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La foto del ragazzo di 15 anni torturato in Libia che tutti i leader politici devono guardare bene

L’ennesimo video in cui un ragazzino di 15 anni viene torturato in Libia con il mitra puntato in bocca. Quanti ne dovremo vedere ancora prima di deciderci a fare qualcosa?
A cura di Saverio Tommasi
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Il ragazzo di 15 anni torturato in Libia, video Mediterranea
Il ragazzo di 15 anni torturato in Libia, video Mediterranea
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15 anni, senza la parte superiore dei vestiti, stretto in un angolo, con un mitra di fronte alla faccia mentre la punta del mitra gli stuzzica i capelli non pettinati e – sembra – riccioli.
Il primo piano varia dal mitra al volto del ragazzino, che più o meno sono la stessa cosa perché il mitra sta sempre lì di fronte a lui come volesse grattargli il naso, o pettinargli le sopracciglia. Invece è pronto a fargli un buco in testa, manca davvero poco. Le immagini si sovrappongono ed è innaturale vedere la canna di un mitra e a dieci centimetri dalla fronte di un uomo, a meno che non sia un film americano, e questo non lo è.
Fuori inquadratura si sentono parole dure, sfottono e chiedono, anche le parole torturano un ragazzino che a quell'ora dovrebbe essere a scuola, o a scegliere se essere portiere o attaccante in una sfida a calcio con gli amici; nel video lui si tira indietro, stanco, ma dietro di lui c'è il muro, e implora una pietà che non arriva tenendo le mani di fronte al volto, che la canna del mitra gli sposta cercando un punto aperto nella sua bocca.

La noia.
E' così tutti i giorni, niente di nuovo. Non so neanche perché l'ho scritto, qual è la novità? E' più noioso della storia del cane che ha morso un uomo. In Libia torturano in modo sistematico ogni giorno, e noi paghiamo per non vedere. Non io, non tu che leggi, ma in fondo anche noi paghiamo perché qualcuno tenga i problemi (e gli esseri umani) a casa sua. Il famoso "aiutiamoli a casa loro".
E' sempre la stessa storia, è la storia dello smaltimento delle scorie umane da più di duemila anni, mettere confini e avere una scusa per tenere fuori chi non rientra nei canoni che i capi dei popoli ogni volta indicano.
Oltre confine per non doverli paragonare a noi e perché "qui non c'è posto". Eppure il posto per i re, i principi e i cortigiani lo trovano sempre, danno anche i biglietti gratis per entrare, altro che file davanti alla questura dalle sei di mattina per un permesso di soggiorno. Ma se scappi senza portarti una dote, sei come una sposa senza lo sposo: sola.

Certo che 15 anni sono davvero pochi, anche se per essere torturati si è sempre troppo giovani. Potremmo anzi dire che non si è mai abbastanza vecchi – o colpevoli – per meritarsi una tortura. Ovvio, in fondo.
La noia di ripetere quello che accade senza la forza di poterlo fermare. E allora perché lo scrivo? Per la memoria, per informazione, per non dimenticare io per primo, sì, ma che palle. Che noia.
Le storie si somigliano tutte così tanto, anche se i torturati di prima a quest'ora saranno morti e ora ce ne sono di nuovi. E di nuovo qualcuno mi scriverà "perché non li porti a casa tua?" che poi ha ragione, perché non ce li porto? Vinceranno per sfinimento, finiremo per dare loro ragione e smetteremo anche di parlarne, di questi torturati troppo giovani per morire senza neanche una maglietta addosso, con il sangue che si rapprende sul torace nascondendo i capezzoli ritti di paura.

Vinceranno per noia quelli che non vogliono vedere, quelli per cui la vita va bene così. A un certo punto smetteremo anche noi di scrivere di ragazzini costretti a chiamare casa con un fucile in bocca, chiedendo soldi a mille chilometri di distanza per essere rilasciati vivi o sopravvissuti. Perché non è più una notizia, essendo sempre la stessa notizia. Poveri, scappano, vengono torturati, ogni tanto un viaggio in un barchino fino all'Italia. La storia è sempre la stessa: mai qualcuno che partisse in crociera, sempre sulle stesse bagnarole che poi affondano.
La verità è che è noioso nascere poveri, perché il futuro è sempre uguale. È la noia che in fondo c'ammazza, no? O qualcosa del genere.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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