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Per salvare il diritto all’aborto un ordine del giorno non basta, bisogna cambiare la 194

La deputata M5s Stefania Ascari ha presentato un ordine del giorno per impegnare il governo Meloni a non limitare la legge 194. Ma da anni ormai la retorica antiabortista chiede di “applicare pienamente” la legge, non di abolirla. Per tutelare davvero il diritto all’aborto, bisogna aggiornarla.
A cura di Jennifer Guerra
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Può un ordine del giorno salvare il diritto di aborto in Italia? Durante l’esame della proposta di legge che istituisce la commissione di inchiesta sui femminicidi, la deputata del Movimento 5 Stelle Stefania Ascari ha proposto un ordine del giorno che impegna il governo "ad astenersi dall'intraprendere iniziative di carattere anche normativo volte ad eliminare o limitare il sistema di tutele garantito dalla legge n. 194 del 1978". L’odg è stato approvato quasi all’unanimità con 3 astenuti e nessun voto contrario. Si tratta di un provvedimento soprattutto simbolico, che tra l’altro non smentisce in alcun modo ciò che Giorgia Meloni ha ripetuto sin dal primo giorno di campagna elettorale: non è sua intenzione toccare la legge 194/78.

Le proposte della destra potrebbero rendere l'aborto un omicidio

L’odg arriva dopo le dichiarazioni della ministra della Famiglia e della natalità Eugenia Roccella – che in un’intervista in tv di pochi giorni fa ha detto che "l’aborto fa parte purtroppo delle libertà delle donne" – e soprattutto dopo la proposta di legge di Fratelli d’Italia sul riconoscimento giuridico del concepito, che arriva dopo quella di Gasparri (Forza Italia) a inizio legislatura, quella di Romeo (Lega) sul concepito come componente del nucleo familiare e quella di Rauti (FdI) sull’istituzione della giornata della vita nascente.

Il punto è proprio che nessuna di queste proposte è "volta ad eliminare o limitare il sistema di tutele garantito dalla legge n. 194". La legge sul riconoscimento giuridico del concepito, ad esempio, andrebbe a cambiare il primo articolo del codice civile, modificando la dicitura "a capacità giuridica si acquista dal momento della nascita” con “ogni essere umano ha la capacità giuridica fin dal momento del concepimento". Questa legge potrebbe avere conseguenze gravissime, perché aprirebbe alla possibilità di considerare il concepito una vittima di omicidio in caso di aborto.

La legge 194 è già limitata, il governo non ha bisogno di modificarla

Tutti gli ostacoli già esistenti al diritto di interrompere la gravidanza in sicurezza e quelli che potrebbero essere implementati in futuro non hanno a che fare con una modifica della 194. Anzi, spesso è proprio la legge a consentire certi abusi. Ad esempio, il numero degli obiettori di coscienza che continua ad aumentare è il prodotto dell’art. 9 della legge che, se da un lato tutela l’obiezione, dall’altro non vi pone nessun limite, se non il fatto che "gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’espletamento delle procedure". Questo non vieta comunque che una struttura possa avere il 100% di personale obiettore.

Bisogna poi ricordare che questa legge, che non a caso riguarda la "tutela sociale della maternità" e non l’aborto, non riguarda la libertà di scelta delle donne. Piuttosto, vede l’aborto come l’extrema ratio, da prendere in considerazione soltanto quando non è in alcun modo possibile proseguire la gravidanza. La 194/78 infatti non prevede che si possa abortire sulla base di una libera scelta, ma soltanto se si verificano "circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica". In altre parole, in Italia non è possibile abortire "soltanto" perché non si vuole avere un figlio.

Se ad esempio venisse approvato il riconoscimento giuridico del feto, potrebbe darsi la situazione per cui ogni circostanza diversa da quella espressamente indicata dalla 194 potrebbe diventare un reato. Fermo restando che è il medico che rilascia il certificato ad accertare tali circostanze, cosa accadrebbe se si mettesse di mezzo un padre contrario all’aborto? Una legge come quella proposta da Gasparri e Menia non sarebbe in contrasto con la 194, perché continuerebbero a valere quelle circostanze eccezionali previste dalla legge. Il problema sono tutti gli altri casi, ovvero la maggioranza.

