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Fine vita, il centro destra rivede la legge: più burocrazia, meno diritti, escluso il Servizio sanitario nazionale

Il centrodestra ha modificato la proposta di legge sul fine vita, sostituendo il comitato nazionale governativo con comitati etici regionali e un centro tecnico nazionale, ma mantenendo un impianto restrittivo. Il testo allunga i tempi della procedura, esclude il Ssn e introduce criteri più rigidi per l’accesso al suicidio assistito. Le opposizioni insorgono.
A cura di Francesca Moriero
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Il centrodestra ha rivisto la propria proposta di legge sul fine vita, presentata in Senato a luglio, compiendo un passo indietro su uno dei punti più contestati: la creazione di un Comitato nazionale di valutazione nominato dal governo. Al suo posto, infatti, il nuovo impianto prevede il ritorno ai comitati etici regionali, affiancati da un Centro di coordinamento nazionale composto da esperti sanitari e giuristi; sarà questo organismo a esprimere il parere definitivo sulla richiesta di accesso al trattamento di fine vita. Secondo i relatori Pierantonio Zanettin (Forza Italia) e Ignazio Zullo (Fratelli d’Italia) si tratterebbe di un'apertura verso le opposizioni, che avevano bollato il precedente comitato come un organo "politico" su un tema che non dovrebbe avere colore di partito. Ma le opposizioni giudicano la modifica parziale, accusando la maggioranza di voler mantenere un controllo centrale su un percorso che dovrebbe invece restare nelle mani del paziente e dei medici. Non solo, sottolineano come il Centro di coordinamento nazionale, pur composto da tecnici, resti un organismo statale, rischiando di trasformare una valutazione clinico-etica in un filtro burocratico.

Un iter più lungo

La nuova architettura della procedura prevede ora tempi più lunghi rispetto al testo precedente. Il comitato etico territoriale avrà infatti 60 giorni di tempo per esprimere un parere non vincolante, dopodiché il Centro di coordinamento nazionale potrà impiegare altri 60 giorni per formulare il parere obbligatorio e definitivo, con la possibilità di una proroga di 30 giorni in casi particolarmente complessi o motivati. In totale, quindi, la procedura potrà durare fino a 150 giorni, contro i 120 giorni previsti nella versione iniziale della proposta.

Secondo le opposizioni, questa scelta rischia di complicare ulteriormente un percorso già delicato e doloroso, dilatando i tempi per una decisione che riguarda la libertà personale in condizioni di estrema sofferenza. I nuovi passaggi, avvertono, potrebbero scoraggiare i pazienti o addirittura renderne impossibile l'accesso prima che la malattia evolva in modo irreversibile.

Il nodo del Servizio sanitario nazionale

Tra le novità più discusse ci sarebbe ppi anche l'esclusione del Servizio sanitario nazionale (Ssn) dalle procedure. Il testo stabilisce infatti che personale, attrezzature e farmaci del Ssn non possano essere utilizzati per agevolare il proposito suicidario. Una clausola che, secondo la senatrice di Alleanza Verdi e Sinistra Ilaria Cucchi, è "incostituzionale", perché mette a rischio l’universalità e l’uguaglianza delle prestazioni, spingendo di fatto verso una "privatizzazione della morte".

Requisiti più stringenti

Il disegno di legge introduce poi anche una nuova e più restrittiva definizione delle condizioni che permettono di non incorrere in sanzioni penali per l’aiuto al suicidio. Per accedere al trattamento di fine vita, il paziente dovrà infatti ora trovarsi in una condizione di sofferenza fisica o psicologica "incoercibile", cioè non alleviabile in alcun modo, e la sua malattia dovrà essere irreversibile, cioè priva di ogni possibilità di miglioramento. Non solo, dovrà anche essere già inserito in un percorso di cure palliative e dipendere da trattamenti sanitari sostitutivi per sopravvivere. La richiesta dovrà poi essere espressa in modo libero e consapevole. Si tratta, di fatto, di una stretta significativa rispetto ai criteri stabiliti dalla Corte costituzionale nella sentenza Cappato-Dj Fabo del 2019, che aveva delineato quattro condizioni ma lasciava maggiore margine interpretativo ai medici e ai comitati etici. In particolare, l'aggiunta del requisito della "incoercibilità" e l'obbligo di cure palliative potrebbero escludere molti pazienti affetti da patologie gravi ma non terminali, oppure non dipendenti da macchinari per vivere, come ad esempio alcune malattie neurodegenerative.

Secondo il senatore Pd Alfredo Bazoli, questa impostazione rischia di rendere quasi impossibile accedere legalmente al suicidio assistito, lasciando fuori numerosi casi che oggi, sulla base della giurisprudenza costituzionale, potrebbero invece rientrare. Il rischio, secondo le opposizioni e diverse associazioni, è che la legge trasformi un diritto individuale in un percorso a ostacoli, allontanandosi dallo spirito della sentenza della Consulta e alimentando disuguaglianze tra chi può permettersi di rivolgersi all’estero e chi no.

Nessun diritto all’eutanasia

A fugare ogni ambiguità, in chiusura dell'articolo 1 compare una precisazione netta: "In nessun caso la legge riconosce alla persona il diritto a ottenere aiuto a morire". Una formulazione che cioè esclude esplicitamente qualsiasi riconoscimento legale dell'eutanasia attiva, anche nei casi più estremi di sofferenza. Il passaggio serve a marcare un confine politico e giuridico preciso: il testo non introduce un nuovo diritto, ma disciplina solo le eccezioni alla punibilità nei casi di suicidio medicalmente assistito, come previsto dalla sentenza 242/2019 della Corte costituzionale.

Per le opposizioni, questa clausola rappresenta una chiusura ideologica e rischia di restringere ulteriormente l'ambito di applicazione della norma, lasciando fuori tutte quelle situazioni in cui il paziente, pur essendo lucido e consapevole, non può materialmente compiere da solo l'atto finale (ad esempio nei casi di tetraplegia avanzata). In assenza di una previsione esplicita del "diritto ad accedere al fine vita", l'aiuto a morire resta solo un'eccezione tollerata, non un'opzione riconosciuta, e ciò potrebbe alimentare un clima di incertezza per medici, pazienti e famiglie. In sostanza, la legge si limita a circoscrivere quando non si è punibili, senza garantire che il paziente possa davvero esercitare quella scelta, anche quando ne avrebbe i requisiti morali e clinici. Un'impostazione che dunque rischia di trasformare un diritto di fatto in una concessione discrezionale.

Il confronto politico resta acceso

Le sette proposte di modifica, presentate dopo la pausa estiva nelle commissioni Giustizia e Affari sociali, potranno ancora essere corrette: c'è infatti tempo fino al 23 settembre per depositare sub-emendamenti. Ma le distanze politiche, anziché ridursi, sembrano crescere. "I nuovi emendamenti non avvicinano la mediazione, anzi la allontanano", denuncia Bazoli. Critici anche i parlamentari di Azione, secondo cui le promesse di apertura del centrodestra restano disattese. Dall'altra parte, il presidente della Commissione Affari Sociali e Sanità Francesco Zaffini (FdI) rivendica il percorso compiuto: "Il centrodestra la sua parte di buona volontà l'ha fatta. Se la sinistra vuole alzare bandiera rossa lo faccia nei comizi, non su un tema così".

La partita resta quindi aperta, con un testo che cerca un equilibrio tra le indicazioni della Corte costituzionale e le diverse sensibilità politiche, ma che per ora lascia ancora una volta irrisolti i nodi più delicati.

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