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Intervista Boccia a Fanpage.it: “Gli Stati Uniti d’Europa sono un sogno e un obiettivo”

Il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, intervistato da Fanpage.it non nega il sogno di arrivare alla nascita degli Stati Uniti d’Europa e si sofferma sulla risposta europea e italiana all’emergenza Coronavirus. Un impegno che Boccia e il governo prendono è quello di puntare sempre più sulla prevenzione sanitaria territoriale pubblica, per evitare di farci trovare impreparati di fronte a crisi come quella che stiamo vivendo.
A cura di Stefano Rizzuti
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L’emergenza Coronavirus e la conseguente crisi economica potrebbero aver risvegliato lo spirito comunitario. Tanto da portare il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, a sperare che si vada sempre più verso la direzione di un’Ue davvero unita, magari arrivando agli Stati Uniti d’Europa. Intervistato dal direttore di Fanpage.it, Boccia parla non solo delle misure europee per fronteggiare l’epidemia, ma anche della risposta italiana, del modello sanitario che va applicato da subito per affrontare ogni situazione di emergenza e di tutte le misure economiche discusse in queste ore dal governo: dal Def al decreto di aprile.

Cosa prevede il Def?

Traccia la linea di un quadro economico e finanziario che nessuno avrebbe mai osato immaginare. Abbiamo una valutazione, prudenziale, del Pil al -8%. Noi stiamo stati prudenti sia sulla recessione sia sul Pil 2021. Penso che agli italiani questi dati non interessano, quello che è vero è che siamo dentro a una rivoluzione senza precedenti. Siamo in una fase molto simile al dopo-guerra, in tutta Europa. E gli altri Paesi seguono l’Italia di 20 giorni. C’è una prospettiva chiara, con investimenti pubblici senza precedenti e lo Stato che c’è e ci sarà. Sia con gli interventi economici che liberando di vincoli il sistema di funzionamento della pubblica amministrazione. Ci sono risorse senza precedenti alle persone, alle famiglie, sul lavoro, sulle imprese e indica una strada che è quella della sburocratizzazione. Queste cose si toccheranno con mano nei provvedimenti che seguiranno il Def.

Cosa cambierà in termini di digitalizzazione e di smart working dopo l’emergenza?

È evidente che molte cose che facevamo forse non le faremo più o comunque le faremo meno. In Parlamento dovremmo trovare la forza di discutere seriamente, visti i buoni risultati dello smart working in alcuni settori, sul lavoro non a ore ma sul risultato. Non conta quanto hai lavorato e dove, ma se hai prodotto quel risultato la valutazione in termini retributivi può essere cambiata. Una discussione seria, senza pregiudizi ideologici, può essere fatta. Sulla digitalizzazione dobbiamo cogliere l’occasione per migliorare la nostra vita. Ora lo stiamo facendo in emergenza e sofferenza. Bisogna fare in modo, entro il 2021, di coprire con fibra ultra-veloce e 5G tutto il Paese. Perché questo modo di vivere sarà inevitabilmente il modo, pur essendo convinto che torneremo ad abbracciarci presto.

Come saranno utilizzati i 55 miliardi del decreto di aprile?

Sanità tanto. Tra le cose che sono già cambiate in emergenza, sono stati rimossi tutti i lacci sul personale sanitario, le Regioni possono fare tutto. Non c’è bisogno di perder tempo. Noi abbiamo attivato una serie di nuclei di volontari: siamo partiti da medici, infermieri, poi Oss. E lo abbiamo fatto in quattro giorni. Se l’ha fatto lo Stato per aiutare le Regioni più in difficoltà… E colgo l’occasione per ringraziare tutti gli operatori sanitari e soprattutto chi ha lasciato, dal Sud, le famiglie. Senza lo Stato nessuna Regione ce l’avrebbe fatta, lo ribadisco. Le cose si possono fare.

Ci saranno anche altre misure?

Ammortizzatori sociali per molte imprese. Per tutti coloro che ne fanno richiesta, anche per chi ha un solo dipendente. Interventi per gli autonomi, pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione. L’indicazione alle Regioni è ’saldate tutto’. Interventi sulle famiglie, interventi sul potenziamento della scuola, dell’università che da qui alla fine dell’anno scolastico e alla riorganizzazione del nuovo dovranno fare investimenti su tecnologia e personale.

Potremmo avere a disposizione i 37 miliardi del Mes: siamo sicuri che non ne abbiamo bisogno?

Chi ha detto che non ne abbiamo bisogno? Penso che non si possa dire no pregiudizialmente solo perché l’acronimo ricorda un’altra fase dell’Ue. Deciderà comunque il Parlamento. Chiuso il percorso e definita la proposta, ora vediamo cosa succede al Parlamento europeo. Quando la proposta sarà sul tavolo dei governi, prima di dire sì o no il Parlamento dirà l’ultima parola. C’è anche un fondo perduto, ci sono questi soldi che non devi restituire. Tutte le altre risorse sono a debito. Il Mes se è a 30 anni, senza condizioni e a tassi vicini allo zero, se viene ripartito su tutte le Regioni italiane per rafforzare la sanità, le terapie intensiva, i medici di base, stiamo parlando di 3 miliardi per la Campania, 5,5 per la Lombardia, 3 per il Veneto. Prima di dire no a 3 miliardi per una Regione, che lo Stato restituisce in 30 anni, io penso che la politica debba assumersi la responsabilità. Penso sia sbagliato dire di no a prescindere.