Da "abolire la 194" a "applicarla pienamente", l'obiettivo è lo stesso

La prima e unica volta in cui si provò ad abolire la 194/78 fu un disastro: il 17 maggio 1981 si tennero una serie di referendum abrogativi, di cui due riguardanti la legge sull’ivg, con un quesito proposto dai radicali e l’altro dall’associazione antiabortista Movimento per la vita. La proposta dei radicali mirava a un miglioramento della legge, mentre il Mpv voleva più semplicemente vietare l’aborto. Il quesito radicale ottenne l’88,42% dei no e quello del Mpv il 68%. Anche se oggi esistono ancora piccoli movimenti cattolici che ogni anno cercano di raccogliere le firme necessarie per un nuovo referendum, dopo il 1981 quasi tutti, compresi gli antiabortisti più incalliti, hanno abbandonato la strategia dell’abolizione.

Nel tempo infatti è diventato sempre più evidente per loro che la 194 non è una minaccia, ma anzi può diventare una risorsa. Spesso i provvedimenti attuati a livello regionale che mirano a ostacolare la possibilità di abortire – finanziamenti alle associazioni antiabortiste, loro presenza all’interno dei consultori, ecc. – citano, in maniera che potrebbe sembrare paradossale, proprio la 194. Da anni la retorica antiabortista parla non più di "abolire la 194", ma di "applicarla pienamente". La stessa Meloni lo ripete in continuazione e questo proposito era espresso a chiare lettere anche nel programma elettorale di Fratelli d’Italia, addirittura al primo punto. Il riferimento è alla prima parte della legge, che dice che "lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio", che l’aborto non è un mezzo per limitare le nascite e soprattutto che bisogna "far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza".

È ora di prendere in mano la 194 e aggiornarla

Meloni sa bene di essere sotto la lente di ingrandimento di tutta l’Italia e di tutto il mondo su questo tema e non si azzarderebbe mai a vietare l’aborto come è stato fatto, ad esempio, in Polonia. Per questo il suo obiettivo è quello di dare "il diritto di non abortire", un’espressione che suggerisce, in maniera errata visto che il tasso di abortività è in calo da quarant’anni, che i numeri dell’aborto siano fuori controllo e che le donne siano in qualche modo spinte o costrette a interrompere la gravidanza. Questo "diritto di non aborto" si traduce in politiche che abbiamo già visto applicate a livello locale, come i soldi offerti alle donne che scelgono di portare avanti la gestazione in Piemonte. La 194 non c’entra niente.

Sarebbe ora, se si volesse tutelare davvero l’aborto, di avere il coraggio di prendere in mano questa legge ormai invecchiata e rivederla, alla luce dei cambiamenti sociali, degli standard adottati negli altri Paesi europei, di come è cambiata la sanità, delle novità previste con l’aborto farmacologico. Il problema del diritto di aborto non è cominciato il 22 ottobre 2022, quando Meloni si è seduta alla presidenza del Consiglio, ma ben prima, quando a suon di "nessuno tocchi la 194", la 194 non è effettivamente mai stata toccata, né nel male né nel bene. E pensare che un ordine del giorno sia garanzia di aver "blindato l’aborto", come si legge sui giornali, significa non avere idea di cosa succede ogni giorno negli ospedali.

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Jennifer Guerra è nata nel 1995 in provincia di Brescia e oggi vive in provincia di Treviso. Giornalista professionista, i suoi scritti sono apparsi su L’Espresso, Sette, La Stampa e The Vision, dove ha lavorato come redattrice. Per questa testata ha curato anche il podcast a tema femminista AntiCorpi. Si interessa di tematiche di genere, femminismi e diritti LGBTQ+. Per Edizioni Tlon ha scritto Il corpo elettrico. Il desiderio nel femminismo che verrà (2020) e per Bompiani Il capitale amoroso. Manifesto per un Eros politico e rivoluzionario (2021). È una grande appassionata di Ernest Hemingway.
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