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Opinioni

Ho letto tutto il nuovo libro del generale Roberto Vannacci, un’autocelebrazione un po’ ridicola

Il generale Roberto Vannacci è tornato alla carica con un nuovo libro, e fra una giustificazione e l’altra ci racconta di quando catturava lucertole muovendosi come un gatto.
A cura di Saverio Tommasi
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"Il coraggio vince", il nuovo libro di Roberto Vannacci
"Il coraggio vince", il nuovo libro di Roberto Vannacci

Ho letto tutto il nuovo libro di Roberto Vannacci. Avevo letto anche il primo, ormai per me è diventata una tradizione, ma soprattutto un modo per provare a capire cosa pensano le persone intorno a lui, quel pezzo di società che lui rappresenta, più che per comprendere il generale in sé. In altre parole: di cosa si eccitano, quelli intorno a lui? Le decine di migliaia di persone che lo hanno letto e apprezzato, come vedono il mondo? Qual è la lente per cui senza vergogna si pongono dalla parte della soluzione invece che da quella del problema?

Per parlare di "Il coraggio vince", il nuovo libro del generale, partiamo dal vero nome di Vannacci. Il suo vero nome completo non è Roberto Vannacci, ma "Roberto Vannacci, l'uomo che non deve chiedere, mai".
Se non siete ragazzini, ricorderete la pubblicità del profumo, primo spot nel 1985. Il modello nella foto non era lui, ma quell'idea di mascolinità tossica per cui si riconoscerebbe un vero uomo dal fatto che non debba chiedere niente, mai, secondo me lo rappresenta bene. Nel suo nuovo libro quell'uomo potrebbe essere proprio lui, Roberto Vannacci. Scrive "so che cadrò, però un incursore si rialza sempre". Poi però non cade mai, in tutto il libro, e conduce il suo manipolo di uomini fino alla vittoria, qualunque sia la vittoria, ogni volta. Dalla Somalia agli studi televisivi. Da quando a 5 anni già distribuiva i fucili ai figli più grandi dei militari, a quando accende candele clandestine negli ossari delle catacombe di Parigi, scendendo fra le fogne già da ragazzino.
Nel libro ci sono dei passaggi adrenalici (esageriamo, dai), in cui racconta le sue prime esperienze TV come se fosse al fronte: "Sento che una goccia di sudore si forma sulla fronte e si appoggia a una ruga. Rimane là, in bilico. La lascio stare. Penso ad altro, applico le tecniche che ho imparato fin troppo bene in addestramento", notare che sta parlando di un'ospitata in TV. Poi l'apice: "La goccia di sudore inizia a scivolare sulla fronte. La fermo con un dito; un movimento rapido, sincronizzato con le parole della conduttrice".

Roba forte, per veri uomini.

Nel nuovo libro di Roberto Vannacci, apprendiamo che lui non sbaglia mai. La sua nascita la chiama "una sorta di incursione nel mondo", facendo riferimento al suo essere poi diventato "incursore nell'esercito" e nella vita.
I suoi vagiti erano già un grido militare.
L'uscita da una donna in fondo un dettaglio, lui si sarebbe potuto generare da solo.
Della sua infanzia scrive: "Cacciavo lucertole con l’abilità di un gatto famelico", poi passano gli anni ma non le sue abilità. Lo dice lui, non io.
"Lei è il primo generale ad aver scritto un libro", gli fanno notare. E lui risponde: "Sono orgoglioso di essere il primo".
Raccontare d'essere primo gli piace, si capisce, si crogiola, perché poi la stessa domanda se la pone anche da solo, parlandosi come di fronte allo specchio: "Sono davvero il primo generale in servizio a scrivere un libro così controverso ed esplosivo? Certo. Sono un generale incursore".

Del resto nel suo sangue scorre una goccia di quello di Dante Alighieri (giuro, lo scrive addirittura due volte, la prima quando glielo confida la madre, e la seconda restituendolo durante il libro ormai come dato acquisito). Non solo: nel sangue di Roberto Vannacci scorre anche una goccia di quello di Leonardo Da Vinci, questa volta è lui a chiedere conferma alla madre, che annuisce.

Che infanzia, ragazzi!

