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Elezioni politiche 2022

Perché esiste ancora il Partito Democratico?

Doveva essere il partito unico della sinistra italiana. È finito spolpato al centro da Carlo Calenda e a sinistra da Giuseppe Conte. Questa volta, non è più tempo di analisi della sconfitta. Questa volta il tema è la sopravvivenza.
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Se non altro, le elezioni del 25 settembre 2022 hanno restituito un quadro chiaro di come si divide l’elettorato italiano.

C’è una destra conservatrice, maggioritaria nel Paese, che si batte per il mantenimento di ogni status quo, per l’Italia agli italiani, per la famiglia tradizionale a discapito di chi famiglia tradizionale non è, e contro l’abbandono delle fonti fossili.

C’è un centro pragmatico e tecnocratico secondo cui la democrazia italiana andrebbe gestita da pochi selezionati ottimati con il potere pressoché assoluto di fare “le cose giuste” ancorché sgradite alla maggioranza della popolazione.

E poi c’è una sinistra che si batte per dare sostegno al reddito alle persone più deboli colpite dalla pandemia e dell’aumento dei prezzi e per l’abbandono completo delle fonti fossili in favore di quelle rinnovabili.

Domanda da un milione di euro? Dove si colloca, il Partito Democratico, in questa tripartizione? E se non c’è, perché non bastano due righe per descriverne l’identità e il posizionamento? Meglio ancora: perché esiste ancora il Pd?

È una domanda solo all’apparenza provocatoria, quest’ultima. Perché, se ci pensate, di ragioni non ce ne sono molte.

Non è un marchio vincente, poiché tranne per il fugace e illusorio exploit delle europee del 2014, non si ricordano tornate elettorali con valenza nazionale in cui il Pd non sia uscito sconfitto, o comunque deluso. Il ricordo di vittorie a sinistra, semmai, appartiene ad altri simboli e ad altri marchi, in particolare all’Ulivo e all’Unione di Romano Prodi, esperienze di larghissime coalizioni che si volevano superare proprio attraverso la nascita del Pd.

È un marchio che perde valore, ed elettori, a ogni tornata elettorale. Dai 12 milioni di voti che raccolse Veltroni nel 2008, si è passati ai nove milioni scarsi di Bersani nel 2013, ai 6 milioni di Renzi nel 2018 sino ai 5 milioni di Letta nel 2022.

È un marchio, soprattutto, che ha perso il suo senso via via che la sua auto dichiarata vocazione maggioritaria si è rivelata illusoria. Di fatto, al contrario, è stata proprio la nascita del Pd a generare la sua nemesi populista, il Movimento Cinque Stelle – ricordate? Grillo volle candidarsi a segretario del Pd e gli fu impedito da Piero Fassino con la famosa frase “Si fondi un partito e vediamo quanto prende”.

Allo stesso modo, è stata proprio la possibilità di una ricucitura di quello strappo, col governo giallorosso prima e con l’ipotesi di un’alleanza elettorale, ad aver generato la nemesi della nemesi, quel Terzo Polo di Renzi e Calenda che ha spolpato il Pd di buona parte dei suoi elettori moderati.

Può sembrare un’esagerazione, ma oggi l’unico modo per definire chi vota Pd è per doppia sottrazione: sono quelli non abbastanza tecnocratici e centristi per votare Terzo Polo. E quelli non abbastanza populisti e assistenziali per votare Movimento Cinque Stelle. Banalizzando ancora di più, oggi il Pd ha perso sia le periferie che votano Conte, sia le Ztl che votano Calenda.

Ne converrete anche voi che un partito di “non abbastanza” non ha esattamente un futuro radioso davanti a sé. Soprattutto, è un partito che deve fingersi morto per evitare di perdere voti: basta uno spostamento anche solo impercettibile verso Calenda per regalare spazio ed elettori a Conte, o viceversa. Il problema, ed Enrico Letta, purtroppo per lui, ha vissuto sulla pelle questa lezione, è che stando fermi se ne perdono comunque.

L’unica salvezza per il Pd, nella sua attuale situazione, sarebbe quella di promuoversi come forza federatrice delle opposizioni al prossimo venturo governo Meloni. Ma è più facile, semmai, che Conte e Calenda finiscano per parlarsi tra loro dopo aver definitivamente drenato tutti i voti possibili alla forza che si frappone tra loro. È quello che sta accadendo in Francia, del resto, con Emmanuel Macron e Jean-Luc Mélenchon che hanno ridotto ai minimi termini il Partito Socialista Francese, erodendone l’elettorato da destra e da sinistra. È quel che è iniziato a succedere il 25 settembre del 2022, del resto, e non c’è ragione di credere che non continui a succedere nei mesi a venire.

Torniamo alla domanda iniziale, allora: perché esiste ancora il Partito Democratico? Per inerzia? Per sostenere governi tecnici alla bisogna? Per garantire la sopravvivenza politica alla sua eterna nomenclatura? La risposta non ce l’abbiamo, sia chiaro, e ha poco senso anche solo suggerirla. È una risposta che tocca ai militanti e agli elettori, quelli che stanno ai banchetti e ai gazebo, più che ai suoi leader e ai suoi dirigenti.

Se volete provare a darcela, noi siamo qua ad ascoltarvi.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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