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Elezioni politiche 2022

Perché Giorgia Meloni deve fare un monumento a Matteo Salvini

Le sparate di Salvini su sanzioni e scostamenti di bilancio stanno aiutando Giorgia Meloni ad affrancarsi dal suo passato ingombrante e a legittimarsi come leader affidabile e istituzionale. Un regalo insperato, per Giorgia. Da parte dell’ultimo che vorrebbe fargliene.
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Altro che mani nei capelli. Finirà che Giorgia Meloni dovrà fare un monumento a Matteo Salvini e alla sua campagna elettorale fatta di stop alle sanzioni contro la Russia, di scostamenti di bilancio e di ministeri da spostare al Nord. Tutte le intemerate del Capitano leghista, che le prova tutte per arginare l’emorragie di consensi, non fanno altro che far emergere, per sottrazione, il profilo istituzionale che la leader di Fratelli d’Italia sta cercando di adottare per legittimarsi, in Italia e all’estero, come profilo affidabile e moderato cui affidare senza alcuna remora la presidenza del Consiglio, qualora vincesse le elezioni.

Intendiamoci: probabilmente ci sarebbe riuscita comunque, anche senza l’involontario aiuto di Salvini. La memoria degli elettori, si sa, è cortissima, ed è un attimo dimenticare le battaglie di Meloni contro il Green pass, il suo scetticismo nei confronti dei vaccini anti Covid, il negazionismo nei confronti del cambiamento climatico, la sua sconfinata ammirazione per il Putin ungherese Viktor Orban, l’accoglienza da ospite d’onore riservata a Steve Bannon – guru di Trump attualmente in galera per “oltraggio al Congresso americano” – alla festa di Atreju. Basta dire che si è favorevoli alle sanzioni contro la Russia, che lo scostamento di bilancio non si può fare e dire due parole di circostanza sulla fantomatica Agenda Draghi e tutto è perdonato.

Salvini, tuttavia, le sta rendendo il compito semplicissimo. Al punto che oggi si fa fatica a credere che fosse lui – e non Giorgia – a sostenere il governo guidato da Supermario. Che sia stato lui, e non lei, a sostenere col voto leghista la campagna vaccinale del generale Figliuolo. Che sia stato lui – e non lei – a votare tutte le riforme strutturali – dalla giustizia al fisco – richieste dall’Europa per avere i soldi del Pnrr.

I due, è noto, non si amano. E tutto pensiamo tranne che sia una strategia coordinata. Eppure, funziona. Salvini vuole far dimenticare la parentesi alla corte di Supermario per tornare a essere il populista che fu, e vuole riprendersi il centro di una scena mediatica che lo ha visto al centro per cinque anni almeno e che oggi gli sembra preclusa. Soprattutto, vuole riprendersi i voti persi per strada da quell’infausto giorno di luglio in cui ha avuto la malaugurata idea di invocare per sé i “pieni poteri”. Ecco il motivo delle sue sparate. Ed ecco perché è probabile che alzerà il tiro nelle settimane a venire, man mano che si avvicina il 25 settembre, la rabbia sociale salirà e gli indecisi decideranno per chi votare.

Per Meloni, è tutta manna dal cielo. Col vento in poppa dei sondaggi, e con la prospettiva di accrescere naturalmente il consenso grazie ai volonterosi italiani che non vedono l’ora di salire sul carro del vincitore, che qualcun altro si prenda addosso lo stigma dell’estremista e del populista è un regalo insperato. Perché può starsene lontana dalle polemiche. Perché può mostrare il suo volto governativo, moderato e responsabile. Soprattutto, perché potrebbe riuscire nell’impresa di far dimenticare al mondo che se fosse nominata presidente del consiglio, sarebbe la prima rappresentante di un partito post fascista in Europa ad assurgere a tale carica, dal 1945 a oggi.

Non solo, però. Perché a fronte di una clamorosa vittoria, e di una clamorosa sconfitta di Salvini, potrebbe sacrificare l’imbarazzante alleato come segnale di rinnovato atlantismo ed europeismo, estromettendolo dal suo amato Viminale e togliendogli ulteriore spazio e visibilità. Fantapolitica, per ora. Ma se vi avessero detto, anche solo un mese fa, che Giorgia Meloni sarebbe stata applaudita dall’establishment di Rimini e Cernobbio come argine del populismo, cosa avreste pensato?

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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