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Elezioni politiche 2022

Perché la guerra fredda tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini può far esplodere la destra

Nonostante la destra sia in chiaro vantaggio nei sondaggi in vista delle elezioni del 25 settembre, i due leader dello schieramento non perdono occasione di lanciarsi frecciate. Il motivo è semplice: Salvini è un problema per Meloni, e viceversa. E la resa dei conti è in arrivo.
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Forse ci siamo fatti distrarre troppo dall’implosione dell’alleanza Pd-Cinque Stelle in seguito alla caduta del governo Draghi, o dall’accordo firmato e stracciato tra Calenda e Letta, nel giro di quarantott’ore. Forse ci piacciono di più le liti del centro sinistra, che sono più teatrali. O forse è l’alea della tragedia imminente che accompagna il (fu) campo largo democratico e progressista, in confronto a una destra che veleggia sicura verso la vittoria alle elezioni del 25 settembre.

Eppure c’è una guerra nemmeno troppo nascosta tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini che dovremmo guardare con grande attenzione. Perché racconta del mutamento degli equilibri interno alla destra che, stando ai sondaggi, ci ritroveremo al governo il giorno dopo il voto. E perché, se così dovessero andare le cose, sarà sulla tenuta di quest’asse che si giocherà la tenuta di un governo di destra prossimo venturo. Asse che, allo stato attuale, sembra tutt’altro che saldo, nonostante il vento in poppa, che fisiologicamente dovrebbe annacquare ogni dialettica.

Eppure anche ieri, dopo che Giorgia Meloni aveva dichiarato che, a fronte di un successo di Fratelli d’Italia, il presidente Mattarella non avrebbe potuto non incaricarla di formare un nuovo governo, Matteo Salvini ha sentito il bisogno di ribadire che nulla è deciso sulla scelta del futuro presidente del consiglio. Così come del resto Giorgia Meloni, non più di qualche settimana fa, ha rifiutato la proposta di Salvini di stilare e presentare la lista dei ministri della coalizione di destra prima delle elezioni, lista che ovviamente avrebbe visto il leader leghista occupare la casella del ministero degli interni.

Da qualunque parte la si giri, è difficile ignorare questa dialettica. Perché i leader di una coalizione consolidata, con un  programma comune, e un ampio vantaggio sugli avversari si agitano tanto sul dopo voto? Perché entrambi, Salvini e Meloni, non vogliono ratificare un assetto di potere che è nell'ordine delle cose – Meloni a Palazzo Chigi e Salvini al Viminale – e che permetterebbe loro di ottenere ognuno quel che vuole?

La risposta è abbastanza semplice: perché per entrambi quell’assetto di potere sarebbe un problema. Meloni vuole andare a Palazzo Chigi senza lasciare il ministero dell’interno a Salvini. E Salvini vuole andare al Viminale senza lasciare la presidenza del consiglio a Giorgia Meloni. Al contrario, per entrambi, più che un piano B, una simile convivenza al governo sarebbe uno tra i peggiori dei mondi possibili, anche in caso di una schiacciante vittoria.

I motivi sono meno semplici, ma altrettanto logici. Giorgia Meloni si ricorda bene cosa fece Matteo Salvini nella sua parentesi da ministro dell’interno. Capace, da quello scranno, di polarizzare tutta l’attenzione su di se e sulla sua battaglia senza quartiere contro le ong e le navi che salvavano migranti al largo delle coste libiche, arrivando a oscurare il resto del governo a triplicare il consenso leghista nel giro di qualche mese, drenandolo proprio all’alleato di governo che si trovò completamente a rimorchio del Capitano, dei suoi porti chiusi e dei suoi decreti sicurezza. Per questo, prima di dare il suo avallo al ritorno di Salvini al Viminale vuole vedere le percentuali a urne chiuse, sperando forse in un tonfo più forte del previsto del Carroccio, e in una successiva resa dei conti in via Bellerio, e magari in un golpe di Giancarlo Giorgetti e dei governatori del Nord.

Dal canto suo Matteo Salvini sa benissimo che Giorgia Meloni sta vampirizzando il consenso leghista da almeno un paio d’anni: prima gli ha preso quello dei duri e puri contro il Green pass e le misure di contenimento della pandemia di Covid-19, con la sua scelta di schierarsi da sola all’opposizione del governo Draghi. Poi gli ha preso quello del sud, che dopo la sbornia leghista, sta tornando a casa dalla destra nazionalista che non ha peccati originali nordisti da espiare. Meloni a Palazzo Chigi potrebbe essere il colpo finale, quello che sposta verso Fratelli d’Italia il popolo delle partite iva e della media borghesia del Nord. Le ovazioni riservate a Meloni dalla platea del Meeting di Rimini sono più di un campanello d’allarme, in questo senso.

Quanto questa guerra possa pesare su un esito elettorale che a oggi appare scontato, non lo possiamo prevedere. Di sicuro, però, potrebbe pesare significativamente sul dopo. E per la destra, questo scontro fratricida richiama alla mente foschi ricordi: nel 1994, la vittoria di Berlusconi contro la gioiosa macchina da guerra di Achille Occhetto fu rovinata dallo strappo di Umberto Bossi. Nel 2008, la schiacciante vittoria del Popolo delle Libertà contro il neonato Pd a vocazione maggioritaria di Walter Veltroni fu devastata dal conflitto del Cavaliere con Gianfranco Fini. La sfida infinita tra i leader, insomma, è la maledizione della destra italiana. A Meloni e Salvini il compito di cambiare la Storia. O, da bravi conservatori, di continuare la tradizione.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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