
C'è sempre un microfono aperto da qualche parte, a ricordarci che il patriarcato non conosce pause. Questa volta è accaduto nella Circoscrizione Otto di Torino, dove un consigliere dem, Dario Pera, ha pensato bene di occupare l'attesa del suo turno in un'assemblea pubblica, con una frase triviale, di quelle solite che trasformano le donne in corpi disponibili. "Starà facendo un p…o", ha detto, commentando i secondi di silenzio che hanno preceduto la risposta della consigliera Noemi Petracin all'appello nominale di fine seduta. Un refuso verbale, diranno i benevoli; un fraintendimento, ha detto invece Pera.
La consigliera, destinataria di quella frase non ha lasciato cadere la battuta con un sorriso forzato di chi sa che reagire costa caro, ma ha ricordato che il sessismo non è una questione personale, ma un problema pubblico, culturale, sociale e anche politico.
Che a pronunciarla sia stato un consigliere del partito che ama definirsi progressista mostra infatti una verità scomoda: il sessismo è bipartisan, anzi partito unico, e la tessera la distribuisce gratis a tutti. È spesso il collante trasversale della politica: tiene insieme destra e sinistra meglio di qualsiasi alleanza di governo.
Il Pd non è nuovo a contraddizioni di questo genere: nel 2021 non riuscì a indicare una sola ministra nel governo Draghi. Allora fu la deputata Chiara Gribaudo a rifiutare incarichi, denunciando quella che chiamò "cultura da seconda fila": le donne relegate a vicesegretarie, sottosegretarie, ruoli subordinati. Non era una svista quella volta, e non lo è neppure oggi: è il modo in cui il potere maschile si perpetua, distribuendo contentini e negando gli spazi reali di comando.
Le parole di Gribaudo risultano oggi ancora perfettamente attuali – anche se da allora registriamo qualche passo avanti, visto che la stessa deputata è stata nominata vicepresidente del Pd a guida Schlein – perché il problema non è la mancanza di figure femminili: di donne competenti ce ne sono, e sono tante.Il problema è la scelta sistematica di tenerle in panchina, salvo tirarle fuori all'occorrenza come trofeo da sventolare e metterle in prima fila quando serve una foto di gruppo paritaria. Nelle stanze delle decisioni non ci sono mai sedie abbastanza per tutte; è in questo schema che si capisce il valore simbolico distorto di espressioni come "segretaria donna" o "presidente del Consiglio donna": due cariche che, se ricoperte da uomini, non hanno bisogno di aggettivi, ma che quando spettano a una donna diventano eccezioni da segnalare, come se appartenessero a una categoria a parte, in appendice, a margine: le "scrittrici donne", le "artiste donne", le "atlete donne", le "scienziate donne", e dunque anche le "politiche donne" e così via. Specie rare da osservare in uno zoo, panda in via d'estinzione..
Non sono però i drappi simbolici a cambiare le cose, né le quote rosa sventolate come moneta di scambio e neppure l'etichetta di "segretaria donna" appiccicata come un bollino speciale. La parità si costruisce smontando giorno dopo giorno i meccanismi che mantengono intatto il privilegio maschile. E fino a quando questo non accade, anche le consigliere, le segretarie e le politiche continueranno a muoversi sul filo, costrette a scegliere se ridere di una battuta per sopravvivere o trasformarla in denuncia, pagando il prezzo di passare per la guastafeste di turno.
Il vero imbarazzo, dunque, non è più che la destra si confermi conservatrice: quello non sorprende nessuno. L'imbarazzo è che il principale partito di centrosinistra, quello che si proclama paladino dell'uguaglianza, caschi nello stesso pozzo, giochi le stesse regole. Ecco perché l'episodio di Torino non è un dettaglio folkloristico né un inciampo di provincia, ma un promemoria sgradevole, e davvero problematico, perché ci ricorda che il patriarcato sa sempre come infilarsi negli interstizi, anche dove sventolano bandiere progressiste e si recitano liturgie di parità. Finché il lavoro di decostruzione e di trasformazione culturale non diventerà davvero collettivo e radicale, ogni conquista resterà solo un'eccezione da titolare in prima pagina e non una normalità condivisa.
Possiamo quindi applaudire una segretaria o una presidente "donna", ma se intorno resta lo stesso club maschile a decidere e ridere, la parità sarà sempre una recita a soggetto. Con un copione che conosciamo già: le donne sul palco, gli uomini dietro le quinte a scrivere per loro le battute.
