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Opinioni
Elezioni politiche 2022

Perché l’astensione da record deve preoccuparci più della destra al governo

Il crollo della partecipazione al voto di dieci punti percentuali è un dato epocale, molto più della vittoria della destra guidata da Giorgia Meloni. Perché racconta di una rabbia e di una disillusione profondissime nei confronti della politica, con cui tutti i partiti politici dovranno fare i conti.
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Sì ok, ha vinto la destra più destra che si sia mai vista in Italia. E sì ok, con ogni probabilità avrà una maggioranza importante sia alla Camera sia al Senato, seppur non abbastanza per cambiare da sola la Costituzione. E sì ok, con ogni probabilità per la prima volta in Italia avremo un (anzi una) presidente del Consiglio espressione di un partito post-fascista. Sì ok, dobbiamo preoccuparci. Ma rischia di esserci molto peggio, all'orizzonte.

Perché di epocale, nella vittoria della destra, a ben vedere, c'è soprattutto la simbologia. La coalizione, al netto dell’ennesimo travaso di voti tra i partiti che la compongono – dalla Lega e Fratelli d’Italia, dopo essere passati quattro anni fa da Forza Italia alla Lega – è sempre la stessa che ha governato l’Italia tra il 2001 e il 2006 e tra il 2008 e il 2011. Può non piacervi, ma è una minestra che avete già mangiato. E che buona parte degli italiani già mangia nelle quattordici regioni in cui governa il centrodestra.

Peraltro, è una coalizione con una legittimazione elettorale molto inferiore che in passato – 12 milioni di voti, come nel 2018, contro i 17 milioni del 2008. Allo stesso modo, l’exploit campano dei Cinque Stelle nei collegi uninominali al Senato e le fibrillazioni interne alla coalizione, rendono molto più fragile di quanto sembri la maggioranza della destra a Palazzo Madama, dove una sparuta decina di parlamentari, complice il taglio dei seggi made in Cinque Stelle, può cambiare i destini della legislatura e rendere impervio il cammino di un governo Meloni prossimo venturo, non bastasse la situazione politica ed economica che attraversa il nostro Paese.

Il vero dato epocale di queste elezioni è un altro, semmai. Ed è l’astensione al voto di un terzo dell’elettorato, un’astensione che cresce di 10 punti in soli quattro anni. È una diserzione dalle urne che apre un vuoto enorme nella politica italiana, come mai si è visto nel nostro Paese, anche nelle fasi drammatiche degli anni di piombo o nel cupio dissolvi della Prima Repubblica, tra il 1992 e il 1994. È un vuoto che racconta la rabbia la disillusione e la disaffezione profondissima nei confronti della politica che nessun partito è stato in grado di attrarre e rappresentare, a differenza di quanto accadde tra il 2013 e il 2018 con l’exploit del Movimento Cinque Stelle e della Lega, o nel 1994 con la nascita di Forza Italia.

Quel vuoto ci deve spaventare perché racconta lo stato della nostra democrazia più e meglio di qualunque vittoria di qualunque schieramento. Perché racconta quanto capitale politico sia stato dissipato in dieci anni a vellicare la pancia del Paese con promesse impossibili, a chiamare salvatori della patria a prendere decisioni impopolari, a formare grandi coalizioni affinché nessuno se ne prendesse la responsabilità, e a fare la gara a dissociarsene appena s’intravedeva l’inizio di una campagna elettorale.

Con tutto questo, tutti i partiti sono chiamarti a fare i conti, quelli che hanno vinto e quelli che hanno perso. E non c’è sfida più difficile di questa. Perché i vuoti in politica si riempiono in fretta. Ed è da quei vuoti che prendono forma gli incubi peggiori.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro. 15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019)
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