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La classifica dei migliori ospedali italiani secondo Agenas: il Sud ancora in difficoltà

Il nuovo Piano Nazionale Esiti 2025 mostra un Servizio sanitario in crescita, ma ancora segnato da forti squilibri territoriali. Quasi un ospedale su cinque non supera gli standard minimi, mentre solo il 10% ottiene valutazioni elevate in tutte le aree analizzate.
A cura di Francesca Moriero
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Il nuovo rapporto dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) fotografa un sistema in lenta ma costante evoluzione; la qualità dell'assistenza sanitaria italiana migliora nella maggior parte delle regioni, ma nonostante ciò il divario tra Nord e Sud rimane evidente. Su 1.117 strutture valutate, ben 198, e cioè quasi il 20%, non raggiungono gli standard richiesti e vengono quindi indirizzate a un percorso di revisione tramite audit. Si tratta comunque di un dato in calo rispetto all'anno precedente, quando le strutture rimandate erano 239. L'andamento positivo, però, non cancella le differenze territoriali: la quota più alta di ospedali in difficoltà continua infatti a concentrarsi nel Mezzogiorno.

Quali sono i migliori ospedali italiani: la classifica Agenas

Su tutte le 1.117 strutture valutate, solo 15 ospedali raggiungono un livello complessivamente "alto" o "molto alto" su almeno sei delle otto aree cliniche considerate. In particolare, due strutture si distinguono ottenendo risultati eccellenti in tutte le aree: l'Ospedale di Savigliano, in Piemonte, e l'Ospedale di Mestre, in Veneto.

Le altre strutture migliori si distribuiscono soprattutto tra alcune regioni:

  • Lombardia: 5 ospedali
  • Veneto: 3 ospedali
  • Emilia-Romagna: 2 ospedali
  • Umbria, Toscana, Marche e Campania: 1 ospedale ciascuna

Le aree cliniche valutate includono: cardiocircolatorio, nervoso, respiratorio, chirurgia generale, chirurgia oncologica, gravidanza e parto, osteomuscolare e nefrologia.

Dove si trovano gli ospedali che non superano gli standard

La mappa dei controlli di qualità restituisce insomma un'immagine chiara: le difficoltà maggiori si addensano nel Sud. La Campania guida la lista con 51 strutture sotto la soglia, seguita dalla Sicilia con 43. Lazio e Puglia presentano entrambe 19 ospedali rimandati, mentre la Lombardia ne conta 14, la Calabria 11 e la Sardegna 10. All'opposto, alcune regioni mostrano una situazione più omogenea e priva di criticità: Valle d’Aosta, Umbria e Provincia autonoma di Trento non registrano alcun ospedale da sottoporre ad audit.

Le situazioni più gravi riguardano soprattutto piccole strutture, spesso valutate su un numero ridotto di aree cliniche: sono 14 gli ospedali che ottengono livelli "bassi" o "molto bassi"; le grandi strutture plurispecialistiche, invece, risultano più stabili e non mostrano problemi particolarmente allarmanti.

Le aree cliniche con più problemi

La quasi totalità dei controlli, circa l'88%, riguarda il mancato rispetto degli standard di qualità, mentre l'11% è legato a errori o anomalie nella codifica dei dati clinici. Le criticità più rilevanti, tuttavia, si concentrano in tre ambiti: il primo è quello della gravidanza e del parto, che da solo rappresenta oltre la metà delle segnalazioni (52,7%); in molte regioni resta eccessivo il ricorso ai tagli cesarei, spesso superiore alle soglie raccomandate dalle linee guida internazionali. Il secondo riguarda l'area cardiocircolatoria (22,1%), dove continuano a verificarsi ritardi nella tempestività dell’angioplastica, fondamentale per ridurre la mortalità in caso di infarto. Infine, l'area osteomuscolare mostra difficoltà soprattutto nei tempi di intervento per le fratture di femore negli over 65, un indicatore decisivo per limitare complicanze e mortalità, ma ancora non adeguatamente rispettato in diverse strutture.

Femore, cesarei e oncologia: dove l'Italia sta migliorando

Il PNE 2025 conferma poi progressi significativi in alcuni settori cruciali: nel trattamento delle fratture del femore negli anziani aumenta la tempestività degli interventi entro 48 ore, fondamentale per garantire una migliore prognosi. Anche l'ambito ostetrico mostra segnali positivi: il tasso dei cesarei scende dal 25% del 2015 al 22% del 2024. Un risultato importante, nonostante il divario tra Nord, ormai vicino agli standard OMS, e Sud, dove la soglia del 25% viene ancora superata. Sale inoltre la percentuale di parti vaginali dopo cesareo, dall'8% al 12%, anche se nel Mezzogiorno questa modalità resta ancora poco utilizzata. Sul fronte oncologico, cresce la concentrazione dei casi nei centri ad alto volume, un fattore determinante per migliorare gli esiti; per il tumore della mammella la quota dei casi trattati in strutture specializzate passa dal 72% al 90%, mentre colon, prostata e polmone mostrano miglioramenti continui. Restano invece criticità nelle resezioni pancreatiche: la percentuale di interventi eseguiti in centri adeguati sale dal 38% al 54%, ma nel Sud e nelle Isole si ferma al 28%, evidenziando un divario ancora profondo.

Un sistema che reagisce quando viene monitorato

Il quadro delineato dal PNE mostra insomma che il Servizio sanitario nazionale è in grado di migliorare quando dispone di obiettivi chiari, misurabili e costantemente monitorati. Il controllo degli esiti si conferma uno strumento efficace non solo per individuare le criticità, ma anche per indirizzare i pazienti più complessi verso i centri maggiormente attrezzati. La questione delle diseguaglianze territoriali rimane però ancora il punto più delicato e irrisolto. Nonostante i progressi complessivi, la qualità delle cure continua a variare infatti profondamente da regione a regione, segno di una fragilità strutturale che il sistema non è ancora riuscito a superare.

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