In questi giorni si sta muovendo un passo verso un’Europa federale?

Magari, lo dico da europeista convinto. Chiunque parlava di unione fiscale nel 2012-2013 veniva etichettato come profano. Magari gli Stati Uniti d’Europa, sono il nostro sogno, il nostro obiettivo, l’unica cosa che può consentirci di aspirare un minimo ai sogni dei padri fondatori. L’unione fiscale, la difesa comune, il welfare comune, politiche industriali… Se un giorno i nostri Parlamenti dovessero essere considerati come dei grandi consigli regionali non dobbiamo offenderci, ma vorrebbe dire che il Parlamento europeo avrebbe acquisito la forza che merita, e la Commissione sarebbe diventata un governo. La strada è quella e dobbiamo seguirla.

Fase due, cosa succederà nelle Regioni e cosa avverrà se ci saranno nuovi focolai in alcune aree?

Questa nuova fase che parte il 4 maggio dee condurci a una nuova normalità. Dobbiamo dirci con chiarezza che la vita che facevamo prima purtroppo non la faremo dal 4 maggio. Noi dobbiamo dare agli italiani un impegno di un Paese che cammini in sicurezza. E per farlo la seconda fase deve avere alcuni punti fermi. Ieri i ministri e i sindacati hanno rinnovato un protocollo sulle linee guida sul lavoro, su cosa succede con la nuova normalità. Gli orari saranno spalmati su tutta la giornata, forse sette giorni su sette, perché anche la mobilità cambierà. Sugli autobus e sulle metropolitane si entrerà un tot per volta. Siccome la gente non è diminuita, o si triplicano gli autobus (ma potrebbero non esserci) o si spalmano gli orari. Poi c’è l’utilizzo delle mascherine, il distanziamento sociale. Poi c’è un altro punto: tutto questo dovrà essere legato alla capacità sanitaria di reggere eventuali nuovi contagi. È evidente che quando torneremo a uscire, le strutture sanitarie devono essere migliori di quelle di due mesi fa. Il 13 aprile abbiamo avuto il picco massimo di terapie intensive, poi sono diminuite un po’: non molliamo, è l’appello che faccio a tutti i presidenti di Regione. Le terapie intensive devono essere il doppio di quelle prima del Coronavirus e la sicurezza sanitaria deve essere massima. E ogni settimana ci sarà un aggiornamento sul R0 Regione per Regione. Il 4 maggio si riparte, ma sapendo che le successive aperture o le successive restrizioni dipenderanno dal rigore delle Regioni sulla sanità. La risposta sanitaria deve essere pubblica e capillare. Le Regioni del Centro-Sud hanno accolto oltre 110 pazienti Lombardia in terapia intensiva quando non c’erano più posti. Ed è stato fatto quando nessuna Regione sapeva quale sarebbe stato l’impatto sulle proprie terapie intensive. La fase due sarà caratterizzata da una responsabilizzazione. Se le Regioni sono in grado di reggere bene, se no scatta la restrizione.

Far gestire la sanità e la crisi a livello statale sarebbe stata la cosa più giusta?

Me lo sono chiesto molte volte. Le cose vanno viste senza pregiudizi. Io non penso che Roma, inteso come Stato centrale, possa o sappia gestire meglio un ospedale a Belluno o a Bisceglie. Lo si faceva già e non mi pare che funzionassero meglio. Bisogna anche essere intellettualmente onesti. Poi penso che su alcune linee non ci possano essere 21 modelli diversi, 19 Regioni e due province autonome. Penso che su alcune linee guida non ci siano discussioni: deve decidere lo Stato, soprattutto in emergenza. Poi è la Regione che conosce i luoghi, le capacità, le tecniche. Poi io penso che l’autonomia se è sussidiarietà rafforza l’unità centrale. Dire ‘lasciamo fare tutto alle Regioni’ è una sciocchezza, perché di fronte alle difficoltà anche la Regione più forte diventa debole, nessuno ce la può fare da solo. Abbiamo due insegnamenti: è sbagliata l’autonomia forzata ed è sbagliata la statalizzazione. Io penso che il dibattito in Parlamento su questo si debba fare.

Voglio rivolgere un appello finale sulla prevenzione pubblica territoriale: c’è in alcune Regioni, non in altre. Premesso che penso che ci siano organizzazioni private sanitarie che sono eccellenze in Europa e nel mondo. Ci sono molte aziende private della sanità che sono eccellenze. Ma è una cosa aggiuntiva, l’insegnamento di questa fase della nostra storia deve portarci a investire sulla prevenzione territoriale pubblica. Dai medici di base per arrivare ai centri. Dove ci sono persone che fanno un lavoro strepitoso e vanno pagate meglio, devono fare formazione continua, ricerca. Dobbiamo chiederci perché la Germania aveva 25mila posti di terapia intensiva e noi 5mila, venendo persino considerati degli sperperoni. Però rispetto a tutti gli altri Paesi occidentali dobbiamo essere fieri e orgogliosi di essere italiani. Da noi le fosse comuni non si vedranno mai, da noi persone che hanno 39.5 di febbre, chiamano l’assistenza e si sentono dire che non possiamo venire perché non hai la carta di credito o non c’è posto, non accadrà mai.

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