Diciamo la verità: il nuovo libro di Roberto Vannacci è un'autocelebrazione anche un po' ridicola. Intendiamoci: ognuno di noi racconta a se stesso qualche bugia, per vivere meglio. Entro certi limiti è un'autodifesa, positiva. Però esagerare al punto da riempire un libro di presunzione ce ne passa. Così non è sano. L'impressione, infatti, è di leggere quei ragazzini che in prima superiore raccontano balle perché si sentono sfigati, e a quel punto lavorano di fantasia e i loro racconti diventano un florilegio di esperienze sessuali, avventure mirabolanti, dimostrazioni di coraggio, e loro ogni volta si dimostrano i primi. Roberto Vannacci, nel suo nuovo libro, è uguale. E' una drammatizzazione continua, l'esagerazione di ogni aggettivo qualificativo diventa modalità espressiva. Per esempio quando scavalcava i cancelli del cimitero per andare a trovare la tomba di Jim Morrison e scrive "roba da uomini veri, il timore era che all'improvviso, da una di quelle lugubri cripte, potesse uscire un'ombra terrificante. Creature non morte che ci avrebbero azzannato il cranio o ci avrebbero rincorso tra i viali del cimitero per cibarsi delle nostre giovani carni".
Anche meno andava bene, generale.

Il libro è tutto così: avventure magnificate, al limite del reale, a essere onesti. Ad esempio quando racconta delle discese clandestine nelle catacombe di Parigi, "una ventina di minuti nel labirinto e si accedeva ad ampie camere piene di ossa e teschi (…) tiravano fuori delle candele e le posizionavano ai lati dell'ossario. L'effetto era incredibile. Sembrava di vivere uno di quei macabri racconti di Edgar Allan Poe".
Di nuovo: anche meno, generale, andava bene.

Il libro utilizza la chiave dell'esaltazione personale come metodo narrativo, ad esempio i vari passaggi in cui ricorda la sua noia durante gli addestramenti militari perché lui quelle cose sapeva già farle. Era così per i lanci ("avevo già un brevetto"), per le flessioni, la corsa e qualsiasi altro esercizio fisico ("per me non erano mai abbastanza"), e anche per lo studio. Il giorno della verifica scritta di Armi presenta "un compito perfetto", se lo dice da solo. "Sono molto preparato, scrivo tutto e anche di più. Aggiungo pure i trattamenti termici". Poi, però, prende come voto 17 su 20 e protesta. Quando gli spiegano il perché lui non ci sta, comprende l'ingiustizia e reagisce: "Guardo l'esaminatore con un ghigno di scherno e gli dico: ho capito, vuol dire che correggendo il mio compito ha imparato anche lei qualcosa", e poi chiosa "mi volto e me ne vado".
Più volte nel libro racconta di aver messo a tacere i suoi superiori, e il perché si intuisce bene: Roberto Vannacci è già superiore a tutti, anche a tutti messi insieme. I suoi superiori, spesso, rappresentano soltanto un inutile ostacolo alla sua dimostrazione – come vorrebbe fare con questo libro – di essere il migliore. Come quando lascia la Marina per l'esercito, nonostante il comandante insista per tenerlo con sé, lui gli risponde: "Non passerò il mio tempo sulla plancia di una grigia nave militare", e poi in riferimento alla reazione del comandante chiosa: "Steso. Lo avevo steso. Il comandante deglutisce, prende atto della mia decisione".

In un'altra occasione sta parlando con un superiore, e Roberto Vannacci gli chiede: "Cosa mi proponete di fare?" e il superiore gli avrebbe risposto: "Quello che sai fare meglio: comandare".
L'autocelebrazione supera le vette delle fantasticherie più estreme. I bagni nel mare al pomeriggio, in Somalia, in un mare che ci racconta infestato di squali, che però non li attaccano mai perché, dice il generale di se stesso e del proprio manipolo di uomini "noi siamo più squali di loro".
Accidenti, che audacia.

Gli fanno i complimenti: "Ma cos’ha nelle gambe? Il titanio?". Subito dopo aggiunge di se stesso: "Sott'acqua però va ancora meglio". Il titanio, per il generale, era evidentemente un paragone troppo stretto. Lui è di più. Forse si sente quarzo, ma io azzardo: diamante. Nella scala di Mohs il tianio è 6, il diamante 10. Probabilmente ho ragione io a pensare al generale come un diamante puro, il titanio è per civili, lui è un incursore del "Col Moschin".

