
“Eh ai miei tempi… non come sti giovani d’oggi, che non hanno più voglia di”, scegliete voi tra varie opzioni a disposizione: lavorare/ studiare/ sacrificarsi/ impegnarsi/ altro. Le dichiarazioni del virologo Roberto Burioni, che avrebbe superato gli esami di ammissione a Medicina “al quarto anno di liceo” se non addirittura, per alcune domande, “in seconda media”, sono la perfetta esemplificazione di questo tipo di retorica qui. Incarnano quella mentalità tossica, votata al iper-performativismo e alla competività portata all’eccesso, che da ormai diverso tempo le nuove generazioni denunciano e che – mi sento molto tranquillamente di poter dire – ha ampiamente stufato.
“Se il liceo vi ha illuso (e ha illuso anche i vostri genitori che vi ritengono genî incompresi) promuovendo alla maturità il 99,98% di voi e dando in alcune regioni al 20% degli studenti il massimo dei voti, è un’ottima occasione per riprendere contatto con la (dura) realtà”, ha scritto Burioni su X.
E poi come se non fossero bastate le umiliazioni pubbliche della ministra Bernini, che dal palco di Atreju ha chiamato “poveri comunisti” alcuni ragazzi che la contestavano, via a beffare i giovani studenti: “Poverini, tre esami in un pomeriggio, quando faranno i medici e ci sarà bisogno di fare tre tracheotomie in un'ora diremo ai morenti di ripassare”. E a delegittimare le stesse famiglie: “Un genitore normale, se il figlio che ha mantenuto e fatto studiare arriva alla maturità e pretende di entrare a medicina senza sapere la formula chimica del sale da cucina, dovrebbe arrabbiarsi con il figlio che non ha studiato (o magari ha studiato, ma non abbastanza per le sue capacità intellettuali)”, attacca il virologo, che con un metodo piuttosto discutibile – sia scientificamente che eticamente – come quello del cherry picking, seleziona abilmente le domande degli esami di fisica e chimica da lui giudicate di “una facilità imbarazzante”.
Dall’alto della sua cattedra di Microbiologia e Virologia all’università San Raffaele, il professore bacchetta i giovani diplomati che hanno sostenuto i primi due appelli per superare il semestre-filtro, la novità introdotta dalla riforma Bernini che sulla carta ha abolito il test d’ingresso a Medicina sostituendolo con un meccanismo che ha già mostrato tutte le sue falle. Irregolarità durante gli esami, foto delle prove, testimonianze di mancati o insufficienti controlli che avrebbero permesso ad alcuni studenti nei vari atenei di usare i cellulari e copiare le risposte: sono solo alcune delle criticità emerse da una riforma con cui il governo, si è vantato di aver finalmente eliminato il numero chiuso senza averlo fatto davvero.
Che il nuovo semestre-filtro sia stato fallimentare è evidente: l’hanno passato in così pochi studenti che lo stesso ministero starebbe pensando a un sistema per ammettere tutti in graduatoria. Ma non mi dilungherò a spiegare le ragioni di questo flop, rischierei di spostare il focus. Che invece deve restare su quanto sia profondamente triste e demoralizzante che un professionista del livello di Burioni attacchi future generazioni di medici con la solita retorica de “ai miei tempi”. Peccato che – mi preme ricordarlo – ai tempi di Burioni, che è entrato alla Cattolica nel 1981, i test d’ingresso nemmeno esistevano. L’accesso programmato è stato introdotto per la prima volta nel 1987, tramite decreto, e poi successivamente ufficializzato con la Legge 246 del 1999 che ha predisposto il numero chiuso a livello nazionale.
Ma il punto non è questo. I toni e i modi con cui il virologo schernisce tutti quei ragazzi e ragazze che per la prima volta si sono approcciati a un esame universitario – peraltro un sistema sperimentale rispetto a quelli finora conosciuti – non sono solo superbi e insensibili, ma profondamente dannosi. Utili solo a far polemica, a sminuire, a portare avanti una logica della performance che ci vuole tutti più produttivi, più prestanti, più efficienti. Chi non lo è viene tagliato fuori. Così alla fine, potremmo addirittura arrivare all’assurdo di sentir dire “se la riforma a Medicina non ha funzionato il problema non è di chi l’ha scritta, ma di voi studenti”.