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Marattin: “Delega fiscale di Meloni simile a quella di Draghi, tolgano la propaganda e la votiamo”

“Se il governo è interessato al nostro voto favorevole sulla delega fiscale tolga i brand e la propaganda dal testo, come la flat tax”, dice il deputato di Italia Viva in un’intervista a Fanpage.it. Su Meloni al Consiglio europeo Marattin non ha dubbi: “Festeggia senza aver ottenuto nulla”. E il nuovo Pd di Schlein? “Tanti auguri, saremo avversari”.
A cura di Tommaso Coluzzi
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Il Terzo polo è pronto a votare la riforma del fisco del governo Meloni, a patto che tolgano di mezzo la propaganda e i "brand dannosi". Uno su tutti: la flat tax. A parlare è il deputato di Italia Viva Luigi Marattin, intervistato da Fanpage.it. Da presidente della commissione Finanze della Camera, durante la scorsa legislatura ha lavorato in prima persona alla riforma del fisco del governo Draghi, rimasta incompiuta. E proprio da lì – secondo Marattin – è ripartita Meloni.

Onorevole Marattin, il governo Meloni ha approvato la sua legge delega chiamandola rivoluzione fiscale, lo è?

È un intervento strutturale, di cui c'è bisogno, e riprende in gran parte sia la delega Draghi che il lavoro parlamentare che facemmo noi nel 2020 e 2021. Copre tutti i temi, ma essendo una delega dipende come verrà attuata. Ha anche un orizzonte molto ampio, due anni.

Perché dice che è simile alla riforma Draghi?

Perché riprende tutti quei temi, tranne il catasto. Dall'intervento sull'Irpef a quello sull'Iva, passando per Irap e Ires. Poi aggiunge delle cose, su alcune abbiamo un giudizio positivo come Terzo polo: sulla riscossione c'è un approccio molto equilibrato, distante da quello elettorale, e poi ci sono le aggiunte da social network che chiederemo al governo di togliere se è interessato al nostro voto favorevole.

Parla della flat tax e della revisione dell'Ires secondo lo slogan "più assumi meno paghi"?

Ripeto, hanno preso la riforma Draghi e ci hanno messo alcuni brand dannosi o inutili. La flat tax, se guardiamo la delega, non c'è. Non c'è nessun principio che dice "faremo un'aliquota unica sull'Irpef". C'è solo un passaggio nella premessa, un'incursione del profilo Twitter di Salvini in Gazzetta Ufficiale. Chiederemo di toglierla, perché un conto sono le norme un conto la propaganda. C'è poi quella che chiamano flat tax incrementale per i dipendenti, che chiederemo comunque di togliere perché è un'inutile complicazione. Va sostituita con la detassazione completa dei premi di produttività e della contrattazione di secondo livello, che è un'operazione molto più semplice. L'intervento sull'Ires è sempre il nostro, ma il principio più assumi meno paghi è sbagliato. Per incentivare le assunzioni serve la decontribuzione. E cioè ogni volta che assumo qualcuno ci pago zero o meno contributi. La loro è un'operazione senza senso.

Però sulle aliquote Irpef perché passare da cinque a tre va bene e da tre a una no? Anche se poi c'è il sistema delle detrazioni, quindi comunque si paga un importo differente in termini di tasse a seconda di altri parametri…

Il vantaggio è che il sistema diventa un po' più semplice. Le aliquote di fatto non significano nulla, tre possono essere potenzialmente più progressive di dieci, perché quello che paghiamo di tasse sull'Irpef è il combinato disposto di aliquote e detrazioni per tipologia di lavoro. Con tre aliquote, aggiustando le detrazioni, il profilo della progressività dell'Irpef diventa più dolce, più utile e più incentivante al lavoro. Prima dell'intervento fatto con Draghi c'era un salto di aliquota a livello di reddito basso che scoraggiava a incrementare l'offerta di lavoro. Succedeva che su cento euro di aumento lordo di stipendio te ne entravano in tasca la metà. Questo non è un sistema fiscale che funziona.

Cambiamo argomento. Cosa pensa di quanto ottenuto da Giorgia Meloni all'ultimo Consiglio europeo?

Festeggia come se avesse ottenuto qualcosa. Ogni Consiglio Ue finisce con un comunicato, quindi con delle parole e non con una legge. Ma stavolta anche le parole sono molto scarne. Ripetere che l'immigrazione è importante non è un successo, è una banalità. Giorgia Meloni non ha ottenuto nulla, perché la sua postura internazionale è molto incerta. Prima all'opposizione i suoi riferimenti erano i partiti sovranisti e i Paesi dell'area di Visegrad, poi ha iniziato litigando con Macron. Adesso vuole fare uno scambio con i contorni incerti tra il Mes e chissà cosa. Sta pagando un po' di inesperienza a livello internazionale. Finché paga lei non è importante, ma se paga il Paese è molto grave.

A proposito del Mes, perché insistete tanto sulla ratifica? È un tema che pesa sulla credibilità internazionale di Meloni?

Perché l'hanno fatto tutti gli altri. Pensare che abbiano sbagliato diciannove Paesi mentre noi abbiamo ragione è un po' complicato. Anche perché negli altri Paesi non c'è stata una protesta, uno che si è alzato per pronunciare le sciocchezze che sentiamo dire in Italia. Il Mes è uno strumento, che serve nel caso in cui ci siano problemi. È già servito in Grecia, in Spagna, in Portogallo, in Irlanda, a Cipro. Sempre con successo. Non bisogna confondere la durezza della terapia con il problema della malattia. In Grecia è stata dura perché per tanti anni se ne sono fregati della sostenibilità delle finanze pubbliche. Il Mes serve quando uno Stato perde l'accesso al mercato, cioè quando nessuno più gli presta i soldi, o quando c'è una grande crisi bancaria che rischia di avere effetti sistemici, e di questi tempi sappiamo di cosa si parla. Se il Paese o il sistema bancario non ce la fanno da soli c'è un paracadute che gli evita di fallire. Questo è il Mes. Non si capisce perché non dobbiamo avere un defibrillatore a bordo campo in caso di arresto cardiaco.

Come esponente del Terzo polo si sente più vicino alla destra di Meloni o al Pd di Schlein?

Perché devo scegliere? Voler evitare questa scelta è il motivo per cui noi, come Terzo polo, nasciamo. Crediamo che l'Italia non sia solo questa. Non dovremmo chiedere a 40 milioni di elettori di scegliere soltanto tra queste due opzioni. Non rende giustizia alla società italiana.

Sul Pd di Schlein invece che giudizio ha? C'è un percorso comune che si può fare insieme?

Sulla carta la vittoria di Elly Schlein pone fine all'ambiguità del Pd di questi quindici anni. Nel Pd si è sempre dibattuto tra un approccio liberale e uno socialista, ed è la ragione per cui ne sono uscito. Qui la scelta è netta. La scelta è Landini, è Conte, è un profilo di sinistra radicale. È del tutto rispettabile, perché esiste in tutti i Paesi, ma è lontana dalla mia sensibilità politico-culturale su tutto. Sul ruolo dello Stato, dei sindacati, della libertà economica, sulla redistribuzione, sulla tassazione, sulla politica industriale. Se Schlein confermerà questo tipo di approccio faccio tanti auguri di buon lavoro al Pd, come lo si fa a tutti gli avversari politici.

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