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Opinioni

Perché la morte di Lorenzo all’ultimo giorno di stage è il fallimento dell’alternanza scuola-lavoro

Lorenzo Parelli doveva stare a scuola, non morire di lavoro a 18 anni. L’alternanza scuola-lavoro è una sottrazione del tempo utile a far maturare il pensiero.
A cura di Saverio Tommasi
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Lorenzo Parelli è morto due giorni fa, aveva 18 anni ed era il suo ultimo giorno di alternanza scuola-lavoro, quando un enorme tubo gli è caduto in testa. Lorenzo doveva essere a scuola, non a morire di lavoro in fabbrica.

Nel 2021 sono morte 1.404 persone per infortuni sul lavoro, di cui 695 direttamente sui luoghi di attività. L'alternanza scuola lavoro sarebbe un errore anche se vivessimo in un Paese dove le norme per la sicurezza fossero egregiamente rispettate, non è il nostro caso comunque. Lauzacco, La Spezia, Udine, Alghero, Genola, Rovato, sono soltanto alcuni dei luoghi dove anche studenti e studentesse sono morti o rimasti feriti, durante l’alternanza scuola-lavoro, negli ultimi anni.

L’alternanza scuola-lavoro è spregevole, perché toglie le ragazze e i ragazzi dai banchi di scuola e dalla possibilità di costruirsi un pensiero. “La scuola dovrebbe insegnare un mestiere” è una frase che suona bene solo alle orecchie dei padroni del vaporetto. Una scuola che mira principalmente alla formazione professionale specifica, ha già fallito. Per insegnare un mestiere andrebbero potenziati i percorsi di formazione successivi alla maturità, perché non dovrebbe essere il compito principale della scuola superiore parcheggiare i ragazzi presso un’azienda privata qualunque.

Io non voglio una scuola che insegni a servire, ma a essere liberi.

Le esperienze individuali non valgono niente in ambiente formativo scolastico; la scuola o è un processo collettivo, oppure non è. Quando la scuola si trasforma in un corso di formazione al lavoro, tra l’altro esternalizzato presso strutture commerciali private a cui fornisce manodopera gratuita (gli studenti), allora semplicemente quella non è più scuola.
Abbiate almeno il coraggio di dirlo chiaramente: “Vogliamo risparmiare, e per alcune centinaia di ore l’anno, principalmente per quei ragazzi e quelle ragazze di scuole che non sono i licei, sospendiamo la didattica”.

Se vostro figlio si è trovato bene con la scuola-lavoro mi dispiace per lui, non esulto. Perché può avere avuto fortuna per l’ambiente – beato lui o lei – ma in quel momento non ha goduto di un diritto, semplicemente di una botta di fortuna dovuta al suo lato B.
Per i contatti che ho io con le scuole, le assemblee, studentesse e studenti di tutta Italia, sono comunque percentualmente pochi gli studenti soddisfatti degli stage in azienda. La maggioranza si rende bene conto che in quel preciso momento in cui stavano spostando una trave di metallo, stavano subendo un’ingiustizia: qualcuno stava sottraendo ore alla formazione del loro pensiero.

La scuola è una comunità, mandare invece ragazzi e ragazze, principalmente minorenni, a prestare lavoro gratuito in aziende su cui la scuola non può esercitare un controllo reale, non è formazione, è sfruttamento.

Il lavoro gratuito regalato dallo Stato a un’azienda privata sana, non ha senso e sottrae possibilità a chi proprio quel lavoro lo sta cercando ed è già formato per farlo.
E i più giovani quando si formeranno? Semplice: dopo la scuola, non durante la scuola che significa “al posto della scuola”.

