra il Mes e il Fondo di risoluzione unico (Fsr), finanziato dalle banche dei 19 Stati dell’Eurozona con l’obiettivo di risolvere le crisi bancarie. Qualora il Fondo esaurisse i fondi a disposizione il Mes potrebbe prestare fino a 55 miliardi di euro per salvare gli istituti bancari. Il meccanismo dovrebbe entrare in vigore entro il 2024.

Questo aveva portato negli anni scorsi Matteo Salvini a dire che il Mes è un “fondo salva-banche tedesche”. Tra gli Istituti bancari europei più in difficoltà, negli ultimi anni, c’è stata la Deutsche Bank, ma il nuovo legame Mes-Fsr riguarderebbe potenzialmente tutte le banche del Continente, anche quelle italiane.

Le posizioni dei partiti

Tra i più contrari alla riforma c'è la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni. "Noi -ha scritto su Facebook- non abbiamo cambiato idea: siamo pronti a respingere con tutte le nostre forze questo ennesimo tentativo di riforma di un Trattato che non fa gli interessi dell'Italia". Con lei la Lega di Matteo Salvini.

Per il premier Giuseppe Conte, invece, bisogna valutare il testo e discuterlo. "Sul Mes – spiega- ha già lavorato il mio governo. Se le modifiche sono sostenibili le appoggeremo". Molti parlamentari grillini, però, si sono sempre detti contrari e lui stesso aveva espresso perplessità, anche se più sull'utilizzo diretto del Mes che sulla sua riforma in generale.

D'accordo con la riforma è il PD. Secondo il vice capogruppo Pd alla Camera Piero De Luca, "il testo migliora l'impianto iniziale del Mes e non ci sono rischi di ristrutturazione del debito o di sorveglianza rafforzata dei conti pubblici italiani. Non c'è nessuno dei pericoli che vengono evocati in modo strumentale da qualche forza politica". Quanto a Forza Italia  il capogruppo Paolo Barelli ha fatto qualche distinguo rispetto al sì senza indugi di Renato Brunetta.

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