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Ex Ilva, accordo raggiunto dopo le proteste dei lavoratori: ecco perché è ancora fragile

La protesta dei lavoratori dell’ex Ilva di Genova ha costretto il governo a riattivare la linea di zincato e ad aprire, per la prima volta, all’ipotesi di un intervento pubblico. Ma senza un piano chiaro su Taranto, il futuro dello stabilimento resta appeso a un equilibrio precario.
A cura di Francesca Moriero
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Per giorni Genova è stata il cuore pulsante di una protesta unitaria che ha attraversato tutta la città: i lavoratori dell'ex Ilva si sono ritrovati davanti ai cancelli dello stabilimento, organizzando presidi, cortei improvvisati, blocchi stradali che hanno paralizzato il ponente. La mobilitazione è cresciuta di ora in ora, alimentata da una paura concreta e condivisa: lo stabilimento sembrava avviarsi verso un progressivo spegnimento, e con esso la prospettiva di un futuro già fragile per centinaia di famiglie. Ma quella paura non riguardava solo la produzione in sé. Era qualcosa di più profondo: un interrogativo aperto sulla politica industriale del Paese. Da settimane gli operai chiedevano infatti invano un tavolo nazionale, una discussione seria sul destino di Cornigliano. Ma le risposte arrivate dal governo sono state fin da subito parziali, frammentate, incapaci di dare un perimetro temporale o un impegno preciso.

La tensione è poi velocemente esplosa quando si è diffusa la notizia che la linea di zincato, fondamentale per lo stabilimento, rischiava di non ripartire; e una fabbrica con una sola linea attiva non è un impianto ridimensionato: è un impianto che sta entrando in apnea.

Il tavolo al Mimit

L'incontro a Roma di questa mattina, convocato dopo giorni di protesta, ha prodotto il primo impegno scritto. Nella sede del Mimit il governo, insieme alla Regione Liguria e alla sindaca Silvia Salis, ha annunciato infatti la riattivazione della linea di zincato, da affiancare alla banda stagnata; una decisione arrivata al termine di un confronto teso, ma che ha finalmente dato una direzione.

Sul piano pratico, questo significa che lo stabilimento potrà ripartire con 585 lavoratori in servizio, 70 in formazione a rotazione e due linee operative anziché una; un alleggerimento reale rispetto allo scenario temuto fino a pochi giorni fa.
Ma resta il dato politico: questa non è ancora una soluzione, quanto una tregua; garantisce cioè continuità nel breve, ma non ancora un futuro nel lungo.

Il nodo Taranto

Tutta la vicenda resta infatti appesa a un punto decisivo: Cornigliano non può vivere senza Taranto. I coils di acciaio, prodotto chiave, arrivano da lì, e senza la ripresa a pieno regime del sito pugliese qualsiasi impegno su Genova resta scritto a matita. Il ministro Adolfo Urso ha assicurato che non c'è alcun piano di chiusura e che l'obiettivo è quello di riportare Taranto a una produzione di 4 milioni di tonnellate l'anno. Ma mancano ancora tempi certi, investimenti definiti, risorse stanziate. È questa indefinizione a preoccupare i sindacati: senza un cronoprogramma chiaro, ogni rassicurazione rischia di essere solo un annuncio.

L'apertura al ruolo pubblico

Una novità, però, c'è ed è significativa. Per la prima volta il governo ha aperto esplicitamente alla possibilità di un intervento diretto dello Stato qualora le offerte private non fossero solide. Finora si era infatti parlato solo di partner industriali. Ora entra in campo, almeno come opzione, una partecipazione pubblica; un passaggio politico importante che ridisegna la cornice della discussione, pur restando ancora indeterminato nelle modalità e nei tempi.

Una vertenza che continua

La riattivazione dello zincato è un risultato concreto, ma ancora molto fragile. L'ipotesi di un intervento pubblico è certamente un'apertura significativa, ma ancora tutta da costruire. E il nodo Taranto resta irrisolto, con tutte le ricadute che ciò comporta per Genova.

Da domani si torna in fabbrica, ma non si torna alla normalità ma alla vigilanza. Perché una cosa oggi è certa, ed è forse l'unica certezza di queste settimane: senza la mobilitazione dei lavoratori, questo tavolo non si sarebbe aperto. Ed è proprio da quella forza collettiva che, ancora una volta, dovrà ripartire il futuro di Cornigliano.

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