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Opinioni

La DAD non è uguale per tutti, perché bocciare gli studenti è una scelta sbagliata

Stress, DAD a singhiozzo e digital divide. L’anno scolastico 2020/21 è stato un caos prevedibile ma gestito poco e male, che ha portato milioni di studenti ad affrontare un periodo scolastico che non ha messo tutti sullo stesso livello. Eppure quest’anno i consigli di classe potranno bocciare e rimandare.
A cura di Marco Paretti
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Dell’attuale anno scolastico ha funzionato poco o niente. Eppure di tempo ne abbiamo avuto: il 2020 ha reso palese il fatto che anche l’annata 20/21 avrebbe necessitato di misure ad hoc per contrastare una pandemia che inevitabilmente ha portato a una didattica frammentata da settembre ad oggi. Misure che, nonostante i mesi estivi a disposizione per preparare un piano di rientro strutturato, non sono state prese o sono state prese male, senza agire in concerto con altre infrastrutture critiche come quella dei mezzi pubblici. E senza assicurare un accesso omogeneo alla didattica a distanza per tutti gli studenti. Che ora, però, potranno essere bocciati e rimandati, a differenza dello scorso anno.

Lo hanno confermato fonti del ministero a Fanpage.it: quest’anno i consigli di classe potranno rimandare o bocciare gli studenti che presentano una situazione scolastica carente. Insomma, si torna alla situazione pre-covid, ma in piena pandemia. Tanto che secondo il Ministero non ci sarà un’ordinanza firmata dal Ministro Bianchi, proprio per sottolineare una situazione che rientra nella “normale amministrazione”. Peccato che di normale non ci sia stato nulla quest’anno. Peraltro la scelta di lasciare ai consigli di classe la decisione sulle bocciature suona anche come una volontà di scaricare la responsabilità sulle scuole, tanto che i presidi vorrebbero invece una regola nero su bianco: deve essere un’indicazione del Ministero, anche per evitare un fiume di ricorsi da parte delle famiglie.

D’altronde se siamo arrivati a questo punto (con peraltro una situazione dei prossimi mesi tutt’altro che chiara) è perché qualcosa non ha funzionato durante l’anno. Era chiaro già a settembre: abbiamo avuto mesi per prepararci a un ritorno in classe in pandemia, ma più che parlare di banchi con le rotelle, lezioni nei parchi e turni nel weekend non si è fatto praticamente nulla di concreto. Non sono nemmeno mai partiti i corsi di recupero obbligatori per gli studenti che dovevano recuperare le carenze dello scorso anno. Tant’è che per accorgersi che le infrastrutture di trasporto pubblico non sono pronte a gestire lo spostamento di 8 milioni di studenti ci sono volute foto e video di assembramenti oltre il concepibile.

Il rientro è stato assolutamente caotico sia a settembre che a gennaio, quando alcune regioni hanno riaperto dopo le chiusure natalizie portando a un’adozione a singhiozzo della DAD che, tra percentuali diverse da regione a regione e chiusure regionali, provinciali e comunali, ha contribuito a creare una situazione estremamente complessa da decifrare, resa ancora più caotica da studi contraddittori sul ruolo o meno delle scuole come fonte di contagi.

Ma la DAD ha alla base un problema fondamentale: da casa non tutti affrontano la scuola allo stesso modo. Non tutti hanno gli stessi strumenti, le stesse risorse, la stessa connessione. In Italia non era così prima e di certo non lo è ora. La pandemia l’ha solo sottolineato con più forza. Indipendentemente dal dato di fatto che la DAD non potrà mai sostituire la didattica in presenza, anche con gli oltre 500.000 dispositivi, tra PC e tablet, che sono stati dati in comodato d’uso a studenti e docenti non si è riusciti a risolvere un problema che affligge il nostro Paese da anni: il digital divide.

Un esempio: ad oggi ci sono delle zone (da Nord a Sud) in cui la banda a disposizione dei comuni è inferiore a quella richiesta da strumenti come G-Suite per partecipare a una videochiamata. E forse troppo spesso non si tiene in considerazione un altro parametro fondamentale: in una famiglia potrebbero esserci più figlie/i connessi a una videochiamata in aggiunta ai genitori in smartworking. Se il numero di chiamate contemporanee sale a 4, per esempio, quasi la metà della banda del Paese risulta incompatibile, secondo uno studio del Sole 24 Ore.

Senza parlare, appunto, della possibilità che non tutti gli studenti abbiano a disposizione uno strumento tutto loro per partecipare a queste lezioni, a maggior ragione se il computer di casa è occupato dai genitori. E così bisogna collegarsi con lo smartphone o il tablet, magari vecchio di qualche anno e che non consente di visualizzare bene le lezioni o partecipare attivamente a esse. Per questo non tutti gli studenti hanno affrontato l’anno allo stesso modo e non tutti hanno avuto modo di apprendere e recuperare gli argomenti in maniera efficace come fatto da altri studenti che, dotati di mezzi e risorse migliori (o semplicemente con la possibilità di andare in presenza), hanno potuto affrontare un anno ben diverso. E in ogni caso è giusto riconoscere il peso psicologico che questa pandemia ha avuto sulla mente dei più giovani, con possibili conseguenti ricadute sull'andamento scolastico.

Non che ci fosse una reale alternativa alla DAD: le immagini e i video arrivati in contemporanea alle riaperture lo hanno sottolineato tristemente bene. I mezzi pubblici non sono pronti a gestire un afflusso così grande di lavoratori e studenti nelle fasce più trafficate né si è stati in grado di organizzare ovunque ingressi scaglionati per evitare assembramenti fuori dalle scuole, sulle scale e nei corridoi. Eppure, ancora, di tempo per organizzare le cose ce n’è stato.

Perché, quindi, scegliere di valutare gli studenti come se nulla fosse? Perché approcciarsi alla fine del periodo scolastico come se l’anno 20/21 si fosse svolto senza intoppi, uguale per tutti in tutta Italia? Ma soprattutto come può un consiglio di classe valutare degli studenti che hanno affrontato (a causa delle singole situazioni famigliari, per esempio) un anno scolastico cosi frammentato? Com’è possibile valutare allo stesso modo uno studente che ha seguito le lezioni con un computer di ultima generazione e una connessione gigabit e uno studente che deve collegarsi e studiare da uno smartphone del 2015 usando una connessione dati ballerina? E qui si torna allo scaricare le responsabilità: saranno i consigli di classe a doversi districare in questa difficile valutazione, tendendo conto dell’anno ma senza una reale indicazione da parte del Ministero. Così il caos è davvero dietro l’angolo e, ancora una volta, la scuola è diventata il contrario di ciò che dovrebbe essere: un'attività sacrificabile.

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Giornalista dal 2002 specializzato in nuove tecnologie, intrattenimento digitale e social media, con esperienze nella cronaca, nella produzione cinematografica e nella conduzione radiofonica. Caposervizio Innovazione di Fanpage.it.
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