"Mi accorgo che rispetto agli altri non faccio fatica", dice rispetto ai suoi compagni di corso, con la solita modestia che non lo contraddistingue.

Il suo rapporto con gli animali è da comandante: tengono un falco in ambasciata, poi lui chiede di accarezzare un ghepardo, mascotte della caserma. Il ghepardo lo rispetta e non se lo mangia.
Quando in missione devono liberare delle donne rapite lui chiama quell'intervento: "Obiettivo liberazione delle quaranta vergini".
Ovviamente, un successo. Ogni tanto muore qualcuno, è vero, ma questo semplicemente aumenta il suo odio, "il motore che muove il mondo".

E' un libro caratterizzato dalla prosopopea. Le affermazioni più forti, nel libro, le fa durante una ipotetica trasmissione TV. Mi spiego: le esperienze militari del passato, nel libro, sono inframmezzate dalle esperienze televisive recenti, ogni tanto ne scrive una pagina, con un illogico salto temporale, ma lui va oltre il tempo. Ed è in queste situazioni che Roberto Vannacci riporta i suoi stessi virgolettati (il famoso utilizzo della terza persona), e poi ci racconta come il pubblico televisivo lo apprezzi ogni volta che lui dice qualcosa; così nel libro sottolinea ogni sua affermazione raccontando il successivo applauso del pubblico, come per farcelo udire o per sentirlo lui, di nuovo. Così dopo ogni sua affermazione, nel libro, scrive: "Applauso del pubblico", "lungo applauso del pubblico", "applauso più lungo", "clamoroso applauso", "sottolineata da un applauso", "scatta un applauso" e via così, tante altre volte, in tutto il libro, nuovi applausi sempre più convinti dopo ogni sua affermazione.
A me vengono in mente quegli uomini che chiedono sempre "ti sta piacendo?" mentre fanno l'amore. Hanno necessità della conferma. Capisco una volta, magari per affinare le sensazioni di coppia, ma poi basta. E' uno stillicidio. In questo caso il generale Roberto Vannacci, addirittura, lo chiede a se stesso e poi sembra anche rispondersi ogni volta: "Sì, tantissimo amore mio, sei il migliore".

Il libro è scritto così, tutto. Il generale ha sempre "la parola giusta, che mette a tacere". Ma c'è dell'altro, è un aspetto interessante che costella l'esperienza di lettura dell'intero libro: il generale ufficialmente non chiede scusa e non si giustifica mai, o almeno dice di non volerlo fare. Sembra la royal family al tempo della Regina Elisabetta. Il generale rivendica la sua decisione: "Chi viene accusato di omofobia e razzismo, in genere ritratta, smussa, ingentilisce i toni. Io no. Sin dal principio sono rimasto saldo sulle mie posizioni".
A parte la questione umana, niente affatto indifferente, e cioè: se tutti ti accusano di omofobia e razzismo io qualche domanda me la farei, ce n'è un'altra ed è in questo caso quella principale: lui è convinto delle idee che ha espresso, ad esempio che "i gay non sono normali". Però al tempo stesso questo nuovo libro del generale è anche il libro delle giustificazioni, cioè lui approfitta di questa nuova pubblicazione per tornare su quasi tutti gli argomenti del libro passato, inserendoli (un po' a caso) nelle sue esperienze di vita, nella sostanza per ribadirli e accusare noi di aver capito male. Il generale in questo nuovo libro si giustifica (anche se dice di non farlo) e rilancia. Il generale fa quello che fanno dunque gli incursori: entra dentro, in silenzio, alla chetichella, poi sgancia la bomba e scappa.

La proprietà di linguaggio in questo libro è leggermente migliore (sia benedetto il lavoro dell'editor) rispetto al precedente, ma non sufficiente a celarne il contenuto e il continuo ammiccamento al fascismo: "Ritrattare posizioni significa inserire incoerenza nel racconto generale e offrire una breccia, una fessura a chi vuole incunearsi per distruggere tutto. Non lo faccio e non lo farò. Faccio squadra con i miei camerati".
Complimenti, generale. A lei e ai suoi camerati, naturalmente.

