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Opinioni

I fratellini morti in un campo rom e il bimbo solo a Lampedusa sono i figli della nostra indifferenza

Un bambino di un anno è arrivato su un barcone insieme da 70 uomini, nessuno di loro parente. E due bambini rom sono morti a Foggia nell’incendio della loro baracca. Cosa unisce queste due storie?
A cura di Saverio Tommasi
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Foto di un salvataggio nel mar Mediterraneo
Foto di un salvataggio nel mar Mediterraneo

Un anno, o più probabilmente 11 mesi, la sua età l'hanno solo potuta stimare, come si fa con gli alberi, o con i cadaveri degli uomini primitivi.
Non è abbastanza grande neanche per dire il suo nome, ed è arrivato a Lampedusa insieme a 70 uomini, da solo.
I migranti hanno spiegato: "Non lo conosciamo".

La storia è questa: i genitori non sono riusciti a salire sull'imbarcazione – o forse gli è stato impedito perché non avevano pagato abbastanza – e a quel punto hanno implorato che almeno il figlio potesse imbarcarsi.
In altre parole: i genitori hanno implorato che almeno il figlio avesse la possibilità di una vita decente, anche se senza di loro.

Perché i genitori sono questa cosa qui: corpi che si strapperebbero le braccia e le gambe per salvare i figli, e quando non è sufficiente, quando non sarebbe abbastanza neanche sacrificare i propri arti, allora accettano di morire un po' loro, affidando il figlio alla sorte, alla speranza, alla fortuna, a quello che non sanno cosa sarà, ma sanno che sarà in ogni caso migliore dell'inferno in Libia, ad esempio.

Io non so cosa si provi a strapparsi un figlio dalle braccia per salvarlo, restando in vita. Ed è la penultima cosa al mondo che vorrei provare. L'ultima è non riuscire a salvarlo, non dargli neanche quella possibilità.
E deve essere, più o meno, la stessa cosa che hanno sentito i due genitori al momento della consegna del loro piccolo essere umano di un anno scarso, alla clemenza delle onde e degli uomini.

Il bambino è arrivato in Italia, insieme agli altri settanta uomini, e per il momento è affidato a un'educatrice. La sua salvezza è appena iniziata, il suo futuro è tutto da scrivere. Però almeno è su quella terraferma desiderata.

Ancora terraferma, per raccontarvi un'altra storia e capire poi perché le due storie si intrecciano. Qui siamo a Stornara, in provincia di Foggia, il luogo preciso è un campo rom.
La notizia è questa: sono morti in un incendio due bambini, fratellino e sorellina, di 4 e 2 anni.
Il babbo era al lavoro e la madre era andata in bagno, il bagno era fuori, per questo i due bambini erano soli. E quando la madre è tornata, la baracca era avvolta dalle fiamme.
Le cause sono sempre le stesse: povertà, mezzi insicuri, disattenzione forzata. Tecnicamente, forse, un braciere a legna usato per scaldarsi, di quelli artigianali, ricavato dai bidoni usati per conservare l'olio.
La mamma ha 21 anni, poco più di una ragazza anche lei, e già senza due figli.

Cos'è che unisce queste due storie?
Qual è il punto d'incontro fra due genitori che affidano il figlio di un anno a 70 sconosciuti in fuga dalla Libia, in mezzo al mare, con la certezza di non rivederlo più, e due bambini rom di 4 e 2 anni morti nell'incendio di una baracca a Foggia?

Il punto d'incontro fra le due storie è la matrice che le ha fatte nascere: l'indifferenza. Il pensare che questi eventi siano stati causati in qualche modo dalla "sfortuna", è ciò che li rende simili.
Ciò che unisce questi due racconti sono i commenti di colpevole non comprensione:
"Ah, ma sono rom"
"Ah, ma erano immigrati"
"Ah, ma se scelgono di venire clandestini con un barcone devono essere consapevoli che rischiano di morire"
"Ah, ma si sa che figli e bracieri non si devono mai lasciare incustoditi"

Ciò che unisce queste due storie è l'avversativa: "ma". Il fatto che ci sia sempre qualcosa d'altro da anteporre a giustificazione di un mancato aiuto.
Un "ma" che deresponsabilizza, toglie colpe, monda le coscienze giustificandole nell'immobilismo. E' la reazione dei pezzenti che rende queste due storie sovrapponibili.

Non è "sfortuna" se un braciere ricavato da un bidone dell'olio incendia una baracca. E' ingiustizia. Se sei costretto a riscaldarti in questo modo, per anni, significa che qualcosa nella società non ha funzionato, non è semplicemente "sculo".
Significa che qualcuno lasciandoti indietro si è costruito la carriera. Qualcuno si è approfittato del suo essere disumano, e del loro essere troppo umani.
Non è "sfortuna" se per fare pipì una madre deve uscire dalla baracca perché il bagno è fuori, al freddo. È ingiustizia.
E questo avviene in più parti d'Italia, da anni muoiono bambini nel fuoco, o congelano genitori, da sempre le persone rom nei campi hanno un'aspettativa di vita tanto più bassa rispetto agli altri, è sistemico ed è profondamente ingiusto.

Ciò che unisce queste due storie è che entrambe sono frutto di una disuguaglianza intollerabile, che a Natale dovrebbe farci sussultare di più, non di meno.

In fondo è tutto qui: un'ingiustizia senza risposte concrete, ecco ciò che unisce queste due storie. Una fiumana nebbiosa di scuse come risposta, un coacervo di "questa situazione non dipende da noi". Senza pensare che però noi, oggi, qualcosa potremmo fare. In tutti i casi.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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