A Lorenzo Parelli piaceva quel lavoro e stava pensando di continuarlo anche dopo la scuola, ha assicurato la direzione dell'Istituto dove Lorenzo studiava.
Ammesso che questo sia vero, non è sufficiente per convincere nessuno sull'efficacia della scuola-lavoro. Non si studia per trovare un lavoro d'intelletto, non si studia esclusivamente per "trovare un lavoro che non comporti lo spostamento di barre d'acciaio". Si studia per essere liberi e poter scegliere. Se Lorenzo amava davvero quel lavoro, benissimo. Ma il tempo sottratto alla formazione del suo pensiero, resta.

L'ingiustizia della scuola-lavoro che estirpa il tempo dello studio e della riflessione dalle giornate degli adolescenti, sostituendolo con quello del lavoro, è tutta di fronte a noi.

“Lo studio non può essere un obiettivo per tutti”, replica quasi sempre qualcuno di quelli che la possibilità di studiare invece ce l’ha avuta e l’ha usata così bene che ora pensa di orientare con le sue scelte le vite degli altri. Se tutti studiassero, dicono certuni, nessuno servirebbe più nelle pizzerie, o cambierebbe i pannoloni ai nostri anziani. Io penso invece che menti migliori all’interno della società eviterebbero semplicemente a molti il ricatto di un lavoro sottopagato, precario, sfruttato. Si favorirebbe la visuale di un’alternativa, e indipendentemente dal lavoro poi scelto – e ricordiamolo: ogni lavoro è dignitoso come gli altri – diminuirebbero il precariato e lo sfruttamento. Perché quando alle intelligenze si dà il tempo di fiorire, loro fioriscono. Ed è proprio questo abituare al pensiero i più giovani che diventa una scocciatura per una certa classe politica.

Io penso che se tutti avessero la possibilità di studiare e di formarsi, nessuno morirebbe più stritolato al tornio, in fabbrica. O come Luana D’Orazio a Prato uccisa dall’orditoio a cui era stato tolto il meccanismo di sicurezza, come fosse una filanda dell’Ottocento. La Spezia, Udine, Montemurlo, Alghero, Genola, Rovato, Lauzacco, sono soltanto alcuni dei luoghi dove ragazze e ragazzi sono morti, o sono rimasti feriti durante l’alternanza scuola-lavoro.

Lorenzo Parelli è morto due giorni fa, a diciotto anni, durante il suo ultimo giorno di alternanza scuola-lavoro. Uno studente morto per un incidente sul lavoro, capite che c'è qualcosa che non torna?

L’alternanza scuola-lavoro è classista all’interno di una società ancora divisa in classi economiche, dove gli studenti dei licei fanno 200 ore di scuola-lavoro e gli studenti non liceali il doppio: 400.
Perché i primi vengono considerati i depositari del pensiero, gli altri sono i loro idraulici, i camerieri, le badanti, le commesse, perciò devono imparare bene e il prima possibile a lavorare con le mani, per servire i primi con destrezza e senza indugio. Perciò che si esercitino il doppio e per il tempo sottratto allo studio nessun cruccio, vero signora Contessa? Tanto ci sarà sempre qualcun altro che penserà al loro posto, nevvero? Loro è più importante che eseguano piuttosto che studino i comandi, sempre per lo stesso motivo per cui "un operaio non può avere il figlio dottore", immagino.

È morto Lorenzo Parelli, 18 anni anni di Udine e una sbarra d'acciaio in testa l'ultimo giorno del suo stage.
“In questo momento l'incommensurabile dolore sofferto dalla famiglia impone a tutti un rispettoso silenzio”, è quanto ha recitato il governatore regionale della Lega Massimiliano Fedriga.
L’invito al silenzio è quanto di più distante da ciò con cui potrei concordare. Per me di fronte al dolore per una morte ingiusta, il silenzio è solo attesa che le acque si calmino, e la routine possa riprendere.
L’invito al silenzio va sempre molto di moda di fronte alle tragedie che è difficile spiegare all’opinione pubblica, per questo dinanzi al silenzio composto che ci viene richiesto davanti a una morte ingiusta, credo sia possibile rispondere soltanto provando a essere rumorosi. Molto, molto rumorosi.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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