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Decreti sicurezza, Consulta: “Negare iscrizione all’anagrafe a migranti è lesione a dignità sociale”

“Negare l’iscrizione all’anagrafe a chi dimora abitualmente in Italia significa trattare in modo differenziato e indubbiamente peggiorativo, senza una ragionevole giustificazione, una particolare categoria di stranieri”: così i giudici della Corte Costituzionale spiegano perché avevano dichiarato illegittimi i decreti sicurezza, voluti da Matteo Salvini quando era ministro dell’Interno.
A cura di Annalisa Girardi
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Immagine di repertorio.
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Sono state pubblicate le motivazioni alla sentenza per cui la Consulta, alcune settimane fa aveva bocciato i decreti sicurezza voluti da Matteo Salvini quando era ministro dell'Interno, precisamente nella parte in cui i richiedenti asilo venivano esclusi dall'iscrizione all'anagrafe. Secondo i giudici della Corte Costituzionale, che avevano appunto definito l'articolo 13 del primo decreto sicurezza come "illegittimo", si tratterebbe di un provvedimento "al tempo stesso irrazionale e discriminatorio" in quanto "invece di aumentare il livello di sicurezza pubblica, finisce con il limitare le capacità di controllo e di monitoraggio dell’autorità pubblica su persone che soggiornano regolarmente nel territorio statale, anche per lungo tempo, in attesa della decisione sulla loro richiesta di asilo".

Non solo, negare "l'iscrizione all'anagrafe a chi dimora abitualmente in Italia significa trattare in modo differenziato e indubbiamente peggiorativo, senza una ragionevole giustificazione, una particolare categoria di stranieri". Nelle motivazioni si legge inoltre che la previsione contenuta nel decreto Salvini viola l'articolo 3 della Costituzione in due diversi modi. In primo luogo, "è viziata da irrazionalità intrinseca in quanto, rendendo problematica la stessa individuazione degli stranieri esclusi dalla registrazione, è incoerente con le finalità del decreto che mira ad aumentare il livello di sicurezza". E poi: "riserva agli stranieri richiedenti asilo un trattamento irragionevolmente differenziato rispetto ad altre categorie di stranieri legalmente soggiornanti nel territorio statale, oltre che ai cittadini italiani".

Non solo: i giudici della Corte sottolineano anche che "per la sua portata e per le conseguenze che comporta anche in termini di stigma sociale, di cui è espressione non solo simbolica l’impossibilità per i richiedenti asilo di ottenere la carta d’identità, la violazione del principio di uguaglianza enunciato all’articolo 3 della Costituzione assume in questo caso anche la specifica valenza di lesione della pari dignità sociale".

Per queste ragioni "sono state dichiarate incostituzionali anche le restanti disposizioni dell’articolo 13 del primo decreto sicurezza, che prevedevano tra l’altro che il permesso di soggiorno costituisse documento di riconoscimento in luogo della carta d’identità e che l’accesso ai servizi erogati ai richiedenti asilo fosse assicurato nel luogo di domicilio, anziché in quello di residenza".

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