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Elezioni politiche 2022

Morti firmano per Italexit, Perduca (Referendum e Democrazia): “Non credo sia caso isolato”

L’ex senatore radicale Marco Perduca è protagonista da settimane insieme a Marco Cappato e altri, della battaglia di “Referendum e Democrazia” per chiedere la possibilità di raccogliere le sottoscrizioni in formato digitale, a sostegno delle liste per le elezioni politiche. Ai nostri microfoni, Perduca commenta l’inchiesta di Fanpage sul caso delle presunte firme false di Italexit in Molise e dice: “Con le firme digitali, i controlli sarebbero molto più semplici e le truffe più difficili da realizzare”.
A cura di Marco Billeci
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Come responsabile legale di "Referendum e Democrazia",  Marco Perduca  – insieme a Marco Cappato e molti altri – ha portato avanti in queste settimane una battaglia, perché fosse consentita la raccolta firme digitale, per la presentazione delle liste elettorali, in vista delle elezioni del 25 settembre. Un'istanza avanzata, sulla scorta di quanto successo lo scorso anno con i referendum su eutanasia e cannabis, che però il governo e i tribunali hanno respinto, anche se la battaglia legale è ancora in corso. Di fronte all'inchiesta di Fanpage.it sulle presunte firme falsenei moduli elettorali presentati da Italexit in Molise , Perduca dice: "Colpisce questo  modo "tradizionale" di fare politica,da parte di chi si candida a essere nuovo o contro gli schemi, come il partito di Gianluigi Paragone".

Secondo l'ex senatore radicale: "Non sarebbe male se qualche associazione facesse l'accesso agli atti di tutti gli elenchi di firme raccolte, perché non credo che sia un caso isolato, specie in alcune zone del Paese, dove anche in passato è avvenuto qualcosa del genere". Prosegue Perduca: Il caso di Paragone mi ricorda quello che accadde nel 2010 con Formigoni in Lombardia. Vedremo ora cosa succederà. Certo viene da chiedersi cosa sarebbe emerso, se ci fosse stata la stessa attenzione a far rispettare le norme esistenti, di quella che è stata dedicata a noi,  per impedirci presentare le liste con le firme digitali".

Usare un sistema elettronico, renderebbe più difficile falsificare le firme?

Certo, ci sarebbero maggiori trasparenza e sicurezza, perché tutto è controfirmato e se uno è morto non può firmare o comunque decade, perché non esiste più la documentazione a sostegno. Soprattutto se tutta la pubblica amministrazione fosse digitalizzata, i controlli sarebbero molto più facili. Quando abbiamo presentato le nostre pen drive con le firme in Corte d'Appello, informalmente i funzionari ci hanno detto: magari  funzionasse così per tutti, per controllare basterebbe inserire la chiavetta, fare una ricerca con un browser interno senza dover spulciare mille carte.

Come nasce l'iniziativa di "Referendum e Democrazia"?

L'idea nasce per riempire un  mezzo vuoto, che caratterizza la legge elettorale. Il Rosatellum nel 2017 aveva previsto una sperimentazione di presentazione delle liste in  formato digitale. Visto il successo, nel 2021, della raccolta di sottoscrizioni informatica per i referendum su eutanasia e cannabis, abbiamo pensato che il governo avrebbe concesso anche per le elezioni politiche questa possibilità. In primavera abbiamo iniziato a sollecitare palazzo Chigi. In assenza di risposte, il 25 luglio, sciolte le Camere, ho contattato la ministra Lamorgese per chiederle di prendere una decisione. Abbiamo fatto appello al presidente della Repubblica, al presidente del Consiglio, abbiamo interpellato anche il ministro dell'Innovazione Colao.

Qual è stata la risposta del governo?

Non ci è stato disposto, nemmeno dopo lo sciopero della fame di una decina di giorni, che ha coinvolto venticinque persone. Allora abbiamo deciso di verificare quanto sostegno popolare potesse avere una richiesta di questo tipo. Abbiamo chiesto a chi volesse candidarsi di farci avere il nome e abbiamo raccolto, nel giro di due giorni, lo stesso numero di candidature che ha ricevuto il Movimento Cinque Stelle. Abbiamo poi creato le liste, siamo tornati dal service provider privato che abbiamo usato per il referendum e attorno a ferragosto abbiamo lanciato la raccolta firme digitale.

Con quale risultato?

In tre giorni, dal 18 al 21 agosto, abbiamo raccolto 30.000 sottoscrizioni con certificati elettorali, ci hanno consentito di raggiungere il quorum in otto circoscrizioni al Senato e in quella Europa, anche alla Camera.  Dove abbiamo raggiunto il numero necessario di firme, le abbiamo poi consegnate a mano  in una pen drive alla Corte d'Appello. Sul momento sono state accettate, salvo poi dirci che la firma digitale non era prevista.

Qual è stata la vostra reazione?

Il 2 settembre abbiamo presentato un ricorso urgente che, alla faccia dell'urgenza, è stato iscritto all'ordine del giorno solo due settimane dopo. Lì il governo si è finalmente costituito, dichiarandosi contrario, con un solo argomento: voi potreste anche avere ragione, ma non si possono spostare le elezioni, a una sola settimana dal voto. E poi  hanno sostenuto che sarebbero stati necessari settanta giorni di campagna elettorale, cosa  che non esiste, perché i settanta giorni si contano dal momento dello scioglimento delle Camere.

Il 20 settembre il tribunale di Milano ha respinto il vostro ricorso

Una decisione che ha veramente dell'incredibile. Il giudice  di Milano ha detto che il problema è che noi non abbiamo dimostrato di avere il numero di firme necessarie. Ma questo compito spetta alle Corti di Appello  che hanno ricevuto e controllato il contenuto delle nostre pen drive. Il merito della questione è un altro. Secondo le Corti d'Appello queste firme non sono valide perché la firma digitale non è prevista, per la presentazione di liste elettorali. Su questo il giudice non ha detto nulla.

Perché secondo voi la sottoscrizione telematica delle liste è permessa dalla legge?

Riteniamo che ci sia  un'interpretazione restrittiva di una possibilità già esistente, quella di utilizzare la firma digitale, riconosciuta valida dalla Corte di Cassazione. Abbiamo una doppia discriminazione:  in primis nei confronti di chi non è in Parlamento, rispetto ai partiti rappresentati, che hanno l'esenzione.  E poi una violazione di un obbligo internazionale, che è quello di consentire il godimento del progresso scientifico e delle sue applicazioni. Questo diritto noi  l'abbiamo già applicato l'anno scorso con i referendum, quando abbiamo presentato 930mila firme digitali in Cassazione, per i quesiti referendari. Per le politiche, sarebbe bastato clonare il sistema usato dalla Cassazione.

Quali saranno i vostri prossimi passi sulla questione?

Ieri, abbiamo presentato un ulteriore reclamo, in cui controbattiamo alle argomentazioni della presidenza del Consiglio e del giudice di Milano. Vedremo se qualche altro tribunale vorrà entrare nel merito della questione.  Poi abbiamo intenzione di chiedere chi andrà a  votare domenica, di rilasciare una dichiarazione che ricorda questa vicenda. Allegheremo queste dichiarazioni  a due  ricorsi internazionali, che presenteremo nei prossimi mesi. Il primo davanti alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ,perché noi riteniamo, tra le alte cose, di non avere avuto un giudizio valido. Il secondo ricorso sarà alle Nazioni Unite, dove c'è un comitato sui diritti umani, che  monitora il modo con cui gli Stati membri applicano il Patto internazionale per i diritti civili e politici.

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