Per il resto puntella, mette sostegni, non ritratta ma il tono è giustificazionista, e se interpretiamo male è colpa nostra, lui è chiaro e scrive bene, lui scrive sempre bene, grado vittimismo dieci e lode.

Il generale è tutto e di più: è povero ed è ricco, è poco ed è tanto.
Cito dal libro: "Eravamo poveri ma non ci mancava niente".
"Viaggiavamo poco, solo per vera necessità".
"Non avevamo i sedili dell'auto, ma avevamo una panchina imbottita come sedile anteriore".
"Non potevo ordinare la coca-cola, però quando la bevevo la centellinavo contandone le goccioline sulla lingua".
"Un boero ogni tanto, però scartandolo scoprivo di averne vinto un altro".
Il generale vince sempre, prima e dopo.
Questi sono episodi del suo periodo giovanile, ma la tecnica "sono generale ma sono anche come voi" caratterizza ogni segmento della sua vita raccontata.
Parlando di se stesso dice: "Solo certi soldati hanno le capacità e le competenze per essere impiegati sul campo con successo". Poi cinque righe dopo: "Vivi insieme alla popolazione, e ti mescoli a gente che ha perso tutto". E' come se lui fosse miliardario, ma sapesse stare al fianco degli squattrinati. Uno e trino. La Chiara Ferragni dell'esercito.

Questo è il libro delle contraddizioni, dell'esaltazione personale, incontrollata, e delle giustificazioni spassose.
Il generale elogia la sua personale anormalità come "drogato di adrenalina", scrive proprio così. Però se qualcuno si scambia un bacio in pubblico con chi ama, se chi ama è dello stesso sesso, lui disapprova. Però il generale spiega anche di aver comandato probabilmente pure soldati gay, e scrive che non c'è mai stato nessun problema, e loro si sono sempre fidati di lui.

Il generale è contento di aver lavorato in Russia, meglio dell'Occidente per certi versi, lo dice. Mosca è luminosa. Gli ambienti russi sono quelli di Putin, ma solo per lavoro, perché anche Putin ha dei difetti, non è mica Roberto Vannacci!
Però non lo chiama mai dittatore, e non accenna ai giornalisti che ha ordinato di uccidere, neanche ora che il generale è tornato in Italia e il suo lavoro non è più promuovere l'Italia in Russia.
"Io dovevo promuovere l'Italia in Russia", scrive infatti, più volte. E a me suona un po' come: "Io ho soltanto eseguito gli ordini".
Sostiene il nucleare durante l'incidente di Chernobyl, raccontando al suo insegnante di lettere che "il progresso non si può fermare, è come l'aria per un paracadutista". Dimentica i morti per il nucleare, li chiama "un brutto incidente che si poteva evitare".
Il generale dice "che schifo la guerra", però poi vi partecipa in prima linea compresa la guerra di aggressione in Iraq. Mai un riferimento a Colin Powell e alla finta prova della fialetta di antrace fatta sventolare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, per dire.
Il generale partecipa alla missione di guerra in Somalia, ma dell'inchiesta di Panorama sugli stupri eseguiti sulle donne somale, da parte dei soldati italiani della Folgore, con un razzo spalmato di marmellata, non fa cenno.

Il nuovo libro del generale sospeso per undici mesi, si chiude con una citazione del vecchio, quando una eterea conduttrice televisiva (mai nominata, ma il generale trova il tempo di scrivere di lei "credo abbia una relazione con il regista"), lo invita a raddrizzare il mondo. E il generale sospeso Roberto Vannacci chiosa: "Un incursore lo farebbe".

Il dado è tratto. Aspettiamo trepidanti l'ufficialità della sua candidatura a imperatore dell'Universo. Qualsiasi altra cosa, vorrebbe dire sminuirlo.

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Sono giornalista e video reporter. Realizzo reportage e documentari in forma breve, in Italia e all'estero. Scrivo libri, quando capita. Il più recente è "Siate ribelli. Praticate gentilezza". Ho sposato Fanpage.it, ed è un matrimonio felice. Racconto storie di umanità varia, mi piace incrociare le fragilità umane, senza pietismo e ribaltando il tavolo degli stereotipi. Per farlo uso le parole e le immagini. Mi nutro di video e respiro. Tutti i miei video li trovate sul canale Youmedia personale.
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